La statura di Marx

 

Ci si prepara a festeggiare i duecento anni che Marx compirà il prossimo anno. Anche la Cina si è prodigata con una statua per Treviri, la città natale del filosofo. Si celebra l'uomo, la cui fama giganteggia tra i continenti. Ma che cosa ha rappresentato? Come è nato e, soprattutto, cosa è diventato ciò che egli ha originato?

 

di Gabriele Zuppa

 

Per il bicentenario della nascita di Karl Marx (Treviri, 5 maggio 1818 – Londra, 14 marzo 1883) qui e là nel mondo si preparano commemorazioni, festeggiamenti, convegni. Gli omaggi assumeranno in questi mesi le forme più disparate: il trattato, il film, la scultura.

 

Un aneddoto ci consente di prendere parte al riconoscimento che l'uomo e il pensatore meritano. La Cina ha offerto a Treviri, città natale di Marx, una statua dalle notevoli dimensioni, tali da essere, esse sole, sufficienti a testimoniare la levatura della sua figura storica: il progetto indica un'altezza superiore ai sei metri. Le voci contrarie, nonostante le cortesi intenzioni cinesi, si sono sollevate fomentando un dibattito che, benché abbia condotto ad accettare la proposta, è stato veemente. Le principali opposizioni vertevano sulla «mancanza di libertà» in Cina e sulla sua «lunga lista di violazione di diritti umani» da addebitarle.

 

Una rappresentazione in legno della statua di Marx in piazza a Treviri, che anticipa quella in bronzo, così da mostrare ai residenti l'effetto che produce
Una rappresentazione in legno della statua di Marx in piazza a Treviri, che anticipa quella in bronzo, così da mostrare ai residenti l'effetto che produce

 

Eppure, è immediato associare ai governi comunisti e al comunismo generale il nome di Marx, tanto che la storia del comunismo è in definiva la storia del marxismo: così nell'immaginario, quantomeno. Pure negli anni '60, come testimonia Costanzo Preve:

 

« Quando cominciai a definirmi marxista, a vent'anni a Parigi, lo feci senza conoscere Marx, assolutamente. Semplicemente con la parola Marx intendevo la mia rivolta contro il capitalismo borghese dei miei genitori. A questo punto il mio marxismo era totalmente fantasmatico e fantastico. »

 

Come mai siamo andati fino ad oggi identificando l'anticapitalismo al marxismo, nonché al comunismo e alla rivoluzione (violenta)? La domanda acquista senso naturalmente solo al di là di queste equazioni, cioè intravvedendo qualcosa che esse non sanno cogliere. Marx allora ben sapeva cosa tralasciava identificando l'anticapitalismo al comunismo rivoluzionario: coloro che bollava come socialisti utopisti, di cui, solo per la sua critica, anche a noi ci è giunta voce.  

 

Ma se i socialisti sono pure anticapitalisti, perché l'anticapitalismo deve ancora oggi essere associato al nome di Marx, come nel caso emblematico di Preve? La monografia di maggior successo di Marx degli ultimi anni, Bentornato Marx!, scritta da Diego Fusaro, reca come sottotitolo: Rinascita di un pensiero rivoluzionario. Ecco, chiediamoci: in che cosa consiste il carattere rivoluzionario peculiare del pensiero di Marx? Nel fatto che l'uscita dal capitalismo sia rivoluzionaria? No, poiché certamente sovvertire il sistema capitalistico costituirebbe una rivoluzione, ma essa era già stata auspicata e teorizzata prima di lui; e lo sarà anche in seguito.

 

Per i modi della rivoluzione, ovvero la sua violenza e la possibilità di costituirsi come tale? Verosimile. Ma consisterebbe in ciò il valore del pensiero di Marx e l'auspicio di un suo ritorno? Marx addita l'utopia degli altri socialisti nella possibilità che il capitalismo sia riformabile dal proprio interno e individua la sola sua possibilità di realizzazione – ecco la scientificità della sua teoria a suo parere – nell'organizzazione del proletariato, favorito dal suo agglomerarsi nelle fabbriche, in un movimento rivoluzionario che violentemente sovverta l'ordine sociale capitalista. Ma allora, per la volontà violenta di cambiamento e per una previsione sbagliata – sbagliata perché il comunismo non si è realizzato così come previsto da Marx, e, dove successi siano stati ottenuti in nome del comunismo, essi non hanno avuto quei caratteri anticapitalisti agognati –, il suo pensiero non dovrebbe rinascere.

