Il postmoderno tra tempo e storia

 

Per il postmoderno, la quantità delle azioni che si riescono ad incastrare in un determinato numero di ore dà la cifra del valore di quel tempo speso. Questa efficienza nella partizione della propria vita, scambiata per valore, deriva dall’impossibilità di giustificare le proprie azioni.

 

di Giacomo Lovison

 

Anton Sminck van Pitloo, "La Grotta di Posillipo" (1826)
Anton Sminck van Pitloo, "La Grotta di Posillipo" (1826)

 

Fare più cose possibili nel minor tempo possibile: è questa una delle frasi che riassume l’agire della maggior parte delle persone.

 

Il tempo non è visto come qualcosa di qualitativo, che assume valore in base al significato delle azioni che compiamo, ma viene considerato  uno strumento usato con il fine di ottenere beni materiali.

 

Questa incessante ricerca di ottimizzare la propria partizione del tempo non è a priori qualcosa di sbagliato: la volontà di non perdere la possibilità di compiere le proprie azioni deve però prima essere sottoposta al giudizio sulla bontà o meno del proprio agire.

 

In altre parole: è inutile scervellarsi su come ottimizzare le proprie giornate se si riempiono quest’ultime di futilità. Si finirà coll’avere la possibilità di fare quante più cose inutili nel minor tempo possibile, condannando se stessi a fare fatica per qualcosa che in fin dei conti non si vuole.

 

Su questa idea di tempo, guadagnano popolarità i metodi delle varie personalità di successo che pubblicizzano la loro spartizione della giornata (a che ora svegliarsi, quando mangiare, quanto tempo passare con la propria famiglia, etc.) Migliaia di persone vengono abbindolate da queste stravaganze credendo di aver trovato la chiave del successo da questi “guru del tempo”. Come detto sopra: questa attenzione per l’uso del tempo è vana se non abbinata ad una riflessione sul che cosa si vuole fare del proprio tempo e quindi della propria vita.

 

È come voler diventare un abile giocatore di carte e passare tutto il tempo a nuotare, con la convinzione di acquisire l’abilità nel gioco delle carte attraverso l’allenamento in piscina. Chiunque vedesse quest’uomo,  che per giunta ribadisce la bontà delle proprie azioni, lo riterrebbe pazzo, eppure questo è quello che tutti ogni giorno fanno senza che nessuno si senta anormale per questo.

  

« Al posto del temps durée, della connessione di una vita relativamente coerente, che sfocia nel giudizio, subentra un “ecco” privo di giudizio. Pressappoco come parlano, nel rapido, quei viaggiatori che ogniqualvolta sfrecciano davanti a una località nominano la fabbrica di cuscinetti a sfere o di cemento oppure la nuova caserma, pronti a rispondere incoerentemente a ogni possibile domanda, senza essere interrogati. » (Theodor Adorno, Teoria della Halbbildung)

 

Per il postmoderno, la quantità delle azioni che si riescono ad incastrare in un determinato numero di ore dà la cifra del valore di quel tempo speso. Questa efficienza nella partizione della propria vita, scambiata per valore, deriva dall’impossibilità di giustificare le proprie azioni.

 

Una grande quantità di azioni non dà valore alla propria vita indipendentemente da quello che si fa, così come  un insieme di ragioni poco solide non giustifica il proprio agire. È inutile mascherare se stessi dietro alla molteplicità del proprio agire, illudendosi così di supplire il vuoto di senso che le proprie azioni scontano. Così come è inutile cercare di evitare una punizione per un’ingiustizia che abbiamo commesso:

 

« Se abbiamo commesso un reato, noi o i nostri genitori o gli amici o i figli, o se la nostra patria ha sbagliato, non serve a niente usare la retorica per difenderci […], bisogna costringere noi stessi e gli altri a non avere paura e presentarsi al giudice con coraggio e senza troppe lagne, come si fa col medico quando deve cauterizzare o tagliare. Il dolore non importa […]. Ciascuno sia il primo accusatore di se stesso e dei suoi cari e usi al retorica per mettere bene in chiaro le loro colpe, in modo che si possano liberare dal peggiore dei mali, l’ingiustizia. » (Platone, Gorgia)

 

Così come la prigione può sembrare qualcosa di cattivo a chi ha commesso un reato e si protegge dietro alle parole, allo stesso modo l’uomo nasconde la propria mancanza di fondamenti dietro all’enorme quantità delle azioni illusorie che costituiscono la sua vita. Anche se sembra difficile o spaventoso staccarsi dall’abitudine, la fatica di pensare le ragioni delle proprie azioni sarà ricompensata dalla consapevolezza di aver scelto la propria strada.

Arnold Böcklin, "Rovine sul mare" (1881)
Arnold Böcklin, "Rovine sul mare" (1881)

 

Un altro esempio della fallace concezione del tempo che la nostra società ha è dato dal concetto che molte persone hanno della storia: il passato non è visto come qualcosa di indagabile, come un serbatoio da cui trarre insegnamento, ma viene invece ritenuto qualcosa di lontano e di poco valore, che non può influenzare il presente.

 

Se la realtà presente non è passibile di giudizio, secondo il postmoderno, a maggior ragione il passato è la dimensione della casualità. Nessun fatto è causato dalle strutture che sorreggono la realtà e che permangono anche nel presente, ma la storia è un insieme di fatti casuali studiabili solo per il fatto di poter mostrare un’erudizione fine a se stessa agli altri specialisti della disciplina.

La storia ci dà invece l’opportunità di svelare le strutture che permangono nella realtà. Se è difficile vedere queste costanti concentrandosi solo sul presente, forse lo studio del passato può farci superare questa difficoltà.

 

Se nel presente è difficile vedere osservare le relazioni che collegano le nostre azioni, un determinato evento storico può essere studiato osservando le cause da cui quell’avvenimento è scaturito e le conseguenze che quel fatto ha causato.

 

Invece di essere la manifestazione delle strutture razionali nel tempo, la storia diventa un insieme di pregiudizi che non ci danno la possibilità di capire la realtà. Restiamo fondamentalmente ancorati a conoscenze di “scuola media”: se i dettagli dei fatti aumentano, ma il vero significato degli eventi non viene sviscerato, si rimane essenzialmente vuoti di conoscenze e si passa da un pregiudizio ad un altro

 

Se anche nella storia il grado di errore è presente, non significa che essa non sia utile per migliorare la conoscenza di noi stessi e dell’epoca in cui viviamo. La riflessione sul passato può sembrare qualcosa di distante perché lo è temporalmente parlando, ma questo non vuol dire che lo sia anche concettualmente parlando. 

 

 

 

 

« Quel che importa allora è conoscere, nella parvenza di ciò che è temporale e transeunte, la sostanza che è immanente e l’eterno che è presente. Poiché il razionale, che è sinonimo dell’idea, allorché esso nella sua realtà entra in pari tempo nell’esistenza esterna, vien fuori in un’infinita ricchezza di forme, fenomeni e configurazioni […] che soltanto il concetto trapassa, per trovare il polso interno e pur nelle configurazioni esterne sentirlo ancora battere. »  (G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto)

 

18 marzo 2019

 








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