Gli idoli della contemporaneità: la Libertà, la Democrazia, i Diritti

 

Ogni civiltà, ogni epoca ospita, tra le pieghe della sua identità culturale, i propri peculiari pregiudizi, solitamente poco visibili da uno sguardo partecipe e interno, e molto evidenti invece all'occhio distaccato ed esterno. Come portarli alla coscienza e, quindi, alla riflessione del pensiero che origina la conoscenza?

 

di Stefano Protano

 

J.-L. David, "Giuramento della Pallacorda" (1791)
J.-L. David, "Giuramento della Pallacorda" (1791)

 

Accendo la televisione e guardo il telegiornale, per ricevere le ultime notizie dall'Europa e dal mondo. Ogni giorno risuonano come un'eco diffuso e inestinguibile i tre termini che rappresentano, rispettivamente, i tre concetti cardine dell'Era Contemporanea: Libertà, Democrazia, Diritti. Ognuno di noi è cresciuto con queste parole gridate a gran voce dai media nelle orecchie, sino a che non le abbiamo, quasi inconsciamente, sussunte e fatte nostre, tanto da non poter più rinnegarle. Bacone chiamava idola quelle idee-fantasma (fantasmi della Ragione) da cui la mente deve liberarsi per giungere a un corretto approccio alla conoscenza e alla verità. Si tratta cioè di pre-giudizi, o di giudizi preliminari posti a fondamento del nostro intendere, senza che se ne sia mai indagata l'essenza, come indubitabili certezze accolte acriticamente dall'intelletto umano. Ma se il dubbio è, cartesianamente, il principio di ogni pensiero critico, occorre allora esaminare a fondo questi concetti basilari, in modo da scoprire il loro significato storico e se abbiano o meno una reale consistenza nella cultura di oggi.

 

Con 'libertà' si intende l'assenza di lacci e di catene a legare e imprigionare le possibilità umane. Ad esempio, si parla di libertà di pensiero, di parola, di azione, come a dire che il pensiero, la parola e l'azione devono scorrere liberi, indipendenti e senza freni nell'esprimersi in tutta la loro potenza naturale. Lo Stato deve garantire codeste libertà, che noi prendiamo come un dato di fatto, una necessità interiore imprescindibile, un bisogno intimo di tutti gli uomini e dei popoli, senza tenere in considerazione una verità sostanziale: che questo concetto è valido soltanto per la civiltà nord-occidentale, e non per le altre civiltà d'Oriente, del Medio-Oriente e del Sud, laddove si ha un'idea molto diversa di libertà. La civiltà orientale, per esempio, concepisce la libertà perlopiù quale liberazione dalla schiavitù delle passioni; la civiltà medio-orientale la concepisce quale liberazione dalle influenze e dai poteri stranieri; le civiltà sudiste quale liberazione dal dominio disumanizzante della scienza e della tecnica. L'Occidente, convinto che il suo proprio concetto di libertà sia universalmente valido, e che sia non un bene tra i tanti, bensì il Bene in sé (reminiscenza platonica), desidera imporlo al pianeta intero, quasi come fosse una missione salvifica o un dovere nei confronti degli altri popoli; eppure queste altre umanità, altrettanto sensate e legittime della nostra, spesso si oppongono a tale nostro dono, apparentemente altruistico e generoso; lo contrastano e lo combattono come si fa con le cose più deleterie e nemiche, e lo fanno con ragione, in quanto proprio l'atto dell'imposizione contraddice l'assunto originario della libertà di pensiero, di parola e di azione, che è quindi pure una libertà di errore, se di errore si tratta, per chi voglia errare. 

 

E tuttavia, a ben vedere, dietro tale concetto così sacrosanto e inattaccabile, sta un vuoto incolmabile di significato. Mentre infatti ci impegniamo a diffondere la libertà, violiamo il principio di auto-determinazione dei paesi, che è uno dei cardini della nostra stessa cultura; mentre liberiamo alcuni popoli oppressi, ne opprimiamo altri con la nostra mano, ai fini dello sfruttamento capitalistico delle risorse naturali e della forza lavoro, oppure li lasciamo in uno stato di oppressione senza eguali – la gran parte dei popoli africani, schiacciati da dittature e povertà, e dei popoli arabi, vessati dal fondamentalismo islamico –, operando una incoerente selezione tra coloro che, nel nostro giudizio, meritano di essere liberi, come i bianchi Ucraini in quanto Europei, e coloro che non lo meritano, come, in generale, i neri non-Europei, in una discriminazione di tipo razziale che assume vieppiù i contorni dell'ipocrisia. 'Libertà' diviene, pertanto, solamente una parola di buon senso, pronunciata dalle belle anime a copertura della propria cattiva coscienza, ma priva di quella realtà che tutti i concetti devono possedere, per non essere considerati degli idola che asserviscono, essi medesimi, la nostra facoltà di ragione, impedendogli di esprimersi senza pregiudizi, nelle potenzialità della propria umana, troppo umana natura.  

