di Cosimo Giorgio Romano


Assistiamo oggi più che mai alla mancanza di dialogo, a quella dimensione in cui non solo due soggetti o più portano davanti rispettive posizioni, ma soprattutto i propri limiti. Dialogo vero è dove "manca" la verità, dove manca la sua concezione fallace di possesso. Questo limite è oggi acutizzato dai social, di cui l’uomo è sempre più schiavo. Tale realtà ha trasformato i soggetti in una platea di nescienti, dove gli individui recepiscono risposte. Questo mondo ha modificato l’uomo, ma in negativo. L’uomo senza il dialogo ha perduto la propria umanità.




Uno degli stereotipi ricorrenti all’interno delle scuole e, in generale, nel sentire comune, è quello secondo cui la filosofia non sia oggettiva, cosa invece inerente alle scienze tutte. Le scienze vanno al sodo, sono “pratiche”, sono “concrete”, mentre la filosofia resta nell’astratto. E’ uno dei pregiudizi più comuni, ma anche uno dei più fragili e deboli, anche se si volesse provare ad argomentarli e difenderli. 




Oggi alla reperibilità istantanea, che ha demolito per sempre la separazione tra vita professionale e vita personale, si annette l’impossibilità ormai di fare a meno dei sistemi di messaggistica istantanea e, in più, si aggiunge l’onere della presenza (l’essere online) che tali app non solo impongono, ma che possono dimostrare-certificare-rappresentare: ci troviamo di fronte ad una inedita forma di “prostituzione di sé’?



Di Giuseppe Gallelli


Clara Mattei è una giovane economista italiana, vive e lavora da anni a New York dove è docente alla New School for Social Research, uno dei pochi dipartimenti di Economia al mondo, come lei stessa scrive, «in cui la grande tradizione dell’economia politica classica è accolta e studiata cogliendone il suo forte potere esplicativo sulla società». L’autrice, in questa sua pubblicazione, vuole offrire un paradigma realmente critico e strumenti di autodifesa riguardo la narrazione in voga sul funzionamento attuale dell’economia e della nostra società.




La morte andrebbe riconcepita, ridefinita come il destino comune a tutti gli umani e, ancor più ampiamente, a tutti gli esseri viventi. Ci si deve incamminare lungo tortuosi percorsi di meditazione per realizzarla, proprio come suggerisce la psicoanalisi a proposito dell’accettazione dell’abbandono della persona amata o di un qualsiasi trauma infantile. È che a volte ci si sente immortali fra le margherite di un campo o al cospetto della luna irremovibile, fra le coperte del sogno. Ci si sente immortali di giorno, fra le strade gremite di storie così distanti fra loro eppure tutte così umane! Ma il nostro linguaggio comune è davvero ben munito per concepire la morte?




La teoresi di Gentile è dimenticata. Ugo Spirito la problematizzò; poi Gustavo Bontadini ed Emanuele Severino se ne servirono per rilanciare spazi metafisici ormai obsoleti nella filosofia contemporanea. Tutti gli altri la gettarono nell'arena politica, travisandola o banalizzandola. Dopo i filosofi lombardi, possiamo trovare un'altra via per portare "Gentile oltre Gentile"?



di Valentino Bonu


Orwell, nel suo 1984, scrisse che il male della società del post-dopoguerra sarebbe stato rappresentato dai mass media. Oggi, a causa dell’eccessiva strumentalizzazione del mito del self-made man, il valore di tutto è diventato quantificabile solo in base a quanto vende, e la pubblicità, veicolata dai mass media, è il modo più veloce per “sembrare” migliori. Ma da dove nasce tutto ciò e qual è stato l’impatto che ha avuto nella società contemporanea?



di Giuseppe Montana


Danilo Dolci è una delle figure più emblematiche e singolari della cultura italiana del secondo Novecento. La sua pedagogia, affascinante e insieme semplice, è legata, prima che ad una teoria, all’esperienza del centro educativo di Trappeto (a metà strada tra Palermo e Trapani). Lì, in una delle terre più povere e dimenticate del nostro paese, il suo impegno paideutico cresceva e via via si sviluppava come un’opera d’arte capace di far germogliare le menti e i cuori di chi lo ascoltava. Egli, combattendo e denunciando la presenza mafiosa nell’isola attraverso la pratica della nonviolenza, contribuì a suscitare nella gioventù siciliana la speranza del cambiamento, guadagnandosi così l’appellativo di “Gandhi italiano”. Il presente articolo vuole celebrare il cruciale e risoluto cimento di Danilo Dolci nel campo dell’educazione, mostrandone la perdurante attualità.





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