Il giorno che durò più di un secolo: un capolavoro sovietico da riscoprire per leggere il presente

 

Il romanzo filosofico di Ajtmatov, il più eminente scrittore kirghiso, ci aiuta a riscoprire come negli anni ottanta, nelle repubbliche sovietiche, si erano fatti i conti col passato per gettare nuove basi. Il metodo con cui vengono trattati i temi dello scontro generazionale, del progresso, del lavoro, hanno ancora molto da insegnare, mentre il tratto fantascientifico testimonia la necessità di un ritorno alla metafisica e all’utopia.

 

di Donato Bardamu

 

Paesaggio kirghiso
Paesaggio kirghiso

 

Qualche anno fa, il grande successo cinematografico de La forma dell’acqua, e la successiva uscita di Proletkult, hanno risvegliato l’interesse del pubblico verso la fantascienza sovietica. Fra nuove traduzioni di romanzi dimenticati e riproposizioni di testi usciti dai cataloghi da decenni, sembra incredibile che nessuno abbia ancora ristampato un capolavoro che pure fornisce molte chiavi di lettura per riflettere su temi di strettissima attualità, a partire dal conflitto Ucraino.

 

Quando il più celebre scrittore kirghiso, Ajtmatov, pubblicò nel 1980 Il giorno che durò più di un secolo, il nuovo corso di Gorbachev, di cui sarebbe stato ambasciatore a Bruxelles, era ancora inimmaginabile in Occidente nonostante il fervore che romanzi come questo testimoniano. Testo al tempo stesso realista, filosofico e fantascientifico, che potremmo “catalogare” come oggetto narrativo non identificato, usando una locuzione in voga da alcuni anni.

 

Nella vastità dei Sarozeki, tratto di steppa Kazaka attraversato dalla ferrovia che ne definisce i parametri spaziali e temporali, il vecchio Edigej guida il corteo funebre dell’amico Kazanzap ricordando le vicende di una vita, la Seconda guerra mondiale, la morte di Stalin e la ricerca di giustizia sulle purghe, le leggende della terra Kazaka, gli amori e le amicizie perdute. Siamo nell’anno 1956 e tutto ciò avviene mentre dal vicino cosmodromo si prepara una missione segreta, la risposta congiunta sovietico-statunitense alla ricerca di contatto amichevole da parte di una civiltà aliena superiore.

 

Impossibile pensare che il 1956, l’anno della repressione di Budapest (non menzionata nel romanzo), sia stato scelto casualmente: uno dei temi principali del libro è il conflitto generazionale, che viene affrontato esplicitamente utilizzando la leggenda del Mankurt, il perfetto schiavo reso tale dalla privazione violenta della propria memoria e quindi della propria identità; implicitamente tramite il tema del confronto con gli Alieni.

 

Alla generazione eroica a cui appartiene Edigej, che aveva dedicato la propria esistenza alla difesa della patria e al lavoro per la costruzione del socialismo, convinta che le atroci ingiustizie subite durante lo stalinismo fossero superabili errori di percorso, succede una generazione di Mankurt: giovani burocrati che non credono più al valore del lavoro e che piuttosto che pensare a sviluppare il proprio intelletto, che preferirebbero telecomandato dalla classe dirigente, pensano alle proprie comodità. Servi di un potere che reprime ogni afflato rivoluzionario, come dimostra tanto l’attitudine storica verso i comunisti ungheresi, quanto l'ostilità nel romanzo all'entrare in contatto con gli extraterrestri: i progressi che deriverebbero da tale incontro potrebbero minare i rapporti sociali di potere. Siamo agli antipodi della Stella Rossa di Bogdanov, che in periodo prerivoluzionario descriveva l’entusiasmo verso la società superiore marziana (e marxiana) a cui ambire. Eppure, l’opera di Ajtmatov sembra voler riassumere anche la disgrazia del suo predecessore, bolscevico metafisico la cui sconfitta ideologica avrebbe determinato l’impianto positivista dell’Unione Sovietica, aprendo le porte allo stalinismo che avrebbe emarginato il filosofo rivoluzionario all’attività paramedica. Gli alieni di Ajtmatov sembrano quindi affermare definitivamente che la convinzione che, collettivizzata l’economia, il socialismo si sarebbe realizzato da solo, senza disegnare alcun modello ideale a cui aspirare, fosse stata una pia illusione.

 

 

I temi terribilmente attuali del progresso, del lavoro, dell’automazione, della memoria storica e dello scontro generazionale sono quindi al centro di questo Romanzo che ha tanto da dirci sia sul passato che sul presente.

 

Basti riflettere sul fatto che oggi il termine Mankurt è utilizzato dai ribelli delle periferie etniche della Federazione Russa come insulto verso coloro che accettano acriticamente la narrazione del potere. Narrazione che, nel contesto del conflitto attuale, manipola da ambo le parti, a suo piacimento, la Storia per adattarla agli usi politici e piegare sotto le armi le ragioni delle giovani generazioni “aliene”; quelle che dovrebbero essere preoccupate piuttosto dal cambiamento climatico e concentrate a costruire un futuro migliore, ma, derubate della fede in questo, perdono di conseguenza anche la fede nel valore del lavoro per costruirlo. Oggi come ieri i giovani costretti violentemente a un eterno presente perdono il loro passato: come i Mankurt.

 

Si badi bene all’aspetto tragico che assume il conflitto generazionale nella prospettiva socialista da cui ci parla Ajtmatov: nessuno progresso è possibile se i figli non sono migliori dei padri. Questo è anche il significato profondo del quarto comandamento biblico: non ripetere gli errori dei genitori; impara da essi per non commetterli di nuovo. Questa è la strada del progresso verso il sorgere sol dell’avvenire, il paradiso del socialismo.

 

26 maggio 2023

 









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