 

 

Se 'libertà' diventa, spesso, schiavitù o favoreggiamento della schiavitù nell'attualità politica occidentale, 'Democrazia' si mostra, invece, a detta di molti filosofi antichi e moderni (Platone, Spengler), e come dimostra la nostra esperienza di vita all'interno dei paesi occidentali democratici, quale una forma, nemmeno troppo nascosta, di plutocrazia. Da 'governo del popolo' com'è etimologia del termine, a governo della ricchezza: tale il passaggio logico, estremo del suo sviluppo o progresso. Ma quali sono i cardini delle nostre democrazie? Innanzitutto, il processo elettivo di voto delle masse, a suffragio universale; in secondo luogo, il Quarto Potere, o potere di comunicazione, dei media; infine, la centralità politica del Parlamento negli atti di legislazione ordinari.

 

In democrazia, il cittadino può votare liberamente i propri governanti e legislatori. Liberamente in apparenza, ma in verità nei numerosi vincoli imposti dallo Stato sociale: con l'esclusione delle masse dei non-cittadini, sottoproletari e diseredati dei nostri giorni (nomadi, senzatetto, immigrati); con scelte ristrette di bipolarismo partitico o di coalizioni che incarnano unicamente un Centro-Destra conservatore e un Centro-Sinistra progressista, tagliando fuori le frange più reazionarie della Destra e quelle rivoluzionarie della Sinistra, ma anche tacendo ogni tipo particolare di dissenso e di diversità interni ed esterni, che nel loro particolarismo non trovano mai rappresentazione in un Parlamento limitato dalle soglie di sbarramento e da leggi elettorali maggioritarie, a favorire i grandi gruppi di potere politici e sfavorire invece le minoranze etniche e religiose, culturali e sociali; con l'influsso martellante di strumenti di comunicazione in mano esclusivamente a grandi gruppi di potere economici, i quali indirizzano l'opinione pubblica sui temi e sulle posizioni di proprio interesse, guidando il dibattito politico senza possibilità alcuna di replica. Siffatti elementi non fanno che ingabbiare la libera scelta del voto, quello strumento elettivo che solo può dare una parvenza di potere alla volontà popolare.

 

In democrazia, i poteri politici tradizionali – quello legislativo (del Parlamento), quello esecutivo (del governo) e quello giudiziario (della magistratura) –, separati nella teoria classica di Montesquieu, vengono controllati, nella loro attività pubblica, dal cosiddetto 'Quarto Potere', che ha il compito di ispezionare la politica e di diffondere informazioni e notizie veritiere sul suo operato, in modo da instillare conoscenza e consapevolezza nelle menti dei cittadini, il cui giudizio forma, appunto, la 'opinione pubblica'. Il problema è che l'opinione pubblica, in quanto doxa (che, come insegna Parmenide, si contrappone alla Scienza veritiera), non può mai riflettere criticamente – giacché nella sua mancanza di insegnamento e di cultura non è allenata al pensiero – su quel materiale che gli cade dall'alto come una pioggia inesorabile, selezionato non da lui stesso, bensì da un Potere più elevato, una élite spesso sconosciuta, di cui egli risulta perlopiù inconsapevole. Essa diviene così una bandiera che segue l'andare dei venti, o un (pre)giudizio mosso dalle mode del momento attuale.

 

In democrazia, in ultimo, la camera e il senato di Parlamenti, già predisposti dai rispettivi partiti politici moderati e di successo, sono ogni volta in balia di una maggioranza ricca e potente, sostanzialmente uniforme nonostante la diversa appartenenza politica (il famoso 'Pensiero Unico' di cui tanto oggi si sente ciarlare, un pensiero che è al contempo europeo e filo-americano, occidentale nella sua essenza); di struttura fondamentalmente lobbistica nell'accontentare solo gli interessi di coloro che hanno finanziato e finanziano il lavoro dei partiti e le campagne elettorali che permettono di ottenere una visibilità e dunque un voto diffusi tra le masse informi e caotiche di un popolo sempre più istruito, e nondimeno sempre più analfabeta funzionale. Nel fantomatico governo della volontà popolare, naturalmente mossa verso il bene pubblico, si manifesta allora il dominio del Denaro, divinità di un popolo privo di volontà, ma condotto per mano da una volontà elitaria verso le mire di un bene capitalistico – cioè volto all'utile – e privato – ovvero egoistico. 

