Il valore dell'arte al vaglio dei nuovi media

 

Due fattori accompagnano l’umanità da sempre: i media, come intermediari della percezione verso il mondo circostante, e l’arte, come espressione di una realtà in cui l’uomo si riflette. Nel momento in cui i primi operano, anche l’arte subisce modifiche. Ciò è possibile osservarlo nella società contemporanea dove, a fronte di nuovi media, il mondo dell’arte ne viene attraversato, offrendo nuove strade al suo interno e anche reinterpretazioni di quelle già in auge.

 

di Tommaso Donati

 

 

Ogni epoca deve fare i conti con i suoi media: qualsiasi dispositivo in grado di frapporsi tra individuo e mondo circostante gioca un ruolo fondamentale nella conoscenza. L’utilizzo di questi comporta un modellamento della percezione stessa, in quanto ognuno offre certamente contatto con l’esterno ma al contempo, nel suo uso, richiede un adattamento alle funzioni che offre. Tutto ciò risulta in un vero e proprio training sensorio grazie a cui si riesce a stare al passo con la società. Ecco che così si va incontro anche un cambio di atteggiamento verso il mondo circostante: nuove pratiche e atteggiamenti prendono il posto di altre che prima erano in vigore. Questo cambiamento riguarda anche l’arte: nella sua continuità come fenomeno che accompagna la specie umana dall’alba dei tempi, permette di mostrare una diversa fruizione e un diverso valore che ottiene nel corso delle epoche e dei media.

 

Carattere primario di ogni opera d’arte è un legame profondo con la terra natia, con il luogo in cui è nata. L’autenticità di questa prende piede entro un orizzonte culturale preciso, che le dona gli albori e il significato intrinseco, il suo hic et nunc, ciò che la rende unica. Questa ‘aura’, così chiamata da Benjamin, è unica e irripetibile, e determina la qualità propria di quella precisa opera d’arte:

 

« Proprio in questa esistenza irripetibile, e in nient’altro, si è compiuta la storia a cui essa è stata sottoposta nel corso del suo perdurare. In quest’ambito rientrano sia le modificazioni che essa ha patito nella propria struttura fisica nel corso del tempo, sia i mutevoli rapporti di proprietà in cui può essere capitata. » (W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica).

 

L’autenticità si fonda su tutta la storia che riguarda quel preciso artefatto: non è solo ciò che si vede, ma anche tutto ciò che cela in sé e ha significato per popoli interi. Venendo a mancare questi tasselli, l’opera viene degradata a oggetto comune, perdendo il suo senso primo. Confrontandoci con il mondo di oggi, notiamo che questa aura è stata deturpata. Ciò è iniziato in primis con l’apertura di possibilità di riproduzione sconosciute dal mondo antico. Certamente in passato è esistita una possibilità di riprodurre oggetti, ma si riduceva alla capacità manuale: necessitando di una certa maestria e di una certa tecnica appresa nel tempo, anche queste riproduzioni non svilivano l’autenticità dell’opera, ma anzi la affermavano ulteriormente sottolineando la capacità richiesta per ottenerla. Ecco che allora si faceva i conti con anche un’altra sfaccettatura della unicità legata all’impegno, alle difficoltà e alla bravura dietro alla realizzazione dell’unicum artistico. Considerato anche come non tutti avevano le possibilità di giungere a tali livelli di abilità, ecco che l’aura veniva salvaguardata.

 

Nella società contemporanea, l’avvento della fotografia ha generato un grosso cambiamento per quanto riguarda la riproducibilità. Con questa ogni limite viene sorvolato: ognuno può scattare una fotografia di quella precisa opera, non è più richiesto possedere delle capacità frutto di esercizio nel tempo ma basta un click, un semplice movimento che richiede poco tempo. Questa riproducibilità inverte il rapporto opera-fruitore: se prima era il secondo che doveva dirigersi alla prima per gustare di quell’opera, adesso è la prima che si dirige dal secondo, tramite fotografie presenti su giornali e riviste:

 

« [La riproducibilità tecnica] consente di andare incontro al fruitore, nella forma della fotografia oppure in quella del disco. La cattedrale abbandona la propria ubicazione per trovare accoglienza nello studio di un amatore d’arte; il coro che è stato eseguito in un auditorio oppure all’aria aperta può venire ascoltato in una camera. » (Ivi).