  

Marx e Engels, teorici del materialismo storico
Marx e Engels, teorici del materialismo storico

Dovrebbe dunque essere considerato rivoluzionario e dovremmo auspicare la sua rinascita per l'apporto più squisitamente filosofico, ovvero le ragioni per le quali il capitalismo dovrebbe essere superato assieme alle critiche mosse ai suoi predecessori, conosciute sotto la locuzione materialismo storico? Ancor meno: la coerentizzazione delle categorie del materialismo storico conducono addirittura ad un'apologia del capitalismo, come ho mostrato in Gli strani casi del Dr. Darwin e di Mr. Marx. Ma senza voler al momento spingersi tanto in là, lo stesso Preve asserisce:

 

« Filosoficamente parlando Fichte ed Hegel sono meglio di Marx […] Marx sta sotto per ragioni positivistiche da un lato, utopistiche dall'altro. »

 

Prima di tentare di rispondere al nostro quesito, affidiamoci a questa efficace sintesi ed impietosa analisi di che cosa diventasse il comunismo marxista ove riuscisse ad attecchire, fornita da Merleau-Ponty nel 1955 in questo passo del saggio Le avventure della dialettica:

 

M. Merleau-Ponty
M. Merleau-Ponty

« La politica rivoluzionaria, che nella prospettiva del 1917 doveva storicamente subentrare alla politica “liberale” – sotto la pressione di difficili problemi d'organizzazione, di difesa e di rendimento –, è invece sempre più diventata una politica di paesi nuovi, il mezzo per passare da economie semicoloniali (o da civiltà da secoli paralizzate) ai moderni modi di produzione. L’immenso apparato da essa costruito, con le sue regole e i suoi privilegi, nel momento stesso in cui si dimostra efficace per impiantare un’industria o mettere al lavoro un proletariato ancora vergine, indebolisce il proletariato come classe dirigente e lascia senza eredi il mistero di civiltà che, secondo Marx, il proletariato occidentale portava [con sé]. »

 

Quindi, da un lato, il marxismo costituiva, come testimonia Preve, il vago o il variegato richiamo all'abbattimento delle ingiustizie sociali che il capitalismo produceva in Occidente – ingiustizie di cui oggi lamentiamo l'incremento –; dall'altro, nei paesi arretrati dell'Oriente, e vittime dell'assoggettamento coloniale o neocoloniale, significava la liberazione da quel gioco ai fini di un'autonoma industrializzazione.

 

Così, in questo coacervo di significati era possibile sentirsi vicini a marxisimi e comunismi che dietro la loro etichettatura rappresentavano i valori più disparati, che davano il nome a filosofie e a politiche che addirittura perpetravano quegli abusi da cui l'intera riflessione e l'intera azione politica di Marx avevano avuto inizio: lo sfruttamento del lavoro fino all'abuso e il conseguente annientamento della persona.

 

Incalziamo ancora: come si è arrivati a tutto ciò – a far sì che il marxismo diventasse la bandiera di orientamenti agli antipodi e che, ciononostante, marxismo, comunismo e anticapitalismo divenissero sinonimi? Probabilmente perché la statura di Marx è consistita soprattutto nel suo attivismo politico, nell'organizzazione del movimento operaio – basti qui pensare alla nota formazione delle Internazionali. Un statura che in questo senso merita quei sei metri e oltre.

 

La filosofia di Marx è stata considerata il pensiero – scientificamente fondato – che consentisse la liberazione dall'oppressione; una filosofia – quella della liberazione dall'oppressione – di cui abbiamo oggi ancora estremo bisogno, ma certamente non nella forma marxista, non per via di una rivoluzione violenta, non alla luce del materialismo storico. Arrivati a questo punto, pare che senz'altro di Marx dobbiamo voler ereditare la sua passione per un mondo migliore, quindi all'indispensabile mobilitazione; ma questa passione ci conduce subito ad una critica complessiva della sua filosofia e della storia del marxismo.

