Per un socialismo in dialogo con il Vangelo

 

Socialismo e cristianesimo, qualcuno dirà, “due storici avversari”. Ma è veramente così? Forse sono stati i cristiani e i socialisti a combattersi, ma Cristo non sarebbe stato nemico del socialismo. Forse è stata la Chiesa che, tra XIX e XX secolo, ha strenuamente combattuto il socialismo, senza rendersi conto di come questo non fosse antitetico alla corretta interpretazione del messaggio di Gesù Cristo. Questa è la tesi del teologo e pastore luterano svizzero Karl Barth (1886-1968), sostenuta nel discorso tenuto presso il Circolo operaio di Safenwil, il 17 dicembre  1911.

 

di Riccardo Sasso

 

Cosimo Rosselli, "Sermone della montagna" (1481-1482)
Cosimo Rosselli, "Sermone della montagna" (1481-1482)

 

Ciò che più di tutto fa storcere il naso, quando si cerca di far dialogare il Vangelo con il socialismo, è la questione del materialismo: il socialismo mette al centro la materia, mentre il Vangelo lo Spirito. Le due prospettive, ad un primo acchito, non potrebbero essere più distanti di così. La questione è però ben più articolata e complessa.

 

La materia, nonostante sia concepita come antitetica allo spirito, è stata creata da Dio e Dio si è fatto uomo in Cristo, venendo nel mondo della materia. Per questa ragione, la materia non può essere considerata nemica del Vangelo che, invece, se inteso correttamente, è esaltazione della materia e invito ad entrare nella storia, farsi parte della situazione, abbassarsi, svuotarsi, abnegarsi, farsi carico. Questo è il profondo senso ermeneutico della Kenosis (Svuotamento) del Figlio. Afferma perentorio Barth:

 

«L’opposto di Dio non è la terra, non è la materia, non è l’esteriorità, ma è il male o […] sono i demoni, il diavolo […]» (Karl Barth, Poveri diavoli. Cristianesimo e Socialismo)

 

Una morale radicata nel Vangelo, quindi, non dovrebbe essere una morale di obblighi moralistici, che rigettano la materia. Al contrario, la morale cristiana dovrebbe essere una morale atta a vivere nel mondo:

 

«Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc. 2,27)

 

Centrale è quindi il Cristo incarnato, come lo definisce il filosofo danese Kierkegaard nelle Briciole filosofiche (1844), il «Dio/uomo». Questa centralità porta alla comunione tra Cristo e gli uomini: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro» (Mt. 11, 28-30). Questa è quella che Pierre Teilhard De Chardin, nel testo postumo L’Ambiente divino, chiama «Ostia universale». Tale concezione eucaristica, come nota Barth, trova una sua assonanza con l’etimologia della parola compagno (mangiare lo stesso pane), con cui i socialisti sono soliti chiamarsi. L’Ostia universale non può essere considerata come qualcosa che si realizzerà solamente alla fine dei tempi, ma deve essere qualcosa a cui si deve tendere già nella quotidianità della vita: nella famiglia, nella fabbrica, nelle relazioni sociali e così via. Cristo invita a rinunciare all’egocentrismo e all’individualismo e far procedere l’umanità verso la dimensione relazionale: una com-pagnia (comunione) per l’appunto, «Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv. 15, 9-17). 

 

Un confronto tra socialismo e Cristo è quindi possibile. In un’affermazione dal carattere audace, Barth dirà: «Gesù si può riassumere in queste quattro parole: movimento per il socialismo», aggiungendo poi: 

 

«[D]’altra parte io credo veramente che il movimento per il socialismo del XIX e XX secolo sia non soltanto la più grande e urgente parola che Dio rivolge al nostro tempo, ma più precisamente si trovi in diretta continuità con quella forza spirituale che […] ha fatto il suo ingresso nella storia e nella vita.»

