Sulla miseria della filosofia e la sua presunta obsolescenza

 

Boncinelli, Polito e altri affanni. Così negli ultimi giorni, così da sempre ritornano le medesime obiezioni, soltanto pronunciate da nomi diversi. E sempre questa è la storia: coloro che denigrano la filosofia lo fanno a causa della filosofia povera che hanno sviluppato.

 

di Gabriele Zuppa

 

“I princìpi matematici di filosofia naturale” di  Isaac Newton
“I princìpi matematici di filosofia naturale” di Isaac Newton

 

Indicare a che cosa, in che misura e in che modo, si dovrebbero rivolgere gli interessi quotidiani e le imprese conoscitive, esprime esattamente l'istanza filosofica. Storicamente la filosofia è stato questo: la consapevolezza che la condizione per comprendere adeguatamente qualcosa è quell'insieme complesso entro cui è inserito come parte; di più: che l'insieme che è condizione di comprensione di tutti gli insiemi – rispetto a cui sono parti – è la realtà tutta. Fare filosofia è dunque il tentativo di farsi presente quanto più possibile la totalità. Chiunque cerchi di contestualizzare consapevolmente il suo sapere scientifico specifico in una sfera più ampia – per meglio comprenderlo – sta facendo filosofia. Chi non lo facesse, nondimeno, occupandosi della parte, avrebbe una qualche concezione della totalità di cui essa fa parte, anche se implicita, poco meditata, poco sviluppata. Per essere grandi scienziati la condizione è di possedere quell'ampio respiro che è filosofico. Il che non significa avere “studiato filosofia”, anche se studiare il contributo di chi nella storia più di altri ha dispiegato la complessità della totalità dà un contributo fondamentale. Cosa fa allora chi “studia filosofia”? Invece che prendere le mosse dalla parte, come fa lo studioso delle scienze particolari, muove proprio dalle visioni di insieme che si sono sviluppate nella storia. Sia lo scienziato della parte, sia lo scienziato della totalità hanno come compimento della loro impresa conoscitiva la parte in quanto parte della totalità e la totalità in quanto totalità delle parti. L'accesso è diverso, ché da qualche parte bisogna iniziare, ma la meta cui tendere è la medesima, ché medesima è la totalità delle parti da cui e verso cui muoviamo. Poiché da qualche parte si inizia, con ciò è sempre possibile spingersi poco oltre nell'impresa conoscitiva e continuare a trattare la parte solo come tale e riuscire di poco a spingersi oltre. Così accade anche per chi abbia la pretesa di iniziare lo studio partendo dalla totalità, cioè per il filosofo: iniziare ad affrontare la totalità come tale non esime dal calarsi man mano nelle parti che esse stesse sono la totalità. Sì che la legge del contrappasso punisce coloro che con slanci pindarici pretendano di abbracciare la totalità senza calarsi negli intrecci delle sue parti e sentenzia che la stessa totalità debba loro svanire cristallizzandosi in parte. Volere abbracciare l'intero non garantisce che di esso non si afferri che una qualche parte della superficie. Nondimeno, quanto più ci si voglia limitare alla parte per meglio comprenderla, tanto più essa sfuggirà alla comprensione, poiché la parte è le relazioni dell'insieme di cui è parte

 

Jusepe de Ribera, “Due filosofi”
Jusepe de Ribera, “Due filosofi”

 

Così continueremo a sbagliare credendo che esistano la filosofia e la scienza come se fossero due discipline o due mondi differenti di indagine e che la scienza sia andata via via occupando il posto della filosofia e che, quindi, filosofia sia all'incirca ciò che rimane degli avanzi della scienza, relegata alla sfera di ciò che ancora non è scientifico. Questo errore è funesto perché fa apparire inutile la lettura e lo studio dei classici (da Platone a Darwin, da Aristotele a Hawking), quando invece la nostra visione del mondo attuale siamo andata costruendola proprio sulla visione d'insieme che ci hanno offerto. Ed è l'articolarsi della loro filosofia, ovvero della complessità della loro scienza che rende interessanti le varie parti, che ne restituisce la scientificità. Questo errore è altresì funesto perché non favorisce il dialogo delle varie specializzazioni scientifiche e quindi non favorisce quella sintesi che è il risultato cui aspira ogni impresa conoscitiva, cui aspira ogni vita che vuole comprendere se stessa. Per questo si dice che la filosofia riguardi le questioni esistenziali, di senso, ecc. Ed è vero poiché esse muovono le ricerche particolari e proprio perché le comprensioni delle parti restituiscono di volta in volta una diversa comprensione della totalità. Ma è vero perché le singole scienze sono già una filosofia, che si articolerà sempre di più. Sì che la filosofia è quella scienza che restituisce la visione d'insieme delle conoscenze scientifiche.

