Quel che resta del tempo

 

Il tempo come qualcosa di proprio di cui si dispone o, meglio ancora, in cui si dispone, eppure non del tutto nostro: in tal senso si scavalca il limite del donare e del prendere, perché il tempo è qualcosa di cui abbiamo sentore, che pensiamo di utilizzare, ma qualcosa di nostro solo in parte.

 

di Tommaso Sgarro

 

 

«Mi dispiace, non ho tempo». Quante volte nella vita avremo sentito queste parole? Avere tempo sembra essere uno dei grandi problemi che ha accompagnato e accompagna la post modernità, anche in questi suoi ultimi sussulti. Non esiste più scansione tra tempo e non tempo (vita/morte), tra tempo esterno e tempo interno, tra tempo del sé e tempo degli altri. Con il venir meno della dialettica dentro/fuori che ha caratterizzato l’età moderna, tutto sembra di fatto essere un dentro che è un fuori. Ma che fine fa questo tempo che affermiamo di non avere?

 

« Le roi prend tout mon temps ; je donne le reste à Saint-Cyr, à qui je voudrais le tout donner  (Il re prende tutto il mio tempo; io dono il resto a Saint-Cyr, ad esso io vorrei donarlo tutto). »

 

Il passo è trattato da una lettera di Madame de Maintenon scritta a Madame Brinon. Madame de Maintinon fu “amante influente” del Re Sole. Se concentriamo la nostra attenzione su quel prend, secondo i termini di una questione già posta da Derrida (Donare il tempo, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, p. 3.), viene da chiedersi: si parla di un dono d’amore della dama francese al Re o di una sorta di “appropriazione di tempo” della donna da parte del Re? Tempo donato o tempo preso? Sicuramente prend non esprime un significato netto, ben delineato, ma gioca tra dono e possesso. Il rapporto tra donna e Re è un rapporto d’amore. Nel rapporto amoroso il tempo preso dall’altro e allo stesso tempo donato all’altro. È uno scambio simbiotico, un prendere assecondato dall’altro, un prendere che è il rapporto stesso. Il Re non prende da Re, prende da amante. Il rapporto temporale che si crea è, quindi, di tipo orizzontale e non di tipo verticale.

Rapporto orizzontale/rapporto verticale nella dialettica del potere, anche questo è stato uno dei temi centrali della modernità. Madame de Maintenon si trova in una relazione temporale bloccata, dove il donare-prendere tempo al Re è un relazionare tutto il suo tempo alla figura del monarca: «Donando tutto il proprio tempo, infatti, si dona tutto, si dona il tutto, se tutto ciò che si dona è nel tempo e si dona tutto il proprio tempo» (ibidem). Sul tempo è stata compiuta una scelta, quella del suo sacrificio nel rispetto del rapporto d’amore. Il voudrais autre è relegato al desiderio, l’altra parte dell’anima vorrebbe trascendere il rapporto di dono-presa incondizionata del tempo, ma non si può. Madame de Maintenon si trova nella condizione del non aver tempo, eppure c’è un resto che quantomeno attesta la sua esistenza: il tempo esiste, ma nel rapporto con il Re si annulla.

 

Ritratto di Madame de Maintenon
Ritratto di Madame de Maintenon

 

Nella lettura moderna del rapporto tra monarchia e sudditi, tutta dentro Hobbes, lo spazio è donato dai sudditi al sovrano in cambio di protezione. La temporalità è, invece, scissa: da un lato il tempo del Re, dall’altro il tempo dei sudditi, del quale il Re, fondamentalmente, non dispone. Il Re ha la tutela materiale della comunità e del suo spazio, ma non entra mai in rapporto con la sfera personale del suddito. Il suddito a sua volta è disposto a donargli il proprio spazio, ma non il proprio tempo. Se il tempo è il luogo in cui l’esistenza umana esprime la sua dimensione sociale, in cui le relazioni umane acquistano senso, l’esclusione del Re dal tempo della comunità lo esclude dalla comunità stessa. Il Re è l’altro dalla comunità. Le rivoluzioni moderne sono state possibili proprio grazie a questa scissione. In un rapporto così scisso, la sfera della comunità dei sudditi ha il grande vantaggio di poter invadere quella monarchica e sovvertirla. Di fatto le rivoluzioni moderne sono passate anzitutto attraverso una ridefinizione in chiave temporale dei processi e delle dinamiche delle forze sociali. Non è un caso che la rielaborazione del calendario è uno degli atti emblematici della rivoluzione francese. Il tempo del Re, quindi, è quello di Dio in terra, di per sé un assoluto da cui si governano le cose, da cui si gestisce lo spazio. Ma si tratta di fatto di un Dio monco, gli manca la possibilità di gestire il tempo degli uomini. 