 

Altro elemento innovativo che si aggiunge è una democratizzazione dell’arte: tutti, di ogni classe sociale, possono usufruire come e quando vogliono di quella opera, tramite i più disparati media. A vantaggio di questo, qualcos’altro viene meno: il valore cultuale che designava quella opera come un unicum viene deturpato, a fronte di un valore espositivo fine a sé stesso:

 

« Con l’emancipazione dei singoli esercizi artistici dall’ambito del rituale, aumentano le occasioni di esposizione dei prodotti. L’esponibilità di un ritratto a mezzo busto, che può essere invitato dovunque, è maggiore di quella della statua di un dio che possiede una propria dimora permanente all’interno di un tempio. » (Ivi).

 

Ecco che l’arte viene goduta quasi con leggerezza, senza intenzione di focalizzarsi davvero su cosa si ha davanti. Questo cambiamento offerto dal training sensorio ha aperto negli ultimi decenni ad altrettante nuove riqualificazioni del valore dell’arte. Con l’avvento di Internet, infatti, si va oltre la riproducibilità tecnica: l’arte diventa accessibile da ogni schermo, costruendo una rete connessa entro cui si può raggiungere ogni cosa, senza necessariamente partire da qualcosa di specifico. Non ci si limita più a una singola foto di un’opera, ma si ha accesso a un intero insieme di queste. A ciò si somma anche l’esplosione della globalizzazione, che completa il quadro: ogni angolo del mondo diviene un tutt’uno, non ci sono più limiti ai trasporti e tutto può circolare in ogni dove, creando un mercato che ingloba ogni cosa. L’arte stessa ne risente: eliminato l’ultimo sintomo di aura tramite internet (ci si imbatte nell’arte casualmente tramite i continui rimandi e collegamenti) ecco che diviene una valuta internazionale. Il valore di un’opera si batte all’asta, pronta a passare nelle mani di qualcuno che, nuovamente, è disposto a ricavarci più di quanto ha speso, vendendola nuovamente.

 

Walter Benjamin (1892-1940)
Walter Benjamin (1892-1940)

Anche l’istituzione museale rientra in questa analisi a pieno titolo, modificando radicalmente l’esperienza estetica: circondati da una moltitudine di opere, sculture, quadri, ci si sente accerchiati da una quantità che supera la possibilità di poter osservare e ‘fare propria’ ogni singola opera. Il museo diventa un unico grande medium entro cui si ha un bagaglio di informazioni storiche e archeologiche dell’arte, ma dove gli spettatori camminano per i corridoi quasi passivamente per soffermarsi su quelle opere che hanno maggior risonanza pubblica: è il caso della Gioconda di Leonardo esposta al Louvre di Parigi, dove tutti la fotografano ma nessuno la vede per quello che è davvero.

 

Tutto ciò non è una rovina per l’arte, ma, come già detto, semplicemente risponde a un nuovo approccio percettivo. Se però questo è una condizione che non può essere altrimenti, quello che può invece cambiare è come si agisce entro essa. Non esiste una strada unica che porta solo a questa assimilazione dell’arte come valuta e passività artistica. Il nuovo sguardo può partire dal mercato stesso dell’arte: data la fluidità con cui le opere possono essere spostate in lungo e largo, diventa un valido alleato affinché l’arte possa rivendicare un valore non eterogeneo.

 

Nonostante la morte dell’aura, queste connessioni continue permettono di venire a conoscenza di orizzonti culturali diversi dal nostro. Non si tratta di soffermarsi sulla storia documentata dell’opera, ma di andare oltre per conoscere che cosa ha significato per la cultura e il tempo da cui proviene. Il valore che può essere riscoperto riguarda il “che cosa” ha portato gli esseri umani a creare quell’artefatto; questo non potrà mai essere eliminato dall’opera in nessun modo, ma, anzi, la possibilità di poter circolare liberamente permette contatti tra prospettive diverse:

 

« Invece di un nimbo irradiante di autenticità sottoscritto dalla specificità del sito, abbiamo il valore della saturazione, di essere ovunque allo stesso tempo. Al posto dell’aura, c’è il buzz. » (D. Joselit, After Art).

 

La saturazione offerta dai social e dai mass media permette di venire a contatto con culture, epoche, tempi diversi dal nostro. Quindi, possiamo ricavare un nuovo valore che riguarda più strettamente i rapporti umani: un valore interumano, un valore che si riconosce quando ci si rende conto che ogni artefatto porta con sé una visione del mondo che può essere integrata alla nostra. Ogni arte racchiude un mondo, saperlo ascoltare può permettere una unione tra esseri umani. 