 

Le parole di Barth sono estremamente significative e vanno meditate con attenzione. Qui si apre un confronto profondo tra Vangelo e socialismo. Il messaggio di Gesù è innanzitutto rivolto agli ultimi e, come argomenta Barth, l’emancipazione dalle catene è promessa non solo nell’Aldilà, ma innanzitutto nel qui e nell’ora, perché il Regno dei cieli si realizza innanzitutto qui in mezzo a noi. Il mondo è nemico di Cristo quando c’è la schiavitù, la povertà, la miseria, lo sfruttamento, la repressione, la guerra, la violenza, la discriminazione e così via. Quando le cose vanno nella direzione dell’ingiustizia, il mondo è nemico di Cristo e, poiché Cristo ha vinto il mondo, lo si può seguire solo quando si cerca l’emancipazione dall’ingiustizia. Il legame tra Cristo e il socialismo, afferma Barth, non deve essere qualcosa di particolaristico legato ad un determinato tempo e ad un determinato luogo: 

 

«Non vogliamo fare di Gesù un socialdemocratico tedesco, francese o argoviese – si tratterebbe naturalmente di un assurdo – ma vogliamo mettere in rilievo il legame intrinseco che sussiste tra ciò che di eterno, di permanente, di generale c’è nella moderna socialdemocrazia, e l’eterna parola di Dio, che in Gesù è divenuta carne.»

 

In ciò si nota la stupidità di chi cerca di legare la “tradizione cristiana” al “mito della nazione”, trasformando il Vangelo in un “nazionalismo religioso”. Questo perché l’emancipazione è qualcosa che possiede un carattere globale e riguarda tutti, la relazione non può instaurarsi solamente tra gli oppressi di una nazione, ma tutti i popoli devono essere uniti al di fuori delle barriere nazionali. Solamente in questo modo è possibile l’autentica emancipazione a cui richiama l’universalità del Dio incarnato.

 

Una tale prospettiva non vuole avere a che vedere con la conversione forzata, un proselitismo o una crociata. Come afferma Barth: «Quello che Gesù ha da offrirci non sono idee, ma un modo di vivere». Per la precisione, l’incarnazione porta con sé anche l’incarnazione dell’Idea. Poiché Cristo è il Logos, il suo “farsi carne” implica una concretizzazione dell’Idea, un’idea che si fa agire. L’essere cristiani non è un mero “predicare bene”, una semplice manifestazione esteriore di devozione. Come si afferma nella Lettera di san Giacomo: «Così la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa» (Gc. 2, 17). Anche Barth si pone su questa linea di pensiero affermando: 

 

«Si può avere un’idea cristiana di Dio, del mondo, degli uomini e della loro redenzione, e con tutto ciò essere dei perfetti pagani. È possibile essere degli autentici seguaci di Gesù essendo atei, materialisti, darwinisti.»

 

 

Una prospettiva che sembra richiamare, sotto certi aspetti, il Cristianesimo anonimo proposto dal teologo cattolico Karl Rahner. Cristo, con il suo messaggio, cerca di innalzare gli oppressi, coloro che sono schiacciati dalla miseria del mondo. Gli ultimi sono i prediletti della predicazione e dell’azione di Gesù. Nella definizione di “socialismo” proposta da Barth, questo ha un carattere di totale assonanza con il Vangelo: «Il socialismo è un movimento dal basso verso l’alto» e «chiunque legga il Nuovo Testamento dovrebbe restare colpito dal fatto che Gesù è stato, ha voluto, e ha ottenuto, considerato dal punto di vista umano, era esattamente un movimento dal basso». Affermazione ancora più evocativa e decisiva è la seguente: «Gesù non era un pastore, non era un parroco, era un operaio. Giunto al trentesimo anno di età, ha appeso al chiodo i suoi arnesi, e ha cominciato a girovagare da una località all’altra perché aveva qualcosa da dire agli uomini». Gesù non era un predicatore dal pulpito, ma viveva come un uomo tra gli uomini, accompagnato dalle categorie della popolazione più disprezzate della società dell’epoca. Lo stesso si deve fare oggi, se si vuole essere autentici imitatori di Cristo, anche quando questo comporta il disprezzo e il dissenso dei campioni della mentalità dominante: «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti» (Lc. 6, 26).

