La psicologia dei tipi applicata alla storia del pensiero

 

Jung distingueva due tipi psicologici principali e da essi ne derivava le due linee di pensiero che costituiscono, alla base, la storia della Filosofia occidentale. È possibile superare la fondamentale opposizione tra queste correnti diverse e complementari? oppure esse sono inevitabilmente destinate a restare in un conflitto perenne e di fatto insanabile?

 

di Stefano Protano

 

 

Possiamo facilmente caratterizzare, nella nostra esistenza quotidiana, due tipi di personalità ben riconoscibili tra gli uomini e le donne che ci attorniano: il tipo 'introverso' e quello, di contro, 'estroverso'

L'introverso è quella persona che appare rivolta all'interno; il pensieroso o il sentimentale che, romanticamente, vive le proprie idee o le proprie emozioni come un alcunché di essenziale, della massima importanza. Egli è chiuso in se stesso e fatica ad esporre la propria intimità all'esterno. Al contrario, l'estroverso è colui che si mostra interamente volto all'esterno; la persona d'azione o dotata di spiccato senso pratico, che vive il rapporto e la relazione con gli oggetti e le persone fuori di lui come l'unica cosa che conta. Egli è infatti aperto al mondo, ma fatica a riflettere su di sé e a percepirsi intimamente. Da codesti due tipi procedono due modi di esistenza e, quindi, filosoficamente anche due modi di pensiero: da un lato, si ha il pensiero razionale e intellettuale, che presiede a un ambito ideale e spirituale, quel pensare concettuale e dogmatico che si manifesta anche come indeterminato o libero da determinazioni e, nei casi più estremi, come mistico, in quanto assolutamente monista; dall'altro lato, il pensiero empirico e sensista, che presiede a un ambito materiale e meccanico, quel pensare pragmatico e scettico che si manifesta come determinato o asservito a delle determinazioni e, nei casi più estremi, come nichilista, in quanto assolutamente pluralista. Tra le due linee vi sono numerosi momenti intermedi che mescolano, secondo gradi differenti, entrambi gli aspetti, facendo in ogni caso prevalere l'uno sull'altro.

 

 

Nella filosofia 'razionalista' e 'intellettualista' il filosofo introverso fa della Ragione e dell'Intelletto le facoltà supreme sopra cui fondare la propria riflessione pura. Nella filosofia 'empirista' e 'sensista' il filosofo estroverso fa dell'Esperienza e dei Sensi le fonti privilegiate da cui trarre le proprie costruzioni teoriche. La prima si orienta nell'universo dell' 'idealismo', laddove le Idee hanno la preminenza sulle cose, e dello 'spiritualismo', laddove è lo Spirito a essere riconosciuto come il principio che muove tutti i corpi. La seconda si orienta nell'universo del 'materialismo', laddove la Materia ha la preminenza sulle forme ideali, e del 'meccanicismo', laddove è l'interazione meccanica dei corpi a essere riconosciuta come causa efficiente di tutti i movimenti. Nell'un caso, si pensa mediante i Concetti teoretici ('concettualismo') e si pongono, così, dei Dogmi ('dogmatismo') o dei principi indubitabili dai quali far derivare logicamente - a priori - la verità delle proprie asserzioni particolari in un processo deduttivo di Analisi. Nell'altro caso si pensa a partire dalla Prassi e dai suoi effetti immediati ('pragmatismo') e si pongono, quindi, dei Dubbi ('scetticismo') o delle ipotesi da verificare dalle quali procedere - a posteriori - verso le conclusioni più generali, in un processo intuitivo di Sintesi. Nel primo caso si tende a considerare l'essere pensante nella sua Libertà di giudizio e di arbitrio, in quanto la casualità viene individuata quale norma degli eventi, in un 'indeterminismo' di fondo; nel secondo caso si tende a considerare l'essere agente nel suo Fato prestabilito, in quanto è la causalità, invece, a venir individuata quale legge dei fenomeni, in un ferreo 'determinismo'. Quando la prima imbocca una via radicale, si fa 'misticismo', giacché identifica in una forza mistica o energia divina l'origine e la sostanza dell'Essere; è perciò un 'monismo', in quanto riconduce tutte le cose a un unico Principio, riportando il Tutto all'Uno. Quando la seconda imbocca una via radicale, si fa 'nichilismo', giacché identifica nel Nulla l'origine e la sostanza dell'essente; è pertanto un 'pluralismo', in quanto suddivide il mondo nei suoi molteplici elementi costitutivi, frammentando il Tutto nei Molti che lo compongono.

