Il demone filosofico

 

Saper trasmettere la propria passione filosofica, il proprio sapere non è facile: richiede impegno, dedizione assoluta e molta pazienza. Oltre alla consapevolezza che, tra centinaia di allievi, pochissimi proseguiranno seriamente il percorso del maestro.

 

I. K. Ajvazovskij, "Nave che salpa in alto mare di notte" (1840)
I. K. Ajvazovskij, "Nave che salpa in alto mare di notte" (1840)

 

Fare filosofia è tutt’altro che inutile, è qualcosa di completamente avulso dallo studiare in maniera disinteressata e alla leggera. Filosofare è al contrario un valore, in quanto significa riflettere sulla vita, cercare di trovare uno scopo alle proprie azioni, non essere contraddittori nell’agire. Il lavoro della Gazzetta Filosofica è un continuo evidenziare questo concetto: per tale motivo non verrà ripreso e approfondito in questo articolo.

 

Ciò che preme invece sottolineare è – una volta appurata l’importanza della riflessione filosofica – come questo sapere non sia qualcosa di facilmente trasmissibile. Imparare a vivere coerentemente ad un principio sensato è qualcosa che non si impara con un manuale, ma richiede un impegno e un confronto assiduo con l’altro per tutta la vita. Un problema già evidenziato al tempo da Socrate in uno dei discorsi più significativi dei dialoghi platonici – più precisamente nel Teagete.

 

J.-P.-J. de Saint-Quentin, "La morte di Socrate" (1762)
J.-P.-J. de Saint-Quentin, "La morte di Socrate" (1762)

Una volta affermato che «la potenza di questo segno demoniaco esercita la sua azione anche su coloro che stanno insieme a me», Socrate ricorda come tale influenza non sia assolutamente uguale per tutti.

 

« A molti, infatti, è avverso, e costoro non traggono alcun vantaggio dallo stare assieme con me, tanto che non è possibile neppure a me stare insieme a loro. »

 

Per molte persone, il pensiero del filosofo è qualcosa per cui non hanno alcun interesse, a cui neppure prestano attenzione. Al punto che, certe volte, sentire qualcuno che si definisce “filosofo” dà loro pure fastidio. Immerse in un mondo che ha perso il senso stesso della discussione, non si rendono conto che sono anche loro filosofi, ma poveri: hanno discusso miseramente nel corso della loro vita; hanno creato dei concetti miseri su cui sviluppare il proprio agire – troppo spesso contraddittorio – e non hanno più messo loro in discussione; neppure controllano se quanto compiono sia coerente con quanto hanno fatto nel passato. L’unica cosa che hanno imparato a fare è arrabbiarsi se vengono contraddetti, con danno in primis per loro stessi.

 

« A molti non impedisce di stare con me, ma, dalla mia compagnia, non traggono alcun vantaggio. »

 

Vi è chi poi non ha un’immagine negativa del filosofo. In fondo “discutere è importante”, “ogni tanto bisogna riflettere sulla propria vita”, “fare il filosofo è una scelta impegnativa”, ecc. Ma queste constatazioni sono astratte, non veramente sentite. Non hanno idea di cosa affermano e, nel concreto, sono inconsapevoli di cosa significhi realmente discutere. Per questo il loro interesse è assai relativo nei confronti di quanto uno cerca di insegnare: come quando si ascolta un quiz televisivo, dove quanto sentito semplicemente entra in un orecchio ed esce dall’altro.

 

P. P. Rubens, "Quattro filosofi" (1611-1612)
P. P. Rubens, "Quattro filosofi" (1611-1612)

« Invece, coloro che la potenza del segno divino favorisce nello stare insieme con me, sono quelli dei quali ti sei accorto pure tu. Infatti, ne traggono subito vantaggio.

 

E di costoro, poi, alcuni traggono un vantaggio sicuro e duraturo; molti invece, per tutto il tempo che stanno con me, progrediscono in modo mirabile, ma, dopo che si sono allontanati da me, tornano ad essere come tutti gli altri. »

 

E ci sono infine quelli che realmente, nel senso serio del termine, si interessano a filosofare. Hanno compreso che vivere felici si può solo se si conosce cosa sia la felicità, cosa sia la vita, che senso bisogni dare al proprio agire, ecc.; insomma, solo se si riflette e ci si confronta. Ma il confronto non è qualcosa che si conclude dopo uno-due mesi ed è finita là. Comprendere, concettualizzare, filosofare è qualcosa che va fatto costantemente, non semplicemente in un’aula accademica, ma nel continuum della propria vita. È necessario porre attenzione alle proprie azioni, al significato, alla moralità e alla coerenza che esse possono e devono avere. Altrimenti, pian piano, si dimenticherà quanto appreso e si ritornerà a considerare la filosofia come un abbellimento della vita, non come la sua bussola.

 

Tutto questo rende difficile la vita di un maestro di filosofia, di un professore che prende l’impegno di educare degli alunni. Bisogna essere realmente filosofi innanzitutto – fare filosofia nel senso serio, averla compresa, non ripetere un arido manuale. E bisogna ascoltare gli alunni, comprendere singolarmente le peculiarità di ognuno, così da essere consapevoli dell’approccio da usare per essere capiti, per evitare di rendere la propria materia qualcosa di incompreso, noioso e astratto. E infine, bisogna essere consapevoli che – in parte per i propri limiti, in parte per i limiti dell’allievo – il proprio scopo raramente sarà raggiunto in pieno. Far valere la propria voce in un mondo che rema nella direzione contraria è difficile. Ma non deve scoraggiare il maestro, che deve continuamente lavorare affinché la vita dei propri allievi sia migliore, mettendo al contempo in continua discussione la propria. Ricordandosi che la filosofia è dialogo, confronto; non un pasto pronto e confezionato, ma qualcosa che va costruito continuamente.

 

18 agosto 2018

 







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