Alla riscoperta dell'amore tramite la poesia di Catullo

 

«Dammi mille baci, e poi cento, poi altri mille e altri cento, poi ancora altri mille e altri cento». Il poeta Gaio Valerio Catullo viene investito dall’onda inebriante dell’amore, spesso venendone travolto, ma beneficiando della vitalità che esso porta.

 

di Michele Ciraci

 

A. Canova, "Adone e Venere"
A. Canova, "Adone e Venere"

 

In un’epoca di omologazione culturale, nella quale si è imposto un unico modello di vita (quello consumistico), assistiamo ad un totale appiattimento delle emozioni che, sovente, sfocia in una mercificazione dell’amore. Odiernamente, Eros è vittima di un processo di volgarizzazione e banalizzazione della sua natura stessa: il vero senso dell’amore è caduto in oblio a causa di una società che se ne serve solo a scopo folcloristico e consumistico. Troppo frequentemente udiamo persone invocare l’aggettivo “Amore” invano, non per qualificare la persona, bensì con l’unico scopo di richiamare l’attenzione della suddetta a sè. È chiaro, di conseguenza, che la parola “amore” ha perduto qualsiasi significato originario, divenendo quasi un’intercalare tra un discorso e l’altro.

 

In virtù di quanto appena affermato, ritengo che mai come oggi ci troviamo dinanzi alla necessità di rievocare un poeta che ha fatto dell’amore la sua ragione d’essere: Gaio Valerio Catullo. Dalle sue poesie è possibile cogliere l’amore in tutta la sua potenza, discernere i suoi aspetti positivi e negativi e analizzarne le conseguenze. I componimenti del poeta trasudano di passione e amore sfrenato, così come di tormento e dannazione. 

 

L’oggetto del desiderio di Catullo era una donna più grande di lui di ben dieci anni, Lesbia. In realtà, Lesbia non era altro che uno pseudonimo dato dal poeta allo scopo di nascondere la vera identità della donna e non compromettere, così, la sua reputazione. Tuttavia, il tentativo di celare le sue generalità furono vani, giacché noi stessi siamo venuti a conoscenza di chi ha scaldato (e talvolta bruciato) il cuore di Catullo. Infatti, si tratta di Clodia, moglie di un politico e sorella del tribuno della plebe e alleato di Cesare, Clodio. Clodia non godeva di un’ottima reputazione e, a dirla tutta, non era certamente colpa delle poesie di Catullo: le sue doti da “sfiancatrice di reni” - per dirla come Catullo in un suo componimento - erano note a tutta Roma. 

 

Ad ogni modo, discostandoci parzialmente dalla storiografia e avvicinandoci alla poesia, possiamo venire a contatto con uno degli aspetti più importanti scaturiti dall’amore. Invero Catullo, in uno dei suoi componimenti, nonostante Lesbia sia più grande di lui, la percepisce come una puella, ossia una fanciulla, e scorge dalla sua essenza i tratti più dolci e teneri. Catullo è incurante della brutta fama della donna: non importa se gli altri uomini la vedano meramente come un’attrazione sessuale, l’amore del poeta lo induce a riconoscere l’immensa soavità di Lesbia, la quale non è visibile agli occhi di alcun altro. È qui che risiede il vero senso dell’amore: vedere quello che gli altri non vedono, scovare quello che gli altri non scovano. Agli occhi di Catullo, malgrado la brutta nomea, Lesbia è una ragazza innocente, spensierata, dotata di atteggiamenti e movenze fanciullesche. Inoltre, a differenza dei tanti maschi che le gravitano attorno, Catullo riconosce altresì la sua intelligenza. 

 

 

Tuttavia, non bisogna fraintendere le emozioni che il poeta prova per Lesbia: l’amore non è certamente quello che si definisce “platonico”. Difatti, oltre ai sentimenti d’affetto e di stima, Catullo è attratto dalla donna anche al livello sessuale. E non potrebbe essere altrimenti: un amore privato della sfera sessuale, sarebbe equiparabile a quello che si prova per una madre o un fratello, il cosiddetto bene vellae.

 

Infatti, nelle poesie di Catullo si delinea una dicotomia in ambito amorevole: si distingue l’appena citato bene vellae e l’amare. Il "voler bene" (già esposto in precedenza), è un sentimento di stima e dolcezza, mentre con "amare" si indica il coinvolgimento di tutti i sensi, degli impulsi sessuali e carnali. 

 

In merito al dualismo succitato, è importante aggiungere che bene velle e amare sono inversamente proporzionali. Difatti, nel momento in cui viene alla luce un tradimento all’interno della coppia, per il partner tradito cresce la passione (amare) e diminuisce conseguentemente la stima (uno dei sentimenti afferenti al bene velle). 