 

Appaiono dunque parecchio ingenue esternazioni che suonino come questa, di Alain Badiou, contenuta ne Il risveglio della storia (2011):

 

Alain Badiou
Alain Badiou

« Vorrei dire, senza più preoccuparmi degli avversari e dei rivali, che anch'io sono marxista, in buona fede, pienamente e in un modo così naturale che non è neanche il caso di ripeterlo. Un matematico contemporaneo si preoccupa forse di provare la propria fedeltà a Euclide o a Eulero? Il marxismo reale, che si identifica con la lotta politica razionale e che ha come scopo l'organizzazione di una società egualitaria, è cominciato senza dubbio con Marx ed Engels nel 1848, ma in seguito ne ha fatta di strada, con Lenin, con Mao e poi ancora con qualcun altro. »

 

Diego Fusaro
Diego Fusaro

È quanto mai fondamentale e necessario non tralasciare cosa sia razionale – rispetto alla violenza per esempio – e che cosa rientri nella sfera delle considerazioni scientifiche, specie quando ci imbattiamo – secondo la logica nichilistica peculiare del Novecento, ora proseguita dal Postmoderno – in simili affermazioni, nello specifico contenute in un saggio che introduce Lavoro salariato e capitale di Marx:

 

« Affiora benissimo come il ricorso alla scienza, in Marx, risponda a un obiettivo che è tutto fuorché scientifico: la lotta di classe, l'emancipazione dei lavoratori, il superamento delle ingiustizie che permeano la società presente. »

 

Fusaro, a cui queste parole appartengono, pur incomprensibilmente auspicando la rinascita del pensiero rivoluzionario di Marx, fa un passo indietro non dichiarandosi marxista, bensì allievo indipendente di Marx; come prima di lui un Preve maturo, in seguito allo studio di Marx, si definiva marxista solo in quanto appartenente alla narrazione della critica al capitalismo – pieno di riserve, di se e di ma – a differenza di Badiou che sembra appiattire la complessità nella sua nostalgia.

 

Però, da questi brevi accenni, più che un aggiustamento, più o meno significativo, dell'interpretazione della filosofia di Marx e del marxismo, risulta sia indispensabile un radicale cambio di paradigma, che consenta di rivalutare l'opposizione al capitalismo al di fuori della narrazione marxista e collocando Marx stesso solo come un momento, senz'altro come storicamente dominante; che consenta di rivalutare nei fondamenti le nobili pretese di Marx. Solo a partire da una radicale rivalutazione storica e teorica è oggi forse possibile che il sogno di vedere livellarsi le ingiustizie prenda nuova linfa e non rimanga lo strascico di un'età passata.

 

Domenico Losurdo
Domenico Losurdo

Per ricercare adeguatamente prospettive oltre la crisi asfissiante – lavorativa, terroristica, sociale, culturale, ecc. – allora non dovremmo chiederci, come fa Domenico Losurdo nel capitolo conclusivo del suo ultimo lavoro (Il marxismo occidentale, Laterza 2017), come possa rinascere il marxismo in Occidente, ma semmai come possa costituirsi un'adeguata opposizione – in termini teorici e quindi pratici; che sia rivoluzionaria, ma non per questo non violenta – al sistema capitalista.

 

Questo consentirebbe non soltanto l'uscita dalla dicotomia sclerotizzata tra socialismo utopistico e comunismo scientifico (marxista), ma di superare l'altrettanto sclerotizzata dicotomia tra liberalismo e comunismo. Qui basti un accenno ad un esempio notevole – l'ultima riflessione, rimasta incompiuta, del filosofo J.S. Mill, annoverato, com'è noto, tra i liberali. I suoi Chapters on Socialism, pubblicati postumi nel 1879, esordiscono così:

 

« La prima parte del nostro compito non è per nulla difficile; essa consiste unicamente nell'enumerazione dei mali esistenti. Di questi non v'è scarsità, e la maggior parte di essi non sono per nulla oscuri e misteriosi. »

 

Karl Marx e John Stuart Mill
Karl Marx e John Stuart Mill

 

Concorda, richiamandosi ai socialisti a ciò che era una mera constatazione:

 