È la non verticalità del rapporto tra Madame de Maintenon e il Re, a far sì che il Re per la donna non sia il Re, ma un uomo. C’è però un mistero (matematico) nella quantificazione di questo rapporto: la donna vuole donare il resto a Saint-Cyr. Qui sta il dono vero e proprio che trascende il rapporto tra l’uomo e la donna. Se però il Re prende-dona tutto il tempo, cosa rimane? Qual è il resto da donare a Saint-Cyr? Questo dono indica, come fatto notare da Derrida, che la l’amante del Re possiede (proprio in senso giuridico) tempo. Ma come può il tempo appartenere e cosa significa avere tempo?

 

« Se un tempo appartiene, significa che per metonimia, la parola tempo designa meno il tempo stesso che le cose di cui lo si riempie, di cui si riempie, di cui si riempie la forma del tempo, il tempo come forma; si tratta allora delle cose che si fanno nel frattempo o di cui si dispone durante questo tempo. » (Ivi)

 

Il tempo è allora il “luogo” dell’agire umano. Il tempo come qualcosa di proprio di cui si dispone o, meglio ancora, in cui si dispone, eppure non del tutto nostro, sostiene Derrida: in tal senso si scavalca il limite del donare e del prendere, perché il tempo è qualcosa di cui abbiamo sentore, che pensiamo di utilizzare, ma qualcosa di nostro solo in parte. Si delinea una dialettica del dono che eccede ogni logica di scambio. Il resto di questa relazione è ciò che viene donato, nel senso di ciò che viene dato senza interesse e motivo di ricambio, che trascende ogni logica di interesse. Questo resto travalica il rapporto orizzontale e biunivoco e si mostra disinteressatamente a un terzo. Saint-Cyr non è una persona, ma è un luogo. Saint-Cyr è un’Opera Pia per l’educazione di fanciulle povere e di buona famiglia. Il resto del tempo si concretizza come l’impossibile che sotto la forma del tempo si dona alla socialità. Nel rapporto amoroso l’appagamento, sia dei sensi, sia psichico, rappresenta la tendenza che lega amato e amante, il tempo si riempie di questa ricerca di appagamento anche attraverso la semplice presenza di amato e amante. Il resto, invece, individua una tendenza ad un amore di natura sociale, una sorta di tributo disinteressato alla comunità, si configura come il dono di tempo, dell’immateriale, ciò che per sua stessa natura non può essere scambiato. L’impossibile è allora ciò che eccede la relazione tra il Re e la donna, perché solo la fine del rapporto renderà possibile l’uso della totalità del tempo verso il “lavoro sociale”, ma la donna non può fuggire dal rapporto col Re, del quale non dispone, se non con la morte di questo. L’aver tempo per sarà, quindi, il tempo stesso, ma il tempo sarà disponibile solo alla fine del legame col Re.

 

 

Quel tempo che resta è allora veramente tempo, ed esso viene rubato nella dimensione dello scambio sociale. Di per sé, non possiamo non avere tempo perché il tempo è una dimensione propria dell’essere umano ma (tutta qui sta la dimensione paradossale del tempo), donare tempo significa riappropriarci di qualcosa che non è più nostro, ma che è anche quanto di più intimo e nostro abbiamo.

Volendo stare nelle pieghe dell’oggi: come il rapporto che lega Madame de Maintenon al Re, anche i rapporti nella post-modernità sono temporalmente conglobanti. Si pensi al rapporto che si è sviluppato con i social network, o con gli smartphone, intimo e continuo nell’arco di tutta la giornata. Lo scambio indiretto di intimità che avviene attraverso l’uso di questi oggetti social-i è il segno di una nuova organizzazione dei rapporti su scala globale. È un rapporto di simbiosi temporale simile a quello che c’è tra la donna e il Re: in fondo parliamo pur sempre di appagamento. La lettura del passo di Madame de Maintenon, quindi, offre l’idea dei processi temporali che avvengono in ogni tipo di rapporto così forte, così succube. Ma offre anche un’importante altra lettura. Il resto del tempo che viene dedicato al sociale, all’attività che va oltre lo scambio, è il resto che donando valica i limiti temporali del rapporto tra il Re e la donna. L’impossibile che solo può annientare la temporalità assoluta e totalizzante. La morte del Re è il superamento di uno stato di cose legato a un rapporto a due, e l’apertura verso un amore che si fa dono gratuito, non ricambiabile, come tale, privo di scambio. Il resto del tempo che è dedicato agli altri, realizza una temporalità, addirittura più soddisfacente; è la gratuità che soddisfa perché esula dalla pressione dello scambio, che è sempre quantificabile nei termini della prestazione. È la temporalità che si compie in maniera piena, perché si realizza nella sua natura (puramente) ontologica come impossibilità. Il dono del tempo, del proprio tempo crea il Tempo. Avere tempo è averne a disposizione per gli altri disinteressatamente. Il tempo ci appartiene veramente, solo nell’istante in cui esso è a disposizione per la creazione di tempo sociale. Il resto del tempo è il tempo liberato. Il dono come luogo alternativo a ogni logica dello scambio è il luogo della pura temporalità, come della socialità pura. Siamo, quindi, oggi davvero sicuri di avere quel qualcosa che neghiamo alla richiesta dell’altro quando gli diciamo: «non ho tempo»?

 

6 marzo 2020

 




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