 

Parmenide e Eraclito, Platone e Aristotele, Zenone ed Epicuro nella filosofia greco-antica; Seneca e Cicerone nella filosofia romana; Agostino e Tommaso, Eckhart e Occam nella filosofia medievale; Campanella e Telesio, Bruno e Galilei, Cusano ed Erasmo nella filosofia rinascimentale; Descartes e Bacon, Spinoza e Hobbes, Leibniz e Locke, Kant e Hume nella filosofia moderna; Rousseau e Voltaire nella filosofia illuminista; Hegel e Marx, Schopenhauer e Nietzsche, Heidegger e Bergson, Husserl e Popper, Wittgenstein e Peirce nella filosofia contemporanea; e ancora: Vico, Pascal e Kierkegaard da un lato, Montaigne, Emerson e Comte dall'altro, sono solo alcuni dei binomi che possono esser citati come esempi a riprova dell'influenza dei tipi psicologici e della presenza della loro opposizione nella storia del pensiero occidentale. Jung e Freud, Hillman e Berne possono invece essere considerati i corrispettivi introverso ed estroverso nella psicologia del Novecento. In genere, l'introversione porta ad affermare un pensiero astratto e negativo, l'estroversione un pensiero concreto e positivo. La prima possiede maggior genio 'creativo', la seconda maggior genio 'operativo'. 

 

 

Vi è però la possibilità di uno sguardo oggettivo - per così dire, dall'esterno - in contrapposizione allo sguardo soggettivo - dall'interno - che non permette di riflettere obiettivamente sulle cose in quanto mentalmente ed animosamente partecipe e dunque vincolato a una certa tendenza introversa od estroversa. Molti pensatori hanno tentato di convogliare le due tendenze in un termine medio senza però riuscirci, in quanto essi stessi possedevano e prendevano le mosse da un carattere introverso o estroverso. Per poter scorgere nelle due linee di pensiero un punto comune, occorre osservare la storia della filosofia da una posizione psicologicamente neutra, come un alacre studioso o un critico diligente, un ermeneuta capace di distaccarsi da quel che potrebbe in qualsiasi momento agguantarlo e portarlo via con sé verso una visione parziale e non onnicomprensiva delle cose. Per far ciò, è necessario aver reso in se stessi innanzitutto complementari gli stimoli introversi e quelli estroversi, unificandoli in una personalità d'insieme che è giunta a quella che Jung chiamava 'individuazione', ovverosia il frutto maturo di un processo di formazione psichica dell'individuo intero, pieno e completo. Allora, si svelerà al pensatore una sacrosanta certezza; che introversione ed estroversione sono parti integranti di una medesima anima, che si adatta alle circostanze esistenziali indirizzandosi all'interno, nelle profondità del proprio Io, o all'esterno, nella superficialità del mondo, a seconda delle proprie esigenze di vita, ma che al contempo non può scindere in due la sua persona senza cadere in situazioni patologiche o morbose, deleterie per la salute individuale.

 

Di conseguenza, anche la sua Ragione si accorge di non poter fare a meno dell'Esperienza, l'Intelletto di non poter prescindere dai Sensi; la sua intelligenza comprende che come sussiste un cosmo meccanico ve n'è anche uno spirituale di pari grado e importanza, e che l'Idea non è nulla senza il supporto della Materia a farle da sostrato, così come i corpi nulla sono se privati di quelle forme ideali che li vivificano. Comprende come i Concetti dogmatici possano essere perfezionati dalla Prassi dubitante, e viceversa quest'ultima raffinata dai primi in una corrispondenza reciproca che genera, hegelianamente, un movimento dialettico di tesi, antitesi e superamento del contrasto in un terzo termine che oltrepassa i primi due e li fonde all'interno della propria struttura. Capisce che quella Libertà indeterminata, generata dall'accidentalità del caso, non può darsi se non si pone un Fato deterministico che si svolge in una concatenazione di cause ed effetti, e che solamente quella può donare un senso teleologico a questo dato di fatto vivente. Così, scopre infine che il monismo mistico di chi porta la propria speculazione alle estreme conseguenze verso l'alto dei domini celesti, è intrinsecamente connesso al pluralismo nichilista di colui che porta il proprio agire alle estreme conseguenze verso il basso delle lande terrestri, in quanto il soggettivismo divinizzante che l'introversione produce ha come sua colonna portante una oggettività naturale dall'estroversione prodotta, la quale a sua volta può assumere significato soltanto nell'abbandono a un Centro metafisico totalizzante.

 

 

In conclusione, introverso ed estroverso colgono, rispettivamente, un solo aspetto della realtà, ed entrambi sono quindi nel vero; ma la realtà ha un'essenza binaria, e i suoi volti di Giano si amalgamano assieme e si condensano in un'unica figura universale

 

8 maggio 2023

 








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