Nella poesia riportata in seguito emerge chiaramente ciò che ho appena asserito:

 

« Dicebas quondam solum te nosse Catullum,

Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.

Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,

sed pater ut gnatos diligit et generos.

Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,

multo mi tamen es vilior et levior.

Qui potis est, inquis? Quod amantem iniuria talis

cogit amare magis, sed bene velle minus. »

 

« Una volta dicevi di conoscere solo Catullo,

Lesbia, e di non voler avere nemmeno Giove al posto mio.

Una volta ti amavo, non tanto come la gente comune ama un’amica,

ma come un padre ama i generi ed i cognati.

Adesso ti ho conosciuto: perciò anche se ardo con maggiore violenza

tuttavia mi sei molto più senza valore e di poca importanza.

Come è possibile dici? Perché tale offesa

costringe l’amante ad amare di più, ma a voler bene di meno. »

 

Inoltre, nell’amore Catulliano sussiste un rapporto "Odi et amo". Difatti il poeta, in una poesia che prende il nome proprio da tale rapporto, esprime tutta la sua confusione in merito a quello che si potrebbe definire un ossimoro.

 

È possibile provare due sentimenti così contrastanti tra di loro (amare e odiare), che in apparenza si respingono, nei confronti di una medesima persona? Paradossalmente sì. La risposta più plausibile a un tale quesito è che si odia la persona amata perché quest’ultima fa azioni inaspettate, tradisce la fiducia del rapporto e ferisce, in tal guisa, il nostro animo. Ed in effetti, Lesbia tradirà più volte il nostro poeta. Ciò porterà Catullo a provare l’odio appena descritto e, peraltro, ad esprimersi in modo molto dispregiativo nei riguardi della donna.

 

« Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.

Nescio, sed fieri sentio et excrucior. »

 

« Odio ed amo. Perché lo faccia, mi chiedi forse.

Non lo so, ma sento che succede e mi struggo. »

 

In aggiunta, nel mos maiorum l’amore era considerato una distrazione giovanile, inutile ai fini della vera missione dell’uomo romano: la politica. Lo stesso matrimonio si presentava meramente quale un affare tra famiglie, con le relative doti. Al contrario Catullo, in modo anti-convenzionale, pone al centro della sua esistenza l’amore, spesso venendone travolto, ma comunque tale sentimento lo rende vivo. 

E malgrado il suo amore, a causa dei tradimenti di Lesbia, «è caduto come un fiore che al margine del campo l’aratro ha falciato», Catullo rammenterà sempre il momento in cui lo stesso fiore lo rapiva e lo inebriava. 

 

« Ille mi par esse deo videtur,

ille, si fas est, superare divos,

qui sedens adversus identidem te

spectat et audit

dulce ridentem, misero quod omnis

eripit sensus mihi: nam simul te,

Lesbia, aspexi, nihil est super mi

vocis in ore,

lingua sed torpet, tenuis sub artus

flamma demanat, sonitu suopte

tintinant aures, gemina teguntur

lumina nocte. »

 

« Mi sembra uguale ad un Dio, 

mi sembra, se lecito, superiore agli dei, 

l’uomo che ti siede di fronte, sempre ti guarda e sente il tuo riso dolcissimo; questo a me infelice togli tutti i sensi - appena ti vedo, Lesbia, non mi riesce più di parlare, la lingua si fa torbida, un fuoco sottile mi corre sotto la pelle, le orecchie rimbombano, gli occhi sono velati dal buio. »

 

In conclusione, la nostra società sta portando a termine un’operazione di tecnicizzazione del nostro vissuto: l’otium, vale a dire tutte le discipline legate al pensiero (incluso l’amore), e non inteso nel senso corrente del termine, non è ritenuto più il fine della nostra esistenza. Ed invece è proprio l’otium a dover essere lo scopo della nostra vita, dal momento che è quest’ultimo a riempire le nostre giornate, a farle assumere colore e a tenerci vivi. Dobbiamo rincorrere l’amore, farci scalfire da esso, proprio perché è la prova che siamo nel pieno della nostra vitalità. Come Catullo, dobbiamo vivere intensamente ogni attimo, farci investire dalla passione, dannarci per un amore. Coltiviamo la bellezza che è in noi, curiamoci anche esteticamente, ma non dobbiamo perseguire un unico standard di bellezza: è la diversità a renderci interessanti e, soprattutto, unici. 

 

 

« Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino. Noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana. E la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita. » (Robin Williams, L’attimo fuggente)

 

 

14 ottobre 2022

 









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