« Nel giudizio dei socialisti, l'attuale organizzazione della società per ciò che attiene alla proprietà e alla produzione e distribuzione della ricchezza, sono, riguardo al bene comune, un totale fallimento. Essi sostengono che c'è un'enorme massa di mali che quest'organizzazione sociale non riesce ad impedire; che il bene, sia esso morale o fisico, che essa realizza è disgraziatamente piccolo se comparato con la quantità di sforzi attuati, e che anche questa piccola quantità di bene è generata in modi che sono pieni di conseguenze perniciose, morali e fisiche. »

 

Denuncia nondimeno che la strutturazione è ingiusta perché genera ingiustizie della società capitalista in quella sua fase:

 

« L'idea di giustizia distributiva, o di una qualche proporzione tra il successo e il merito, o tra il successo e il lavoro, è nell'attuale stato della società così manifestamente chimerica da essere relegata nell'ambito del romanzo d'avventura. »

 

Specificando poi ampiamente. Qui basterà il suo primo rilievo:

 

« La più forte di tutte le circostanze determinanti è la nascita. […] Alcuni sono nati ricchi senza dover lavorare, altri sono nati in una posizione in cui possono diventare ricchi con il lavoro, la maggioranza è nata per fare un duro lavoro ed essere povera nella vita, un certo numero per essere completamente indigenti. »  

 

 Giuseppe Pellizza da Volpedo - "Il quarto stato" (1901)
Giuseppe Pellizza da Volpedo - "Il quarto stato" (1901)

 

Mill non prende posizione contro le critiche del sistema capitalistico, anzi. Il problema è piuttosto: che fare affinché le istanze dei movimenti anticapitalistici possano trovare realizzazione? Innanzitutto – egli risponde – non trascurando la complessità del problema e la difficoltà di raggiungere il mondo giusto vagheggiato dai quei movimenti. Le obiezioni che egli muove non sono atte a scoraggiare il progetto di cambiamento, ma ad impedire che esso fallisca.

 

« Da queste varie considerazioni non cerco di ricavare alcuna deduzione contro la possibilità che il sistema di produzione comunista sia capace di essere in qualche tempo futuro la forma di società più adatta ai bisogni ed alle condizioni economiche del genere umano. Credo che questa sia, e sarà per lungo tempo, una questione aperta, sulla quale nuova luce sarà continuamente gettata, sia dalle prove del principio comunistico sotto condizioni favorevoli, e dagli sviluppi che saranno gradualmente realizzati nella produzione dell'attuale sistema, quello della proprietà privata. »

 

Così, tra le alternative del riformismo e del sovvertimento violento non può che propendere per prima strada, la sola che possa scientificamente condurre alla rivoluzione.

 

« Solo gli esperimenti possono mostrare se c'è, in una qualche parte della popolazione, un livello sufficientemente alto di preparazione morale per far avere successo al comunismo, e per dare alla prossima generazione l'autonoma educazione necessaria a tenere in modo permanente quell'alto livello di moralità. […] Ma costringere popolazioni impreparate ad adottare un sistema comunista, anche se una rivoluzione politica desse il potere di fare tale tentativo, finirebbe in una delusione. »

 

Josif Stalin
Josif Stalin

 

Il Novecento è la storia di questa delusione. Il presente, invece, la quasi totale rimozione dal panorama culturale e la totale rimozione dalla scena politica delle questioni fondamentali poste dalla tradizione socialista e comunista (benché non soltanto da essa): la legittimità di quali forme di proprietà privata; la perpetrazione dell'egemonia coloniale in nuove sembianze; la dissoluzione della sovranità politica ad opera di quella economica, ecc. Affinché un'inversione di direzione avvenga non è più sufficiente continuare sulla scia della narrazione marxista e comunista, ma è indispensabile ripensare le sclerotizzazioni storiche invalse e le categorie consunte e inermi del Postmoderno.

 

Serve di nuovo inoltrasi nella considerazione di cosa sia, per esempio, un'ingiustizia e della legittimità dell'impiego di una parola immensa come quella di giustizia; quindi, tra l'altro, del suo rapporto possibile o impossibile con la proprietà privata. Il nostro accenno non può che essere preliminare a quanto vi è di fondamentale e che il Postmoderno neoliberale – la cultura oggi diffusa – ha deciso di rimuovere come gli ammalati esangui fanno con quanto vi è di decisivo e che solo li condurrebbe alla guarigione.

 

30 ottobre 2017

 




  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica