La bugia dell'antropo-cene. Parte I

 

Antropocene deriva dalla parola greca “Anthropos” che indica la specie umana, l’essere umano in generale al di là delle sotto-categorie etniche, sessuali, di classe. Ma sottolineare che in questa era geologica sia predominante l’anthropos sarebbe come implicare che la responsabilità dell’attuale disastro climatico sia dell’essere umano come specie. È interessante quindi vedere che, in alcuni contesti, l’universale maschile viene non solo adoperato per indicare l’umanità nel suo complesso, ma anche difeso in virtù della conservazione di regole grammaticali o tradizionali. E nel contesto del cambiamento climatico, si è appunto scelto di usare l’universale anthropos. In questo breve articolo cercherò di scavare a fondo queste ragioni, mostrando che in realtà quest’era geologica dovrebbe essere chiamata in altro modo. 

 

di Nadia De Sario

 

 

1. Arrivare all’antropocene

 

Antonio Stoppani, geologo italiano del XIX secolo, definisce l’era che si sta vivendo come “Era Antropozoica” in una raccolta di appunti per un corso di geologia (Eugenio Luciano & Elena Zanoni, Antonio Stoppani’s ‘Anthropozoic’ in the context of the Anthropocene). È stato uno dei primi scienziati a sostenere che l’essere umano avesse creato un’era geologica tutta nuova, determinata in gran parte dalla sua attività. La strada da “era antropozoica” ad antropocene fu segnata; nel corso del XX secolo, durante lo sviluppo dell’industria tramite il modello del fordismo-taylorismo, la comunità scientifica era già impegnata a registrare l’impatto dell’attività umana. Escono i primi report, si fondano le prime associazioni ambientaliste, nasce il Club di Roma per lo sviluppo sostenibile da cui verrà fuori il Rapporto The limits to Growth e in economia prende piede una delle teorie più radicali (ma più efficaci per risolvere il problema), ovvero la decrescita. Tutto ciò dimostra che la sensibilità ambientale non ha fatto altro che aumentare durante la conquista capitalistico-industriale del mondo

 

Nel 2000 arriva la parola: durante una conferenza in Messico, il premio Nobel per la chimica (1995) Paul J. Crutzen disse proprio che noi viviamo oggi nell’antropocene, l’era dominata da esseri umani e dalle loro azioni. Le idee di Crutzen sull’antropocene riflettono le sue idee sull’inquinamento atmosferico e sui suoi effetti sull’ozono (che sono poi i motivi per cui ha vinto il Nobel). Nel 2002, Crutzen pubblica un paper scientifico spiegando come le emissioni di anidride carbonica stiano cambiando radicalmente il clima: 

 

 

«A causa delle emissioni antropogeniche di anidride carbonica, il clima globale potrebbe discostarsi in modo significativo dal comportamento naturale per molti millenni a venire. Sembra appropriato assegnare il termine "Antropocene" all'attuale epoca geologica, per molti versi dominata dall'essere umano, che si aggiunge all'Olocene - il periodo caldo degli ultimi 10-12 millenni. Si può dire che l'Antropocene sia iniziato nella seconda parte del XVIII secolo, quando le analisi dell'aria intrappolata nei ghiacci polari hanno mostrato l'inizio della crescita delle concentrazioni globali di anidride carbonica e metano. Questa data coincide anche con la progettazione della macchina a vapore da parte di James Watt nel 1784». (Joe Lelieveld, Paul J. Crutzen. Ozone Nobel prize winner who coined the term Anhtropocene)

 

L’articolo prosegue spiegando come l’attività umana stia rovinando aria, acque, foreste, di come molte specie si stiano estinguendo proprio perché gli umani modificano le zone in cui questi animali vivono. In geologia il passaggio da un’era all’altra è data da cambiamenti e variazioni così intensi da registrarsi nelle rocce; come riporta il sito di divulgazione Geopop: «Se oggi si parla di Antropocene è perché probabilmente le attività umane sono state capaci di stabilire dei cambiamenti rilevanti al punto che, tra 10 milioni di anni, se ci sarà qualcuno che analizzerà le rocce che si stanno formando oggi, sarà in grado di ricostruire la nostra esistenza»

 

P.J. Crutzen
P.J. Crutzen

 

E siamo arrivati ad oggi, con un’Agenda 2030 ormai irraggiungibile, temperature record, alluvioni, siccità, attivisti arrestati e negazionisti climatici a governare alcuni Paesi. Ciò su cui bisognerebbe ragionare più a fondo è l’utilizzo della parola anthropos: è vero, l’epoca che stiamo vivendo adesso viene chiamata antropocene, un’era geologica macchiata quasi interamente dall’intervento umano. Il problema sembra essere proprio nella parola anthropos, attraverso la quale si indica l’essere umano in generale, al di là di genere, etnia, abilità o posizione sociale.  Ma è davvero un’era dominata dall’anthropos? È davvero un’era dominata e macchiata terribilmente da tutto il genere umano? In parole povere, il disastro climatico è responsabilità dell’intera umanità?