 

Se l’aura rimanda a un conservatorismo artistico, e quindi a un legame rispetto al sito di origine dell’artefatto, il mercato ricerca una apertura totale dell’arte oltre i confini, e questo ‘ascolto’ si colloca a metà strada: partire dal proprio orizzonte culturale per poter iniziare una comunicazione con altri orizzonti. Ogni civiltà ha voluto esprimersi tramite l’arte, ciascuna a suo modo, alla ricerca di un cosmo e di un senso entro cui vivere. Poter partecipare a questi può solo riempire di umanità.

 

Ecco allora come il mondo dell’arte permette di ricercare e costruire l’essere umano: lo stile con cui ogni artista e/o civiltà è andato ad esprimersi è una visione del mondo apprezzabile non soffermandosi su quello che si vede, ma andando oltre. Qualsiasi analisi o critica può solo guidare verso quella strada, ma il vero valore dell’arte si cela nel rapporto che si crea tra l’autore, che rappresenta quel che c’è di più umano in lui, e il fruitore, che ha il compito di andare a fondo di quell’opera in modo autonomo. In questo modo, l’arte risulta essere uno specchio entro cui l’umanità si rivede e si riconosce, approfondendosi. Ogni pezzo d’arte richiede un confronto e un ascolto: non si ha davanti solo ciò che si ha davanti, ma si ha davanti qualcosa in più di unico rispetto alla sua controparte puramente materiale:

 

« Come opera d’arte, Brillo Box fa più che insistere di essere una scatola di Brillo Box sotto il profilo di attributi metaforici sorprendenti. Fa quelle che le opere d’arte hanno sempre fatto-esteriorizzare un modo di vedere il mondo, esprimere l’interiorità di un periodo culturale, offrire sé stesse come uno specchio per cogliere la coscienza dei nostri re. » (A. Danto, La Trasfigurazione del Banale. Una Filosofia dell’arte).

 

Tutto ciò però non prefigura esclusivamente che il valore stesso dell’arte si rifletta solo nel nostro atteggiamento ed apertura verso di essa. In direzione opposta, si fa strada un altro medium che tutela l’esistenza del mondo dell’arte stesso da infossamenti o distruzione: si tratta della tutela dei beni culturali, che offre la possibilità a quelle opere non movibili di essere riconosciute in quel mondo.

 

In questa società dedita alla distrazione, è facile nella vita quotidiana non badare a fontane, rovine, resti di civiltà ed epoche passate e anzi viviamo un paradosso: tramite i nuovi media, volgiamo il nostro sguardo a mete sempre più lontane. Così, queste ultime diventano più vicine, attratte da bolle mediali, mentre quelle più vicine sprofondano quasi nel rumore di sottofondo quotidiano. Non farebbero mai ritorno alla nostra visione se non fosse per il vandalismo: tramite il danneggiamento di queste opere, la loro aura torna più forte di prima. L’atto di sfregio all’arte comporta un incremento del valore dell’arte stesso, e subito tutti ristabiliscono un contatto con quell’antico valore cultuale: l’attacco viene recepito come un affronto alla propria identità culturale. Il vandalo, nel suo tentativo di occupare lo spazio dell’opera come se fosse un semplice strumento per comunicare un messaggio diverso da quello effettivo (solitamente un atto di protesta e/o di propaganda), ottiene un effetto contrario, riportando al centro in quello spazio l’arte con tutta la sua imponenza. 

 

Questo momento di crisi è momentaneo: il rischio è che, terminata la bolla mediale, tutto torni a sprofondare nel rumore e che, a mano a mano, il mondo dell’arte si disgreghi a seguito di continui attacchi vandalici. Il problema a questo punto è quello di poterlo salvare e poterlo vivificare, proprio tramite il diritto. Ecco quindi come nasce la tutela dei beni culturali: tale sistema di leggi giuridiche potremmo definirlo un medium che traduce quel valore cultuale in un insieme di norme che permettono al passato di continuare a vivere nel presente. Questa ‘filosofia della tutela’, offre uno strappo nel rumore di sottofondo: se pure si rimanesse esterni e non si vivesse in modo attivo quel mondo, l’aura si reincarnerebbe in qualcosa di diverso che difende l’arte sancendo la sua sopravvivenza. Il diritto diventa garante del mondo dell’arte. 

 

I media modellano la percezione dell’arte in entrata garantendo una salvaguardia di quel contatto con il mondo dell’arte, offrendoci in uscita uno spazio molto più ampio di manovra in quel mondo. Questo mondo dell’arte non viene a soccombere di fronte ai media, ma viene a reinterpretarsi in un sentiero scavato da questi.

 

7 agosto 2023

 








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