 

L’annuncio del Regno, perciò, non deve essere qualcosa che avviene dall’alto del pulpito e poi rinnegato nell’agire quotidiano, l’annuncio di Gesù si dispiega nell’atto della sua realizzazione dal basso verso l’alto, perché solamente entrando all’interno della situazione di oppressione è possibile riscattarla. Gesù, è vero, predicava anche nelle sinagoghe, ma la sua attività principale, come detto, era lo stare in mezzo alle genti, agli ultimi, ai lebbrosi, agli ammalati, ai pubblicani e alle prostitute. Sostiene Barth che «Gesù si sentiva inviato ai poveri, agli umili: questo è uno dei dati più indiscutibili che ricaviamo dalla storia del vangelo». La predicazione si accompagnava all’attività della guarigione, dell’esorcismo e così via. Così rimarca anche Barth affermando che «Gesù non ha soltanto parlato, ma ha anche agito in questo mondo». Le parole di Gesù non sono mai parole della passività e dei pensieri da “anime belle”, ma invito all’azione, alla pratica, all’essere nel mondo, all’abbassarsi: «Vendi quello che hai, poi vieni e seguimi» (Mc. 10, 21). Ciò che è quindi centrale è l’impegno e la responsabilità, il farsi carico delle necessità altrui e della situazione concreta. Il Vangelo è l’invito all’uscita dalla propria situazione abitudinaria per assumersi, sulle proprie spalle, l’impegno dell’emancipazione da tutto ciò che opprime la condizione dell’uomo libero, la libertà che rende l’essere umano a immagine e somiglianza di Dio, la sua grande nobiltà che non può essergli tolta da una società oppressiva.

 

Il messaggio di Gesù, come quello del socialismo, si rivolge agli sfruttati e agli oppressi e non per consolarli e lasciarli nella loro condizione di miseria promettendo loro la felicità solo nell’Aldilà, l’Aldilà (il regno di Dio) incomincia in questo mondo; attraverso il lieto annunzio e la liberazione degli oppressi nel mondo. Barth, nel suo discorso, rimarca questo concetto a più riprese, una delle affermazioni più significative è la seguente: «Lo ripeto: non si trattava di una sussiegosa compassione dall’alto verso il basso, ma dell’esplosione di un vulcano dal basso verso l’alto». Questo concetto deve essere ben chiaro, si deve fare attenzione a non confondere queste affermazioni con un vuoto sentimentalismo filantropico. Il vuoto sentimentalismo s’inserisce nel paradigma della società delle diseguaglianze che, sotto la parvenza di una falsa generosità, non cambia il mondo, ma contribuisce a lasciarlo allo stato attuale. Cristo non pensava a qualcosa di questo genere, Barth lo ribadisce con estrema chiarezza affermando: «[le affermazioni di Gesù] non possono essere interpretate come parole consolatorie pronunciate da un filantropo con tono di condiscendenza». Il Vangelo non accetta compromessi, ma invita ad un cambiamento alla radice. Il suo messaggio è qualcosa d’inaudito: «Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi» (Mt. 20, 1-16).

 

Jean-François Millet, "Pastorella con il suo gregge" (1863 ca.)
Jean-François Millet, "Pastorella con il suo gregge" (1863 ca.)

 

