La schiavitù dell’ignoranza capitalistica

 

Ormai da tempo, sono state proclamate a gran voce la fine dei rapporti di servitù, la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. Eppure, l’attuale sistema sociale ed economico pare diretto verso tutt’altra direzione.

 

Di recente, i giornali hanno mostrato il resoconto di un autore che, sotto copertura, è andato a lavorare nei magazzini Amazon nel Regno Unito, con l’intento nascosto di registrare le condizioni dei lavoratori del colosso americano. I risultati lasciano alquanto di stucco: gente che, anziché andare in bagno, urinava in bottiglie di plastica per paura di essere richiamata per perdite di tempo; lavoratori assenti da lavoro per qualche giorno causa malattia – certificata dal medico – e i giorni di assenza comunque tolti dalla paga; persone che, di fronte ai ritmi frenetici, diventano ben più ansiose di prima. Amazon ha negato che la situazione sia realmente così, che in realtà tiene alla salute e al benessere dei suoi dipendenti.

 

La cosa tremenda è che, anche se il resoconto fosse confermato, il misfatto poi così tanto non sorprenderebbe. Non solo perché Amazon già più volte è stato accusato di ingiustizie verso i dipendenti – si veda il problema della velocità folle richiesta ai Drivers Amazon per le consegne –, ma poiché di casi di lavoratori sfruttati se ne sente uno alla settimana. Chi non ha mai letto un articolo sugli agricoltori sottopagati perché, se chiedono prezzi più dignitosi, i compratori vanno a prendere le arance in Marocco e il resto dove più conviene? Chi non ha sentito al telegiornale almeno una volta di sfruttamento di immigrati o minori, pagati una miseria, in giro per il mondo? Di multinazionali che non ci pensano due volte a fare gli interessi loro a scapito dei diritti dei lavoratori?

 

Il problema non è che ci sono delle aziende cattive che infestano la buona e bella democrazia. Il problema è che di democrazia – quella vera – in giro per il globo non ce n’è poi tanta. Se situazioni di tal genere sono così diffuse, la radice del problema non può essere la mente distorta di qualche amministratore delegato, bensì una malattia ben più diffusa: l’ignoranza capitalistica.

 

Marinus van Reymerswaele, "Gli usurai" (1540)
Marinus van Reymerswaele, "Gli usurai" (1540)

Molto spesso si sente dire che, in fin dei conti, il mondo è così: frenetico e che non guarda in faccia nessuno. La società gira attorno ai soldi e le aziende guardano solo a quelli. Non è morale, non è etica: è il mondo. Peccato che il mondo sia quello che la gente è diventata nel tempo. E se si arriva ad affermare che il mondo così è – cioè uno schifo –, bisognerebbe farsi due domande su quello che la gente è. Se una persona su due non ci pensa due volte ad acquistare una merce perché costa poco e arriva il giorno dopo – indipendentemente da sofferenze o sfruttamenti che ciò comporta –, allora vuol dire che il capitalismo – inteso come il mero interesse a spendere il meno possibile e guadagnare a ogni costo – riguarda anche lei. Se un imprenditore ha come unico obiettivo un fatturato positivo a fine anno – indipendentemente dalla salute o dalla tranquillità lavorativa dei dipendenti – allora pure lui è capitalista. E questo atteggiamento – questo interesse del denaro per il denaro, questa mancanza di valori –, non è qualcosa di inevitabile: è un problema d’educazione.

 

Si attua una certa azione economica, politica, sociale ecc. perché la si ritiene giusta; perché in essa, data la propria intelligenza, si vede la direzione esatta da seguire. Nei momenti in cui manca una buona educazione, la gente finisce per scegliere quanto ritiene giusto, ma non si rende conto che sceglie male, tanto per se stessa che per chi le sta attorno. Nel momento in cui gran parte della comunità globale non dedica tempo allo studio e al pensiero, ecco che si crea un sistema malato. Quel famoso sistema che, visto da degli occhi ingenui, viene indicato con un “così è il mondo”.

 

Un ragionamento che vale per ogni settore, specie per l’economia, troppo spesso vista come a sé stante, slegata dall’etica e da tutti quei valori che invece dovrebbero ancorarla alla giusta direzione. Proprio di valori parlava uno dei pochi imprenditori che capitalista cercava di non esserlo: Adriano Olivetti.

 

« Una società che non crede nei valori spirituali, non crede nemmeno nel proprio avvenire e non potrà mai avviarsi verso una metà comune e affogherà la vita nazionale in una vita limitata, meschina e corrotta. Senza questa comprensione dei valori scientifici e spirituali vediamo l’attività dello Stato disperdersi, disintegrarsi, sconnettersi in mille provvedimenti caotici, dispersivi, che non conducono ad alcun fine organizzato e consapevole, se non a quello fraudolento di ingrandire la potenza del proprio partito, favorendo clientele e interessi particolari. » (Le forze spirituali, in Il mondo che nasce)

 

E, in particolare, sul problema economico: 

 

« Nei nostri paesi una percentuale molto piccola della ricchezza prodotta dalla nostra attività economica torna alla comunità, sia per mezzo di azioni volontarie sia come risultato del sistema fiscale. Troppi lavoratori si chiedono se non c’è qualcosa di fondamentalmente ingiusto e tragico nel fatto che la ricchezza che essi creano non venga utilizzata per meglio soddisfare i bisogni e risolvere i problemi della loro comunità. » (Ivi)

 

Sono le affermazioni di un imprenditore che, nonostante il sistema andasse nella direzione più capitalistica possibile, portava avanti una fabbrica con l’assistenza medica per i lavoratori, l’asilo e un Centro Formazione Meccanici per dare ai figli dei dipendenti «Il più grande beneficio che dà la ricchezza: la certezza di un’istruzione conforme al proprio merito e al proprio talento» (Ivi); colui che sviluppò l’ALO, sistema che permetteva alle donne in maternità di avere riconosciuto lo stipendio pur restando a casa ad allevare i propri figli, oltre ad offrire un’assistenza medico-sanitaria ed educativa. E non si parla del nuovo millennio, ma degli anni trenta e quaranta.

 

Tutto questo, Olivetti lo faceva non per denaro, ma perché convinto che il benessere dei dipendenti e della comunità contasse. Valori che in parte, come lui stesso disse, aveva ricevuto dall’educazione del padre.

 

Purtroppo, altre vie non ce ne sono: o si mostra alla gente perché alcune azioni vanno ripudiate e certi valori difesi, o nessuno farà mai seriamente il bene della comunità. Altrimenti, si potrà decretare su ogni foglio la fine della schiavitù: ci sarà sempre qualche padrone pronto ad eludere quanto scritto.

 

27 aprile 2018

 




  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica