Sulla “liquidità” delle relazioni umane

 

Con l’inizio della modernità e l’avvento della tecnologia, l’uomo ha rivelato un incontrollabile impulso ad eccellere, arricchirsi e legittimare la propria libertà individuale, trascurando i legami interpersonali. Oggigiorno, la fragilità che caratterizza tali relazioni si insinua in qualsiasi contesto, da quello esclusivamente familiare a quello comunitario, svelando la sofferente solitudine che pervade l’uomo.

 

di Francesca Bocca

 

I cambiamenti sociali che si succedono nei tempi influiscono incisivamente sulle azioni e sullo stile di vita dell’uomo, tanto da vanificare ogni intento di assimilazione delle consuetudini e abitudini umane nelle varie epoche. Specialmente nell’ultimo secolo si è assistito ad un notevole progresso scientifico e tecnologico che ha portato ad un inevitabile seppellimento delle vecchie tradizioni e ad una conseguente nascita di nuove: oggi non si potrebbe far a meno di cellulari, computer, TV e altri strumenti digitali che, se da un lato hanno straordinariamente migliorato la qualità della vita, dall’altro hanno progressivamente smascherato problemi per nulla irrilevanti. I telefoni, ad esempio, pur avendo ridotto significativamente le distanze temporali e spaziali, hanno man mano sostituito le salde e durature relazioni interpersonali con legami fragili e inaffidabili, poggiati sul solo scambio di miseri messaggi via internet. Peggio ancora hanno fatto le televisioni, che, oltre a incollare l’uomo ininterrottamente ai loro schermi, lo hanno persuaso con martellanti pubblicità, a tal punto da trasformarlo in un perfetto consumatore. Ed è così che l’uomo postmoderno ha cominciato ad affidarsi esclusivamente al suo strumento tecnologico, trascurando i valori della famiglia e della comunità, un tempo emergenti.

 

Su questo tema ben si esprime il sociologo polacco Zygmunt Bauman che afferma come la relazione con l’altro sia divenuta, nella società contemporanea, talmente debole e precaria da essere paragonata ad «una zattera di carta assorbente». E così, come un naufrago non si esporrebbe mai alle intemperie con una zattera di tali condizioni, allo stesso modo l’uomo contemporaneo non si affiderebbe mai a relazioni instabili e fugaci per conseguire il proprio benessere.

 

La società globalizzata si mostra pressoché frammentata e priva di alcuna base solida. Ai saldi legami di un tempo, all’interno di una coppia, di una famiglia o più in generale di una comunità, si sono sostituiti legami “liquidi”, tutt’altro che duraturi e sanciti unicamente per profitto personale e privato. L’uomo si getta così in una perenne e arida solitudine e instaura relazioni esclusivamente a suo servizio e vantaggio che rifuggono da ogni responsabilità verso l’altro. Un problema ormai preso sottogamba, ma che sta comportando gradualmente la disintegrazione dei rapporti umani e il declino della comunità.

 

Pietro A. Cavaleri, nel suo libro Vivere con l’altro, tratta la questione ponendo un confronto, già anticipato dalla filosofa Elena Pulcini, fra le diverse forme di individualismo che presero piede con l’inizio dell’epoca moderna. Nella prima modernità, si ha la presenza dell’homo oeconomicus, un individuo razionale e motivato dal desiderio di arricchirsi fintantoché percepisce l’altro non solo come nemico o rivale, ma anche come presenza indispensabile con cui scendere a patti per realizzare il proprio interesse personale. I pochi vincoli sociali che uniscono gli uomini sono unicamente di natura strumentale e si vengono a costituire perché consapevoli della propria fragilità e vulnerabilità. La seconda metà del Novecento, invece, è caratterizzata dalla nascita dell’homo democraticus, ancora vigente oggi. Egli è un individuo indifferente e narcisista e, sebbene non sia aggressivo o indotto al conflitto, si esclude da ogni forma di legame con l’altro; è un individualista che sostiene e legittima solamente i suoi interessi, ma non appena questi appaiono in pericolo, non indugia a invocare sostegno e tutela contraddicendo il suo iniziale desiderio di autonomia. Si viene a formare così una massa di individui privi di ogni interesse a relazionarsi, intolleranti di ogni differenza e tesi ad omologarsi. A queste due figure viene a contrapporsi una terza, fortemente sostenuta da Cavaleri, che prende il nome di homo reciprocus, un individuo completamente aperto alla comunità e sensibile al bene comune. Non percepisce l’altro come nemico o come strumento ai suoi fini, ma come elemento costitutivo della sua stessa essenza. Totalmente consapevole della propria dipendenza dall’altro, si dona spontaneamente a lui e ricerca un legame di reciprocità in cui entrambi si possano riconoscere. In altre parole, «egli è un soggetto “ferito” che ospita l’alterità come sua dimensione interna, come sua differenza costitutiva la quale gli impedisce di ricomporsi nell’illusoria autosufficienza dell’homo oeconomicus o di trincerarsi nella narcisistica indifferenza dell’homo democraticus» (Elena Pulcini, L’individuo senza passioni, 2001).