 

Dichiarazione universale dei diritti umani
Dichiarazione universale dei diritti umani

 

Per concludere, i 'diritti', che si distinguono dalle libertà in quanto vengono considerati attributi in un certo senso innati dell'Uomo in genere, ossia dell'umanità, ma che innati non sono affatto, se è vero che hanno una data di nascita ben precisa – la Dichiarazione universale dei Diritti umani del 1948 – e prima di quella data, di fatto, non sussistevano. E non furono dei filosofi a stilare l'elenco di questi attributi che in ogni persona, in ogni luogo e, retroattivamente (paradosso notevole), in ogni tempo devono essere assicurati, e sui quali viene ora fondato il giudizio relativo all'operare di tutti gli Stati e degli innumerevoli popoli del pianeta e della storia presente, passata e futura; non furono dei filosofi, dicevo, bensì l'Assemblea generale delle Nazioni Unite (l'ONU), a seguito della tragedia nazi-fascista, e così si elaborò una lista, sicuramente lodevole, ma priva di quel consenso intellettuale che un documento dichiarantesi 'universale' dovrebbe ottenere da parte di ogni cultura ed etnia, per poter definirsi tale; una lista esclusivamente occidentale, valida quindi per le civiltà contemporanee del Nord e dell'Ovest del mondo, ma non necessariamente per tutte le infinite altre.

 

Passiamo allora in rassegna tali principi etici indiscutibili, e analizziamo alcuni di questi diritti, i principali, che noi esseri umani privilegiati idolatriamo senza indagare dai comodi divani delle nostre case: il diritto alla libertà, il diritto alla sicurezza, il diritto alla salute, il diritto all'istruzione, il diritto all'uguaglianza; insomma, il diritto alla vita. Vengono realmente garantiti questi diritti? O si tratta, in fondo, di idee teoriche che non hanno corrispettivi nella pratica quotidiana? La libertà da ogni tipo di schiavitù è messa in ridicolo dall'autorità di qualsiasi Stato che si rispetti, il quale definisce in anticipo, mediante la Legge, che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, proibendo quel che soggettivamente reputa ingiusto, e proibendone l'espressione e il fare. Maggiore è l'autorità dello Stato, minore è la libertà che comporta tra i cittadini; maggiore sarà allora anche la repressione dei comportamenti e dei costumi indesiderati. E siamo noi effettivamente liberi? Possiamo, sì, dirci più liberi di altri, ma giammai pienamente tali, se è vero, com'è vero, che qui vigono una schiavitù del lavoro, una schiavitù del denaro, una schiavitù del consumo, eccetera. La sicurezza delle nostre vite è posta ogni giorno in pericolo di fronte alle guerre e alla minaccia nucleare; dinanzi alla povertà estrema (malattie, siccità, carestie); dalle catastrofi ecologiche e dallo spreco delle risorse del globo terrestre. La salute e l'istruzione sono privilegi a pagamento nella gran parte dei paesi occidentali 'civilizzati', laddove non è possibile curarsi né studiare senza un determinato livello di ricchezza materiale. L'uguaglianza, posto che debba essere un fattore positivo l'appianamento di tutte le differenze di genere, di personalità, di fede e di talento, e non al contrario un fattore altamente negativo, non è in ogni caso assicurata nei tribunali per tutte le categorie o 'classi' di uomini: di norma, solo i disperati finiscono facilmente nelle prigioni pubbliche, criminali di basso rango, spesso senza scelta o via d'uscita da un'esistenza disastrata, mentre i membri delle élite, i ricchi e i potenti, li vediamo aggirare le nostre leggi senza sorveglianza o punizione. Tale in sintesi il diritto alla vita che la nostra civiltà garantisce per ognuno di noi.

 

Ecco che gli idoli della contemporaneità si sono presentati alla mente critica come pregiudizi vuoti di senso compiuto, fattori teoretici di scarsa o nulla prassi. Ora, in quest'angoscia derivante dall'assenza di significato dei nostri valori portanti, si apre la possibilità della vera riflessione, della vera conoscenza; la possibilità della costruzione ex novo – in un furore creativo di nietzschiana memoria – di ulteriori concetti, pieni e attinenti alla realtà delle cose che sono, così come effettivamente sono.

 

 29 dicembre 2022









  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica