Aristippo di Cirene è un filosofo che per lungo tempo ha subito un ingiustificato oblio se non addirittura disprezzo. Eppure, il suo pensiero ben mostra quella stretta connessione tra filosofia e bios così centrale nella cultura antica. È importante allora recuperare la valenza terapeutica dei suoi insegnamenti in grado di rivelare ancora oggi le potenzialità di un edonismo attivo, che nella misura e nella consapevolezza del presente individua le chiavi principali per condurre una “vita piacevole”.
di Salvatore Grandone
Aristippo di Cirene ha subito nel corso della storia una sorta di damnatio memoriae. Se ai suoi tempi era considerato un saggio alla pari di Platone, già un paio di secoli dopo la sua morte inizia ad essere dipinto come un debosciato, che si dà ai vizi e ai piaceri della carne. Questa immagine si consolida con gli apologeti cristiani, in particolare con Lattanzio.
« Non migliore dei Cinici è Aristippo, il quale, credo per fare piacere alla sua amichetta Laide, fondò la dottrina cirenaica che collocò il fine del sommo bene nel piacere del corpo, affinché non mancasse né ai suoi peccati un’autorità, né ai suoi vizi una dottrina. » (Lattanzio, Epitome divinarum intitutionum, 34, 7)
Intorno alla figura di Aristippo sembrano convergere i caratteri che definiscono l’anti-filosofo: la dissolutezza, l’intemperanza, l’assenza di autocontrollo, soprattutto nella sfera sessuale. La presenza di fonti unicamente indirette ha dato infine il contributo più consistente al lungo e immeritato oblio di Aristippo e del movimento cirenaico.
Nel Novecento iniziano però ad apparire una serie di studi che rivalutano la portata della filosofia cirenaica. Tra i primi importanti si segnalano quelli di Gabriele Giannantoni e Klaus Döring. In tempi più recenti un ulteriore impulso è stato dato dai saggi di Michel Onfray, Kurt Lampe, Voula Tsouna, Régis Tomas e Simone Guslandi.
Grazie a questi lavori monografici è oggi possibile avere una panoramica del pensiero di Aristippo e del cirenaismo. Inoltre, soprattutto per merito di Kurt Lampe e di Régis Tomas, sono state tematizzate – pur sempre nei limiti delle scarse fonti a disposizione – le linee di continuità e di frattura tra Aristippo e alcuni suoi originali successori quali Anniceride, Egesia e Teodoro detto l’Ateo.
È stata compiuta insomma un’essenziale opera di ricostruzione. A partire da un insieme di frammenti, di apoftegmi, di detti e di testimonianze è ormai visibile l’impalcatura dottrinale del cirenaismo.
Le fondamentali acquisizioni della critica permettono sul versante filosofico-divulgativo diversi “attraversamenti”, in primis la lettura in chiave terapeutica. L’operazione è in questo caso più che legittima e non merita particolari giustificazioni. Aristippo è un filosofo socratico, contemporaneo di Platone, di Antistene e di Diogene il Cinico. Siamo in quel contesto storico in cui filosofia e bios sono strettamente collegate. Aristippo corrisponde quindi in pieno all’immagine del filosofo ellenistico tratteggiata da Pierre Hadot. Per Aristippo e i cirenaici fare filosofia significa infatti aderire a un certo stile di vita, convertire il proprio sguardo. La filosofia coincide con una saggezza pratica che aiuta l’uomo a vivere bene: «Se non altro, questo mi venne dalla filosofia: di affrontare ragionevolmente tutto ciò che mi capita» (Gnomologium vaticanum, 743, 44).
La funzione medica è coerente con il ruolo che Aristippo dà al filosofo. Si fa filosofia per curare i mali della propria anima, per cambiare il modo di condurre l’esistenza: la filosofia è arte di vivere.
Seguendo lo schema terapeutico, si dividerà il percorso nelle seguenti tappe: sintomatologia, diagnosi e terapia. In onore di Martha Nussbaum e per rendere ancora più attuali gli insegnamenti di Aristippo si riprenderà il personaggio di finzione Nikidion. In Terapia del desiderio Nussbaum immagina che una giovane donna di nome Nikidion (“piccola vittoria”) cominci a frequentare ad Atene le principali scuole filosofiche del periodo ellenistico (la peripatetica, l’epicurea, la scettica e la stoica) alla ricerca di una strada per la felicità.
Anche la nostra Nikidion vuole guarire dai suoi mali ed essere felice. Tuttavia, a differenza della Nikidion di Nussbaum, ha un profilo ben preciso. Entriamo subito nel vivo della sua storia!
Sintomatologia
Nikidion è una giovane donna originaria di Mileto. Appartiene a una famiglia nobile e come molte del suo ceto sociale – si pensi ad esempio ad Aspasia di Mileto, la compagna di Pericle – ha ricevuto un’ottima istruzione. Rispetto ad altre polis, a Mileto le donne godono di maggiori libertà. Nikidion non è confinata nelle mura domestiche; può uscire anche non accompagnata da uomini e le è permesso di partecipare ai simposi. Conosce bene i classici (i poemi omerici, le opere di Esiodo e di Pindaro); è un’abile danzatrice; suona con grande maestria la cetra. La sua istruzione non è però solo tradizionale: Nikidion ha avuto l’opportunità di prendere lezioni di retorica da alcuni sofisti locali. Sebbene non sia un’oratrice esperta, Nikidion sa tenere bei discorsi e distingue con acume le buone dalle cattive argomentazioni.
Approfondiamo ora la psyché di Nikidion, la sua anima. Nikidion è una donna che vive con passione. È intraprendente; ama i piaceri della vita, gli oggetti belli e raffinati; non bada a spese per comprare abiti di bisso di color rosso o giallo croco né per acquistare profumi. Nikidion è estroversa, le piace discutere di argomenti seri e ameni; è ambiziosa e consapevole della sua intelligenza.
Considerati i tempi, Nikidion è abbastanza fuori dagli schemi. Per certi versi ricorda Aspasia, ma non è attratta dal potere. La disposizione interiore di Nikidion la porta piuttosto a ricercare tutto quello che può rendere la sua vita intensa e piacevole.
Anche se in maniera ancora “grezza” Nikidion è già un’edonista: si potrebbe dire che il suo è un edonismo irriflesso, non maturo, non coerente. Da un lato Nikidion desidera assaporare tutto quello che di bello offre l’esistenza, dall’altro non sa gestire i dolori, i rimorsi, i rimpianti e il suo attaccamento eccessivo ai beni materiali.
Se vede una coetanea con un abito più ricercato del suo, prova invidia; quando si ammala, la sua mente subito è assalita da pensieri tristi, teme per la sua vita e ha paura della morte. Ma il problema maggiore sono i rimorsi e i rimpianti. Nikidion è influenzata dalle convenzioni sociali del suo tempo; sente il peso delle aspettative familiari; sa che il suo status sociale la obbliga a seguire nella vita una certa condotta.
Così, se agisce contro le regole – anche senza che gli altri se ne accorgano – prova rimorso. Si pente, perfino quando il suo agire appare coerente con il suo sentire. Analogamente, allorché cerca di adeguarsi alle convenzioni sociali, è assalita dal rimpianto: si pente per non aver agito, per essersi lasciata trascinare dall’inerzia della morale imposta.
Nikidion si trova in una situazione ben descritta da Cartesio ne Le passioni dell’anima:
« Accade spesso che gli spiriti deboli si pentano di cose che hanno fatto senza sapere con sicurezza che sono cattive; essi se ne persuadono solamente perché lo temono; e se avessero fatto il contrario, se ne pentirebbero alla stessa maniera: questa è una loro imperfezione degna di compassione. » (Cartesio, Le passioni dell’anima).
Che assecondi o meno i suoi desideri, Nikidion tende a pentirsi delle sue scelte. Questa situazione genera nella giovane un senso di inadeguatezza che alimenta l’irresolutezza.
Nikidion è insomma una donna in bilico, in crisi, perché sosta sull’ambiguo confine l’io reale e l’io ideale. Il punto è che lì dove si trova vi è una fitta nebbia: ancora non sa bene chi è e quello che vorrebbe diventare.
Ipotizziamo che un colpo di fortuna – percepito all’inizio dalla giovane come una sventura – obblighi Nikidion con parte della sua famiglia ad abbandonare Mileto. Nulla di più normale: i rivolgimenti politici nelle polis greche sono all’ordine del giorno, per non parlare di quelle, come Mileto, situate nel cono d’ombra dell’Impero persiano.
Nikidion salpa da Mileto e come tanti uomini e donne del suo tempo cerca fortuna ad Atene. All’epoca Atene è la capitale culturale del mondo greco; è già presente un’importante scuola come l’Accademia. Il vecchio Antistene tiene le sue lezioni al Cinosarge. Tanti i sofisti che nell’agorà sfoggiano le loro abilità retoriche. Sotto l’aspetto filosofico, Nikidion non può trovare, almeno in apparenza, luogo migliore per dare risposta ai suoi interrogativi esistenziali.
Ma ben presto si rende conto come sia difficile per una donna entrare nelle scuole dei filosofi. Nell’Accademia le donne sono accolte in rari casi e subiscono comunque discriminazioni. Grazie alla sua posizione sociale, la nostra Nikidion riesce a frequentare l’Accademia.
Dagli insegnamenti di Platone resta però delusa. Sebbene l’eudemonia sia centrale nella filosofia platonica, Nikidion avverte lontane dalla sua sensibilità le questioni geometrico-matematiche, molto rilevanti nell’Accademia. Così smette dopo poco di seguire le lezioni. Nikidion ha anche modo di ascoltare alcuni discorsi del vecchio Antistene: ma la sua etica incardinata sulla virtù della frugalità non la entusiasma particolarmente.
Per quanto riguarda i sofisti, ormai ad Atene si sta diffondendo l’eristica. Molti sofisti si limitano a mostrare le loro abilità retoriche con ragionamenti privi di sostanza. Nikidion, già ferrata nell’arte del ben parlare, si annoia presto dei vani logoi dei sofisti. A che serve essere abili oratori se non si è in grado di offrire argomenti per guarire i mali dell’anima?
Insomma Nikidion non è soddisfatta. Si aspettava di trovare ad Atene le risposte alla sua domanda di senso, ma di fronte a tanti filosofi tronfi che dicono tutto e il contrario di tutto si sente ancora più spaesata. Senza patria, ed ora sempre più estranea a se stessa.
Cosa fare? Come direbbe Hölderlin «dove cresce il pericolo lì cresce ciò che salva» (Patmos). Nikidion frequenta da un po’ l’ambiente delle etere e ha modo di incontrare una delle donne più controverse del tempo: Laide.
Laide è la cortigiana più amata e odiata dell’Ellade. Da molti considerata una pericolosa sgualdrina, con il suo carisma e la sua bellezza tiene in pugno non solo uomini potenti ma anche i filosofi. Tra i suoi clienti assidui vi è Aristippo di Cirene. A differenza degli altri uomini che la frequentano, Aristippo non è possessivo nei confronti di Laide. Paga lautamente la sua compagnia senza crucciarsi quando è indisponibile. Aristippo è solito dire «Laide la posseggo ma non ne sono posseduto» (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi). In realtà, neanche Laide si sente posseduta da Aristippo, ma preferisce non contraddirlo.
Al tempo in cui Nikidion arriva ad Atene, Aristippo è rientrato a Cirene. La giovane non ha per il momento l’opportunità di imbattersi nel filosofo. Tuttavia, quando Laide le racconta di Aristippo rimane folgorata.
Si narra che il giovane Aristippo reagì così quando sentì per la prima volta parlare di Socrate:
« Aristippo, imbattutosi in Iscomaco durante i giuochi olimpici, gli chiese che cosa mai Socrate dicesse per smuovere a tal punto l’animo dei giovani; e avendo appreso pochi spunti e saggi dei suoi discorsi, ne fu così scosso, da deperire nel corpo e da diventare completamente pallido e gracile; fino al momento in cui, come assetato e ardente, navigò verso Atene, bevve a quella fonte, e venne a conoscenza dell'uomo, dei suoi discorsi e della sua filosofia, il cui scopo era di riconoscere i propri mali e di liberarsene. » (Plutarco, Sulla curiosità, 2)
Lo stesso accade a Nikidion. Quanto riferito da Laide su Aristippo la scuote; l’anima si accende di speranza. Nikidion spera che il filosofo di Cirene le indicherà la strada verso la felicità.
Senza pensarci due volte, Nikidion approfitta che un suo fratello deve recarsi a Cirene per acquistare dei carichi di silfio. Lascia la “dotta” ma boriosa Atene per la misteriosa ed esotica Cirene. Inizia una nuova fase dell’avventura di Nikidion!
[Domani sarà pubblicata la parte II dell'articolo]
22 luglio 2024
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