 

I biologi Edoardo Boncinelli e Richard Dawkins
I biologi Edoardo Boncinelli e Richard Dawkins

 

In questo breve spazio, limitiamoci a leggere sulla quarta di copertina della traduzione italiana de Il gene egoista (1976) di Richard Dawkins, l'edizione del 2006 per il trentesimo anniversario della sua pubblicazione:

 

« Noi siamo «macchine da sopravvivenza, robot semoventi programmati ciecamente per preservare quelle molecole egoiste nate sotto il nome di geni». È questa la rivoluzione ottica con cui Dawkins ha insegnato ai biologi di tutto il mondo a rileggere le teorie darwiniane. Il gene egoista è rivolto a chiunque si chieda qual è il posto dell'uomo nell'universo: un saggio imprescindibile che riesce a semplificare e rendere comprensibili complicati concetti scientifici. »

 

Se Dawkins per quarant'anni ha occupato la scena internazionale, sul palco della cultura italiana da un quarantennio ha il suo peso un altro biologo, genetista e coetaneo di Dawkins: Edoardo Boncinelli. Nella quarta di copertina del suo libro uscito nel 2018, La farfalla e la crisalide, che tratta, come recita il sottotitolo, La nascita della scienza sperimentale, si legge:

 

« quattro secoli fa la scienza ha cominciato a ribellarsi al dominio della filosofia, a conquistare una sua autonomia e a rappresentare una costellazione di discipline che vanno dalla fisica all'intelligenza artificiale. Tra i due approcci, quello filosofico e quello scientifico, si è così spalancato un abisso, che pare difficile colmare. Ma ne vale davvero la pena?

[…] la crisalide è stata ormai abbandonata da una scienza che procede in piena indipendenza. Cosa resta, allora, ai filosofi? »

 

Ciò che Boncinelli pronuncia in questo saggio è un perentorio e derisorio no alla filosofia, poiché sarebbe priva di validità, a differenza della scienza: toccherebbe perciò agli scienziati e non ai filosofi, da essi surclassati, elaborare visioni complessive del mondo, avanzando una sintesi tra le conoscenze che provengono dalle singole scienze particolari, ovvero elaborando una coerente comprensione del «posto dell'uomo nell'universo». Insomma, toccherebbe agli scienziati essere filosofi. Insomma, contro tutte le intenzioni dell'autore, anche la eco di quel fragoroso no è un inevitabile alla filosofia.

 

Il punto è che l'alternativa proprio non si pone, difatti esiste una sola conoscenza, la scienza, che, anche quando si occupa dei particolari, implica una visione del tutto, che tradizionalmente prende il nome di filosofia. Se la scienza non si sa come filosofia, svolge male il suo ufficio conoscitivo: ed è scienza tanto più misera quanto meno è consapevole della visione che implica, quanto più ignora le implicazioni conoscitive che contiene latenti. Se la filosofia non pretende di essere scienza, non è nemmeno conoscenza, ma chiacchiera inconsistente in cui ogni tesi equivale alle sue opposte.

 

Scienza e filosofia non sono perciò comparse nella storia in un certo momento, perché da sempre sono gli elementi imprescindibili di qualsivoglia conoscenza; ma certamente in un certo momento storico gli elementi che da sempre compongono la conoscenza sono stati per la prima volta o più efficacemente esplicitati; e, quindi, magari proprio in virtù della nuova consapevolezza, con più successo perseguiti.

 

Antonio Polito, vicedirettore ed editorialista del Corriere della Sera
Antonio Polito, vicedirettore ed editorialista del Corriere della Sera

 

Il dilettantismo tragicomico di Boncinelli, che emerge qui come nelle altre sue pubblicazioni, è un caso paradigmatico della scarsa comprensione epistemologica e culturale postmoderna. Un altro esempio – oserei dire solo comico – di questi giorni è fornito da un articolo di Antonio Polito apparso sul Corriere della Sera. Si possono leggere affermazione esilaranti come:

 

« l’idea che l’Europa sia qualcosa che ha a che fare principalmente con il mondo delle idee è forse una delle cause principali della sua crisi odierna. »

 

Oppure:

 

« l’ossequio alla filosofia come regina delle discipline umanistiche è anche il principale difetto della cultura partenopea. »

 

Per sparare nel gran finale:

 

« Per quanti sforzi la filosofia possa fare nel tentativo di spiegare la separazione del mondo intellegibile dal modo sensibile, è il mondo sensibile che interessa ai nostri ragazzi. Basta dunque filosofi. A Napoli ne abbiamo già avuti abbastanza. »

 

Così, sostiene, meglio sarebbero un botanico, un economista, un calciatore o un cantante, ecc. Che, a suo dire, sicuramente saprebbero meglio spiegare la complessa visione del mondo che ha portato a concepire l'orizzonte culturale in cui siamo giunti a pensare i princìpi di una comunità politica internazionale e i modi della loro realizzazione. Chissà che i difensori degli ideali europei possano essere proprio le figure indicate da Polito, e che magicamente riescano a capire se stessi e il mondo senza il contributo di chi li ha preceduti, senza studiare, senza un confronto serrato e continuo magari tra loro stessi. Sai mai che possano miracolosamente riuscirci! Se comunque ce la facessero, anche in queste condizioni degradate, sarebbero incredibilmente dei grandi filosofi.

 

8 febbraio 2019

 








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