Il terrorismo statunitense e il suo retaggio

 

La Casa Bianca ha battezzato il nuovo millennio con un terrore analogo ad altri terrori della storia. E la storia continua.

 

di Gabriele Zuppa

 

 

Senz’altro sarebbe un parallelismo indebito, se non si sottolineasse la presenza di specifiche, notevoli differenze. Eppure i colori della grandeur son sempre quelli, in un modo o nell’altro: blu, rosso e bianco. Eppure ancora una volta è stata quella l’origine dei massacri: salvare gli oppressi dagli oppressori, in nome di un ideale: i diritti naturali, il comunismo, la democrazia. Nondimeno ogni volta l’esito politico – oltre la carneficina – ha assunto la forma di un regime dittatoriale: Robespierre e Napoleone con la Rivoluzione francese; Lenin e Stalin con la Rivoluzione russa; una rinnovata caotica costellazione di dittature mediorientali con le guerre innescate nel 2001 e nel 2003 dall’attacco all’Afghanistan e all’Iraq.

 

Cosa hanno creduto di fare les bleus prima, i rossi poi, quindi i bianchi? Hanno inteso portare la giustizia con la vendetta, la pace con il terrore, la civiltà con la barbarie. Così, in nome della giustizia, della pace e della civiltà sono stati portabandiera sanguinari, terroristici e ignobili. Qualche oppresso si è trasformato in oppressore, qualche oppressore in oppresso per tramite di innumerevoli vittime; ma la vendetta non ha fecondato la giustizia, né il terrore la pace, né l’ignoranza la civiltà. Possibile che tre secoli siano stati inaugurati alla stessa maniera?

 

La Casa Bianca illuminata di blu, bianco e rosso, i colori della Francia
La Casa Bianca illuminata di blu, bianco e rosso, i colori della Francia

 

Vediamo il prezzo che la Casa Bianca ha fatto pagare alle scorribande mediorientali, secondo i dati forniti dalla Brown University, a partire dai conflitti in Afghanistan e in Iraq e includendo le violenze connesse in Siria e in Pakistan. Sono morti: 6.900 soldati americani; 7.000 collaboratori delle attività militari; 15.000 soldati tra afgani, pakistani e siriani; 110.000 combattenti non appartenenti alle istituzioni; 217.000 civili (morti nelle loro abitazioni, al mercato o per strada). Ma non si tratta solo della tragicità delle morti: ogni perdita devasta una famiglia e debilita una comunità. Siamo ad un totale di oltre 350.000 vittime. Ma di vittime causate direttamente dalla guerra. Se si calcolano anche quelle prodotte non dalle azioni dirette, ma dalle condizioni complessive del territorio causate dalla guerra, il numero si moltiplica. Sono le persone morte di fame, di malattia, o in seguito a ferite provocate dai danni subiti dall’ambiente circostante. Una stima indica che ad ogni vittima diretta della guerra ne corrispondano almeno quattro prodotte indirettamente: il totale quindi è senz’altro superiore alle 850.000 unità.

 

 

 

Oltre la follia, i paradossi che seguono. Se si fosse capito cosa significhino i diritti naturali, ovvero l’illegittimità che da essi discende della proprietà privata capitalistica, nonché la democrazia, la quale ha il suo fondamento non nel relativismo – come oggi per lo più si ritiene – ma nella verità, ecco che proprio in nome della verità, la quale sa di essere un lungo processo di educazione che non può essere imposto senza fallire, ci si sarebbero risparmiate quelle giustificazioni inconsistenti che accompagnano le stragi criminali che abbiamo qui ricordato, peraltro attingendo da una collezione molto più ampia. Ma il paradosso non si limita a questo: esso ne ha partorito un altro. Per scongiurare le violenze perpetrate in nome della presunta verità si è creduto di negare l’esistenza delle verità sì che, nessuno essendone depositario, nessuno – si è poco più che fantasticato – si sarebbe arrogato quella presunzione che genera violenza. Invece, senza verità su cui ricercare, su cui confrontarsi, davanti alla quale arrestarsi, grazie alla quale si può essere smentiti, accade che qualsiasi cosa vada bene o, alla meglio, che dopo i primi fallimenti di confronto la si sbrighi con un sonoro “tanto sono solo interpretazioni”. Il bello dipende dal gusto, il bene è soggettivo e la verità non esiste: ecco il Postmoderno, ora perfino più di prima sdoganato con la demenziale e tanto alla moda postverità.

 

Certo possiamo ignorare la verità, ma le centinaia di migliaia di vittime ci sono; possiamo ignorare che non solo non abbiamo esportato la democrazia, ma che forse non avevamo nulla da esportare che si meritasse quel nome – ma è proprio quel che abbiamo inteso fare. Se ne potrà magari discutere più estesamente, posto che tale asseverazione non sia solo un’interpretazione, come (dello stesso valore di) quelle che dicano il contrario.

 

La serie di paradossi culmina in questo scenario con le “prove” dell’esistenza di armi di distruzione di massamai trovate, ma che il regime iracheno di Saddam Hussein avrebbe posseduto –, con le quali si è giustificato l’attacco all’Iraq in quell’infausto 2003. Una menzogna necessaria per dare un fondamento giuridico e morale all’invasione e alla distruzione dell’Iraq. Azione che ha favorito la disgregazione del Medio Oriente che ancora un mondo in preda al terrorismo paga. Quella “verità di comodo” che già allora sembrava tale è stata certificata dalla commissione d’inchiesta, the Iraq Inquiry, sulla partecipazione del Regno Unito.

 

 

Il rapporto della commissione d’inchiesta sul coinvolgimento del Regno Unito nella guerra in Iraq
Il rapporto della commissione d’inchiesta sul coinvolgimento del Regno Unito nella guerra in Iraq

 

L’inchiesta è stata voluta dall’ex primo ministro laburista Gordon Brown nel 2009, con lo scopo di ricostruire gli scenari e l’origine del coinvolgimento dell’esercito di Londra in Iraq. Nel luglio del 2016, dopo sette anni di lavori, la commissione, che ha esaminato 150mila documenti e ascoltato più di cento testimoni, ha spiegato come l’attività di intelligence svolta in vista dell’operazione abbia fornito dati fallaci e nessuno si sia preoccupato di vagliarli. L’intervento armato non era affatto l’unica risorsa a cui ricorrere: altri rimedi alternativi e pacifici per raggiungere il disarmo avrebbero potuto essere adottati. Era senz’altro possibile una strategia di contenimento e il prosieguo delle ispezioni, visto che nel 2003 Saddam non rappresentava una minaccia immediata per l’Occidente. Invece, da allora, l’Occidente è ancor più minacciato; ma, come allora, soprattutto da se stesso.  

 

13 aprile 2018 (pubblicato per la prima volta il 7 febbraio 2017)

 




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