 

2. Universale e particolare

 

Ancora oggi nelle notizie in alcuni comunicati ufficiali (e in testi di largo consumo come articoli, libri, ecc.) siamo soliti vedere il genere maschile come universale (quanto meno nelle lingue neolatine o lingue in cui il genere delle parole è importante). Se non fosse che il linguaggio è anche uno strumento di potere nelle sue applicazioni, potremmo anche non interessarci al genere. Ma se pensiamo all’Antica Grecia, erano i numeri ad essere maschili e femminili (in particolare i dispari erano maschili poiché completi e perfetti, i pari femminili perché divisibili): oggi questa cosa è stata superata. 

 

È interessante vedere come il sistema in cui siamo immersi usi “uomo” e “anthropos” a suo piacimento. Quando deve restringere le categorie a cui dare diritti usa l’universale maschile e dice che implicitamente si riferisce a tutta l’umanità, con giustificazioni del tipo “la grammatica è questa” oppure “abbiamo sempre fatto così”. Quando invece deve scegliere a chi dare la colpa usa l’universale umano. Perché non usare l’universale maschile anche qui? Perché si sa benissimo che “uomo” indica una certa cosa e non tutta l’umanità. E la parola antropocene lo mostra bene. Dire che questa era si chiama antropocene non è una mossa solo scientifica per farci capire l’impronta che stiamo lasciando, ma credo sia anche un modo per nascondere una responsabilità. Non credo che le intenzioni di Crutzen siano state malevoli, ma a mio parere sono segno di un problema

 

Le persone dei Paesi sfruttati dalle multinazionali dei Paesi capitalistici hanno davvero la responsabilità? Se si dice anthropos sembrerebbe essere così. Non è colpa dell’anthropos se l’ambiente è in ginocchio. È colpa di un piccolo gruppo di persone che hanno messo i loro interessi davanti non solo a quelli dell’ambiente, ma davanti a quelli di altre persone. È responsabilità di uomini (molto spesso bianchi e colonizzatori) ricchi, abili e speculatori, in alto nella scala gerarchica sociale creata da loro stessi, uomini che hanno sempre visto la natura come un insieme informe di risorse, come un qualcosa da trasformare in denaro.

 

Vorrei capire dove, in tutto il periodo storico che ha portato oggi all’antropocene (da James Watt in poi), partecipi attivamente l’anthropos. Questa volta si dovrebbe usare l’universale maschile, proprio perché la maggior parte degli esseri umani non c’entrano proprio nulla. Per esempio, non vedo come la colpa del disastro ambientale dovrebbe essere delle donne (incluse nell’anthropos) che hanno cominciato ad avere voce in capitolo da poco: penso alle donne che hanno combattuto per un utilizzo più sano e rispettoso della natura, le cosiddette pioniere del movimento eco-femminista. Penso a Anna B. Kingsford (1846-1888), Frances P. Cobbe (1822-1904) ed Emily Augusta Lizzy Lind af Hageby (1878–1963), che si sono ritenute contrarie allo sfruttamento ambientale e animale: l’ecofemminismo, infatti, nasce proprio per evidenziare dei rapporti di subordinazione comuni tra le donne e l’ambiente naturale.

 

Non vedo nemmeno come la responsabilità possa essere dei lavoratori sfruttati dalle multinazionali del fast fashion. Non vedo come possa essere di quelle popolazioni che ancora mantengono una relazione con la Terra fatta di scambio, una relazione che vede la Terra non come un possesso umano, poiché in realtà è la Terra che possiede l’umano.

 

Non vedo come la colpa possa ricadere sull’intera specie umana. È vero che ogni persona trasforma l’ambiente: tutti mangiamo la frutta ma non tutti abbiamo creato coltivazioni intensive di frutta in cui le api vengono sfruttate; tutti ci dobbiamo vestire ma non tutti abbiamo creato multinazionali che sprecano litri e litri d’acqua per vestiti in plastica che verranno buttati dopo 1 mese perché poi “non vanno più di moda”. Chiamiamo questa era geologica come deve essere chiamata: Capitalocene, come ha detto Haraway (Donna J. Haraway, Chtuluchene - sopravvivere su un pianeta infetto) o Arguriocene, come ha detto Porciello (A. Porciello, Filosofia dell’ambiente - ontologica, etica e diritto). Nelle parole di Haraway: 

 

«Almeno una cosa è davvero chiara. Non importa quanto sia ossessionato dal generico universale maschile e quanto rivolga lo sguardo al cielo: non è stato l’Anthropos a darsi alla fratturazione idraulica e non dev’essere lui a dare il nome a quest’epoca innamorata della “doppia morte” […] Non è stato l’Uomo Specie a dettare le condizioni della Terza Età del Carbonio o dell’Era Nucleare. La storia dell’Uomo Specie come agente dell’Antropocene è una replica quasi ridicola della grande Avventura fallica umanizzante e modernizzante in cui l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di un dio scomparso, assume nella sua ascesa sacro-secolare dei superpoteri, solo per finire nell’ennesima, tragica detumescenza».

 

Nelle parole di Porciello: «Se l’ambiente è in ginocchio la responsabilità è di quella parte di umanità che da secoli, e grazie alla ricchezza che ha saputo accumulare, ha sottomesso tutto ciò con cui è venuta a contatto». Quello che questi autori sembrano dire è che sicuramente viviamo in un’epoca contaminata totalmente dall’attività umana, ma pensare di non chiamare in causa, nel linguaggio, i diretti colpevoli di tutto ciò è sbagliato. Nascondere la colpa è una mossa furba, serve a pulirsi la coscienza. Ci sono in realtà molti antrhopoi che all’ambiente ci tengono e che stanno combattendo il sistema economico-sociale che ci ha ridotto in queste condizioni. L’ideologia green, che non si conclude nell’imbrattare i monumenti, ha come obiettivo principale consumare meno, comprare meglio, riutilizzare. Ciò ricorda molto la teoria economica della decrescita, teoria che dobbiamo riprendere in considerazione per riconnetterci con l’ambiente.

 

 

3. La morte della natura

 

La storica della scienza Carolyn Merchant nel suo manifesto ecofemminista La morte della natura – donne, ecologia e rivoluzione scientifica, oltre a mettere in relazione ciò che la cultura pensava delle donne e il modo in cui ci si approcciava alla natura, traccia un percorso di matrice economico-scientifica dall’Antica Grecia alla Rivoluzione Industriale. Le domande che bisogna porsi sono: “Come le persone si sono approcciate alla natura nelle diverse epoche storiche?”, “Come la visione della natura è cambiata?”. Merchant sottolinea che molto dipende dalle immagini che si hanno per guardare il mondo: finché la natura è stata considerata una madre benevola che offriva i viveri e aiutava gli umani, l’essere umano ha sviluppato un rapporto di rispetto e scambio verso di lei; nel momento in cui la natura è stata vista come una matrigna, una strega o indifferente all’umano, così cattiva che poteva sia dare tanto sia togliere tanto, i rapporti sono cambiati: lungi dall’essere qualcosa da rispettare, la natura è diventata un insieme di risorse da sfruttare e controllare.

 

Il tutto peggiora velocemente con la rivoluzione scientifica: Merchant afferma che da Bacon in poi la natura non ha più valore per l’essere umano, se non in termini di risorsa. Sicuramente Bacon e il suo metodo scientifico non hanno la colpa diretta del cambiamento climatico, ma Merchant afferma che considerare la natura come qualcosa da scoprire, studiare e osservare per rivelarne i segreti, sia un modo di farne violenza. Quando è morta la natura, dunque? Quando è diventata una materie informe ad uso esclusivo dell’uomo, quando è diventata un modo per arricchirsi, quando gli assunti animistici e organici sono stati eliminati

 

Molti studiosi hanno criticato Merchant poiché la sua opera è stata letta come antiscientifica e con la pretesa di tornare ad un mondo olistico governato dalle pseudoscienze. In realtà oggi dobbiamo recuperare l’opera di Merchant proprio per via dell’evoluzione tecnologica

 

«Questo riconoscimento (come l’industrializzazione ha reso schiava la natura, aggiunta mia) non significa però che si debba sacrificare l’innovazione tecnologica o che si debba tornare al mulino idraulico del medioevo. Significa piuttosto che abbiamo bisogno di sviluppare tecnologie che si armonizzino con i cicli naturali anziché condurre a uno sfruttamento di risorse irreversibili». (Carolyn Merchant, La morte della natura – donne, ecologia e rivoluzione scientifica)

 

Quello di cui c’è bisogno è uno sguardo diverso che possa portare anche ad una formulazione di un sistema economico differente. Nella seconda parte, cercherò di illustrare quale sia questo sguardo e quale percorso economico differente potremmo intraprendere. 

 

01 aprile 2024

 








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