La violenza silenziosa

 

Non mancano generalmente critiche verso quei movimenti di protesta che sfociano, in certi casi, in blocchi prolungati delle strade, chiusure dei negozi o persino situazioni di scontro con la polizia. Ma sarebbe da chiedersi quanto, in certi casi, l’azione del governo possa creare danni ancor più gravi, i quali di conseguenza causano le proteste incontrollate.

 

 

Ultimamente è sulla bocca di tutti (nonché su quella dei telegiornali) la protesta dei "gilet gialli" in Francia. Da settimane va avanti lo scontro fra “rivoltosi” e polizia fra le strade parigine. I giornalisti spesso hanno sovraccaricato l’entità del “pericolo pubblico” degli scontri, parlando di un movimento eterogeneo, mosso soprattutto da elementi estremisti, con aggiunta di gruppi violenti (e, tanto per non dimenticare, la possibile presenza di black bloc). L’Eliseo, il giorno prima di sabato 8 dicembre – le proteste hanno il loro culmine sempre nel sabato, per quanto non smettano durante tutta la settimana – ha persino affermato che le prossime proteste avrebbero visto gente pronta “per uccidere”.

 

Un quadro un po' distorto, data la presenza di molti cittadini che protestano senza alcun interesse nel perpetrare violenza gratuita; una narrazione forse mossa anche per dissuadere la gente dall’aggiungersi al movimento, così da soffocare pian piano le proteste. Tuttavia, è pur innegabile che qualche scontro non certo pacifico si sia creato fra la polizia e i gilets jaunes, fra feriti, lanci di lacrimogeni, cariche, arresti e qualche auto capovolta. Al che verrebbe da dire: ma son modi questi di protestare? Nel senso: va bene mostrare il proprio dissenso, ma è così necessario giungere a certi atti da vandalismo?

 

È una domanda non certo facile: per capire concretamente quanto certi atti siano violenti e ingiustificati bisognerebbe entrare nel dettaglio. Solo comprendendo i comportamenti dei due schieramenti – chi ha fatto cosa, in che modo ecc. – si potrebbe rispondere su qual era il comportamento più adeguato per non cadere in eccessi. Per rimanere all’interno di un comportamento democratico.

Ma – domanda ancor più interessante – sarebbe da chiedersi come mai ogni tanto si sfoci in queste situazioni intricate. Sappiamo che i "gilet gialli" non sono certo un gruppo di persone rimaste pacifiche fin l’altro ieri e che, poi, per il semplice aumento della tassa del carburante, si sono dirette verso la rivolta prolungata fra le strade di Parigi, mosse da un’ira improvvisa. No: la protesta riguarda un periodo ben più ampio di azione governativa, fatto di continui tagli al sistema sociale. Solo per citare un esempio: fra marzo e aprile del 2018, già vi erano state delle proteste verso il piano del governo per liberalizzare le ferrovie dello Stato: un bel modo per adeguare quel settore alle esigenze di mercato, tramite

 

« l’apertura del settore alla competizione (come imposto dall’UE entro il 2019) e la trasformazione del gruppo in società per azioni (come avvenuto già anche nel nostro paese), la chiusura programmata da 4.000 a 9.000 km di linee (per lo più rurali e periferiche) entro il 2026, l’abolizione dello statuto speciale dei lavoratori della ferrovia (che tra le altre garantisce il pensionamento a 52 anni), l’introduzione di una remunerazione in base al merito, l’aumento dei dipendenti a contratto (di diritto privato e non più a statuto speciale). » (articolo di La Riscossa del 3 aprile 2018)

 

Come la stessa Federazione sindacale mondiale ricorda, l’azione di privatizzazione – cioè l’apertura alla logica del profitto a tutti i costi – non può che portare ad un peggioramento delle condizioni dei dipendenti e delle stesse linee di trasporto per i clienti del settore.

Un’azione che ha tutto a parte avere un carattere popolare. 

 

 

Si è deciso poi – e si arriva alle proteste dei "gilet gialli" – di porre una nuova tassa sul carburante per motivi “ecologici”: se costa di più andare in auto, la gente sarà invogliata ad usare i mezzi pubblici. Caro Macron, è difficile invogliare al trasporto pubblico se si è deciso di smantellarlo gradualmente, rendendolo inefficiente e più costoso. Ma probabilmente, questo, lui e il suo governo lo sapevano già. Compiere azioni di tal genere – legate ad una sola e pure logica di profitto per determinati gruppi privati – e poi spacciarle per azioni di stampo ecologico non è solo un gesto ipocrita, ma mette anche in risalto un problema non da poco: a volte, nella relativa calma di un’aula parlamentare, si possono compiere decisioni che sono tutt’altro che pacifiche e democratiche, nel senso che la carica di violenza che portano – di danni alla popolazione nel corso degli anni – è forse più grande di quanto non lo siano i risultati di una protesta per le vie di Parigi con qualche ferito. Non solo: esse sono pure il presupposto che ha dato il via a quelle proteste, cioè sono pure la causa per cui qualcuno non ce la fa più.

 

Forse uno dirà: “ho capito che non sia il massimo smantellare il trasporto pubblico, ma non è in fondo questa tragedia”. Forse avrebbe pure ragione, se non fosse che un gesto del genere non si trova mai isolato, ma sempre inserito all’interno di un’azione di continui e graduali tagli al welfare che lentamente tolgono quel poco di sicurezza – quella vera – di avere una vita decente, lontana dal rischio povertà (ahimè, a volte lavorare non basta per evitarlo). Un processo dai danni inimmaginabili (si veda a cosa ha portato il piano di austerità varato per la Grecia). Danni, ripeto, ben più violenti di quanto possa mai fare una protesta.

 

10 dicembre 2018

 








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