A questo punto però sorge un quesito che, lo stesso Barth mette in evidenza: il significato dell’espressione “regno di Dio”. Qualche detrattore potrebbe individuare un’incongruenza e un punto di contrasto con il mondo socialista. Sembra esserci un’ennesima contraddizione tra la materia e lo spirito. Tuttavia, questo dualismo scaturisce dall’aver sempre cercato di attenuare la portata rivoluzionaria di Gesù, nel blasfemo tentativo di farlo coincidere con la mentalità gerarchica portata avanti da una certa lettura conservatrice della società. Barth critica spietatamente l’idea che il messaggio di Gesù sia solo un conforto verbale e non una pratica. Egli afferma che «se ci avviciniamo a Gesù, l’intero quadro dei rapporti tra spirito e materia, tra cielo e terra, muta completamente. Per lui non esistono questi due mondi, ma solo l’unica realtà, quella del regno di Dio». In questo senso, si ha un’ulteriore occasione di confronto con il socialismo: se v’è solo il regno di Dio, allora, anche l’idea di sacralità della proprietà privata viene meno. I beni della terra sono stati messi a servizio dell’umanità, Dio è l’unico che può vantare la proprietà di ciò che esiste sulla terra e, nonostante ciò, non ha voluto concedere con parsimonia i beni della terra. Dio si è incarnato e non l’ha fatto per essere servito, ma per servire. Non è quindi legittimo, così come per un socialista, anche per un discepolo di Gesù, che ci siano individui che vivono nello sfarzo e nell’opulenza e altri nella più totale miseria e povertà. Ciò ci conduce alla critica dell’economia capitalistica. Tale critica viene promossa dall’attuale pontificato di Papa Francesco, secondo il quale v’è bisogno di una «[r]isposta sollecita e vigorosa a questo sistema economico […] dove al centro c’è un idolo il dio-denaro» e dal pontificato di Giovanni Paolo I: «La proprietà privata non è un diritto assoluto e inalienabile». Barth individua allora un nuovo punto di contatto tra Cristo e il socialismo: entrambi si trovano d'accordo nell'affermare che il sistema capitalistico (basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione) non garantisce il benessere e lo sviluppo di tutti gli esseri umani, pertanto non ha senso di sussistere: «Il socialismo argomenta: è un’ingiustizia che un lavoratore venga compensato per le sue prestazioni in questo modo [secondo le regole del capitalismo], mentre l’altro intasca l’intero vero guadagno del lavoro comune». Se il sistema di mercato non garantisce l’affermarsi di una concreta giustizia sociale, allora, occorre iniziare a pensare a delle soluzioni alternative.

 

Il regno di Dio, quindi, si deve realizzare qui sulla terra prima di tutto, come afferma Barth: «la redenzione non consiste nel fatto che lo spirito si svincoli dalla materia e che l’uomo “vada in cielo”, ma nel fatto che il Regno di Dio arrivi fino a noi nella materia, su questa terra». E se ancora non siamo convinti, ci basti leggere Matteo 25, 35-44 dove Gesù asserisce che, nel giorno del Giudizio, sarà salvo chi ha vestito gli ignudi; chi ha recato visita ai carcerati e gli ammalati; chi ha sfamato gli affamati; chi ha dissetato gli assetati. Lo stesso Barth riconosce questo fondamentale aspetto:

 

«Gli uomini vengono divisi [nel racconto del giudizio universale] tra destra e sinistra non in base alla natura del loro spirito […]. Lo spirito che ha valore agli occhi di Dio è lo spirito sociale»

 

Le affermazioni di Gesù che richiamano alla spiritualità e all’interiorità che, come osserva anche Barth, sono state usate come antitesi al socialismo, e come gli stessi socialisti hanno finito per ritenerle antitetiche al loro credo politico, non perdono la loro validità. Esse, però, acquisiscono il loro significato quando si estrinsecano e diventano realtà concrete. Dice ancora Barth: 

 

«Tutte quelle parole sull’eminente valore dello spirito e dell’interiorità […] sono perfettamente valide: Gesù conosce e riconosce solo quel Regno di Dio che è dentro di noi. Ma esso deve acquisire la signoria su ciò che è esterno, sulla vita reale, altrimenti non è degno del suo nome.»

 

Gesù voleva creare un mondo nuovo in cui fosse stata la giustizia ad avere il suo primato e, per far ciò, occorrevano uomini nuovi che fossero zelanti nel loro mandato. In questo concetto, Barth individua un ennesimo elemento di contatto con il socialismo: «Essa [la socialdemocrazia] ci stimola ad abbandonare l’adorazione ipocrita e inerte dello spirito e quell’inutile cristianesimo che si prefigge solo di “guardare al paradiso”». Ciò significa che, un cristianesimo che non incentiva a entrare nella storia e a cambiarla, non può fregiarsi del nome di Cristo ed è, come ci dice Barth, un qualcosa di vuoto e del tutto inutile

 

8 agosto 2022

 









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