 

Sta di fatto che con il rapido sviluppo dell’industria e la crescita di un’economia globale, gli antichi legami su cui si fondavano le comunità cominciarono a spezzarsi e a dissolversi, adattandosi alla nuova organizzazione del lavoro. Le attività lavorative diventarono uno degli elementi centrali della propria vita, in quanto portavano a guadagnare un tanto desiderato prestigio personale, sia dal punto di vista economico sia sociale. In questo nuovo scenario iniziò a prevaricare un’élite globale, così definita da Cavaleri, bramosa di accrescere il proprio capitale e di mantenere i propri privilegi, a discapito degli altri lavoratori. Pertanto, la libera concorrenza, oltre ad aver creato un vuoto incolmabile tra ricchi e poveri, ha scalfito le relazioni umane su cui si reggevano le comunità sostituendole con legami unicamente di tipo utilitaristico.

 

Come se non bastasse, con l’evoluzione della tecnologia, alle vecchie comunità si sono sostituite “comunità virtuali” fondate sull’uso sfrenato di cellulari, social o chat-line a cui rimaniamo purtroppo assoggettati. Queste aggregazioni si formano sull’identificazione di un idolo, come l’influencer, o di un modello approvato dalla massa; ciascun individuo cerca di adeguarsi, pur di non sentirsi escluso, divenendo non altro che un consumatore, desideroso di avere sempre di più e di essere alla moda. Ogni cosa diventa merce, perfino l’essere umano, e quando il desiderio viene finalmente appagato non ci si mette molto a sbarazzarsene per essere sostituito con uno di nuovo. In questa nuova realtà, i rapporti sono assolutamente minimi, freddi e astratti, «sono letteralmente “legami senza conseguenze”. Tendono a svanire nel momento in cui i legami umani acquisiscono reale importanza, vale a dire nel momento in cui sono necessari per compensare l’impotenza o la mancanza di risorse dell’individuo» (Z. Bauman, Voglia di comunità, 2000).

 

L’homo democraticus, che completa l’homo oeconomicus, incarna proprio la figura dell’uomo contemporaneo, estremamente voglioso di ricchezza, individualista e apatico. Egli ricerca la comunità omologandosi, rifiutando quei legami autentici e duraturi fondati sul riconoscimento e sulla comprensione dell’altro.

 

Nell’era presente, il fenomeno tende purtroppo a persistere e ad avere ripercussioni su qualsiasi contesto, soprattutto all’interno delle famiglie e delle coppie. Secondo il Rapporto EURES, pubblicato nel 2019, circa il 50% degli omicidi volontari registrati nel 2018 sono avvenuti all’interno della sfera familiare, con un allarmante aumento del 55% dei figlicidi. O ancora, secondo alcuni dati ISTAT del 2019, se il numero dei coniugati è rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi trent’anni, nello stesso arco di tempo il numero dei divorzi è spaventosamente quadruplicato. Tali statistiche dimostrano come i rapporti matrimoniali e familiari siano drasticamente cambiati nell’ultimo periodo. Se precedentemente i legami sentimentali venivano sanciti e regolati da leggi o vincoli religiosi che imponevano fedeltà e rispetto reciproco fino alla morte, ora il solo pensiero di consegnarsi definitivamente all’altro, istituendo un tradizionale legame coniugale, suscita timore e paura di poter perdere la propria indipendenza. La relazione che si viene a instaurare fra due partner è solamente di tipo affettivo, e cessa non appena nascono i primi litigi o fino a quando il proprio bisogno non viene appagato. Un legame talmente fragile e instabile che raramente perdura, e accresce il desiderio di fuggire dall’altro, tant’è che persino la nascita di un figlio diviene solo un ulteriore peso. La continua necessità di realizzarsi nel lavoro compromette anche il legame tra un genitore e il proprio figlio, il quale, soprattutto nel periodo adolescenziale, non trovando nella figura adulta alcun sostegno o disponibilità all’ascolto, tende ad allontanarsi e a chiudersi in sé stesso.

 

Insomma, l’uomo contemporaneo si scopre sempre più solo e incapace di creare e gestire legami sociali; non coglie le emozioni dell’altro, anzi ne rimane del tutto indifferente, e la sua ostinata volontà di autorealizzarsi ne implica l’abbandono. Oggi più che mai, egli ha bisogno di essere capito, compreso e ascoltato, ma in una società globalizzata l’unica via di uscita sembra essere l’isolamento e il nascondersi nella massa.

 

A tal proposito, Pietro A. Cavaleri propone nel suo saggio una “grammatica della relazione”, racchiusa in alcuni punti, con lo scopo di promuovere e sostenere le relazioni umane. L’uomo deve essere in grado di comprendere e leggere le sue e altrui emozioni/intenzioni, da cui poi esprimere azioni coerenti e sentite senza la pretesa di una ricompensa dall’altro; deve saper gestire i conflitti trasformandoli in un’opportunità di crescita e di scoperta dell’altro; e infine deve essere paziente, in quanto una relazione stabile si instaura solo con il tempo e solo dopo aver accettato le diversità dell’altro. In breve, egli deve identificarsi nell’homo reciprocus, prestando cura ai rapporti umani in qualsiasi contesto, all’interno della famiglia, della scuola o della città, in modo che si possano estendere su tutto il mondo. «Se ciascun uomo sarà capace di trasformare la relazione con l’altro in un luogo di accoglienza, in un atto d’amore, in una esperienza non predatoria, ma di cura ospitale, la creazione di una “umanità nuova” può ritenersi con ogni legittimità realizzabile» (P.A. Cavaleri, Vivere con l'altro, 2007).

 

9 gennaio 2021

 









  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica