A fronte della morte di Dio, della perdita di valori di riferimento con cui orientare la propria vita, che ne è dell'individuo umano? In cosa si trasforma l'animo umano quando la sua libertà non ha coordinate secondo cui orientarsi? La seguente riflessione di Aniela Jaffé (estratto da Il simbolismo nelle arti figurative, in C.G. Jung, L'uomo e i suoi simboli) ci consegna un'utile chiave di lettura a riguardo.
di Aniela Jaffé
Il sentimento che l'oggetto è «più di quello che si manifesta ai nostri occhi», condiviso da molti artisti, ha trovato una notevole espressione nell'opera del pittore italiano Giorgio De Chirico. Egli è un mistico per temperamento, un ricercatore tragico che non è mai riuscito a trovare l'oggetto delle sue ricerche. Sul suo Autoritratto (1908) egli scrisse: Et quid amabo nisi quod aenigma est? («Che cosa amerò se non l'enigma?»).
De Chirico è stato il fondatore della cosiddetta pittura metafisica.
« Ogni oggetto – egli scriveva – presenta due aspetti: l'aspetto comune, che è quello che generalmente si scorge, e che tutti scorgono, e l'aspetto spirituale e metafisico, che solo pochi individui riescono a vedere, in momenti di chiaroveggenza o di meditazione metafisica. L'opera d'arte deve richiamare un aspetto che non si manifesta nella forma visibile dell'oggetto rappresentato. » (Giorgio De Chirico, Sull’arte metafisica)
L'opera di De Chirico rivela questo «aspetto spirituale» delle cose. I suoi quadri sono costituiti da trasposizioni di carattere onirico della realtà, come visioni che insorgono dall'inconscio. Ma la sua «astrazione metafisica» si esprime in una sorta di rigidità raggelata, e l'atmosfera dei suoi quadri è una atmosfera di incubo, di malinconia senza fine. Le piazze delle città d'Italia, le torri e gli oggetti, sono collocati in una prospettiva sovracuta, come se si trovassero sospesi nel vuoto, illuminati da una luce fredda e impietosa, proveniente da una fonte invisibile. Teste di tipo arcaico o statue di divinità evocano magicamente il passato classico.
In una delle sue composizioni più impressionanti, egli ha collocato, accanto alla testa marmorea di una dea, un paio di guanti rossi di gomma, un «oggetto magico» nel senso moderno dell'espressione. Una palla verde funziona simbolicamente, operando la sintesi di quegli irriducibili estremi: senza di essa, si potrebbe individuare nella composizione più di un segno di disintegrazione psichica. È chiaro che il quadro non va interpretato come il prodotto di un atteggiamento ultrasofisticato, ma come la riproduzione di una configurazione onirica.
De Chirico è stato profondamente influenzato dalla filosofia di Nietzsche e di Schopenhauer. Egli scrive:
« Schopenhauer e Nietzsche sono stati i primi a rivelare il profondo significato della profonda mancanza di senso della vita, e a mostrare come tale insensatezza possa trovare espressione artistica [...]. Il terribile vuoto da essi individuato è proprio la bellezza priva di anima e di turbamento della materia. » (Giorgio De Chirico, Memorie della mia vita)
Può esser dubbio che De Chirico sia riuscito a trasfigurare in «bellezza priva di turbamento» quel «terribile vuoto». Molti suoi quadri suscitano imbarazzo o repulsione; altri sono terrificanti come incubi. Ma nel suo sforzo di esprimere artisticamente il vuoto, egli è giunto al nocciolo del dilemma esistenziale dell'uomo moderno.
Nietzsche, che De Chirico considera come suo maestro e autore, ha dato una precisazione definitoria di quel «terribile vuoto» nella sua esclamazione «Dio è morto». Senza alcun riferimento a Nietzsche, Kandinskij scriveva, nel suo saggio Lo spirituale nell'arte: «Il cielo è vuoto. Dio è morto». Una frase del genere può sembrare abominevole. Ma non è nuova. L'idea della «morte di Dio», e la sua conseguenza immediata, il «vuoto metafisico», hanno turbato la mente dei poeti del diciannovesimo secolo, specialmente in Francia e in Germania. In seguito a un lungo sviluppo tale idea ha raggiunto, nel ventesimo secolo, il livello della discussione aperta, e ha conseguito una sua espressione artistica. Il solco fra arte moderna e Cristianesimo è stato, così, compiutamente tracciato.
Il dottor Jung si è reso conto che questo strano e misterioso fenomeno della morte di Dio è un fatto psichico tipico del nostro tempo. Nel 1937 egli scriveva: «So bene – come lo sanno moltissimi altri – che il nostro tempo è il tempo della scomparsa e della morte di Dio». Per anni egli aveva avuto modo di vedere il progressivo sfaldamento della immagine cristiana di Dio nei sogni dei suoi pazienti – e, quindi, il dissolvimento di essa nell'inconscio dell'uomo moderno. Il venir meno di tale immagine comporta immediatamente il venir meno di quel supremo fattore che dà senso alla vita.
Va tuttavia osservato che l'affermazione di Nietzsche per cui «Dio è morto», il «vuoto metafisico» di De Chirico, e le deduzioni junghiane sulle immagini inconsce, non incidono definitivamente sul problema della realtà o dell'esistenza di Dio, o di una entità, o non-entità, trascendentale. Si tratta in ogni caso, di prese di posizioni umane. Quelle affermazioni sono infatti basate, come Jung ha dimostrato nel suo Psicologia e religione, su contenuti della psiche inconscia, pervenuti al livello della coscienza, in forma tangibile, come immagini, sogni, idee o intuizioni. Ma l'origine di quei contenuti, e la causa di un simile processo di trasformazione (dalla idea di un Dio vivente alla idea di un Dio morto) sono destinate a restare sconosciute, alla soglia del mistero.
De Chirico non è mai pervenuto alla soluzione del problema propostogli dall'inconscio. Il suo fallimento risalta evidente nelle sue rappresentazioni della figura umana. Data la presente situazione religiosa, è allo stesso uomo che dovrebbero riconoscersi nuove, se pure impersonali, forme di dignità e di responsabilità. (Jung parla di responsabilità nei confronti della coscienza.) Ma, nell'opera di De Chirico, l'uomo è privo di anima; diviene un manichino, un pupazzo senza volto (e perciò anche senza coscienza).
Nelle varie versioni del suo Grande Metafisico, una figura senza viso è collocata su un basamento costituito da materiale di rifiuto. Quella figura è, consciamente o inconsciamente, una rappresentazione ironica dell'uomo che si sforza di scoprire la «verità» metafisica, e, al contempo, un simbolo di solitudine e di insensatezza totali. O forse i manichini (che si riscontrano anche nell'opera di altri artisti contemporanei) sono un presentimento dell'uomo-massa privo di volto e di personalità.
Sull'età dei quarant'anni, De Chirico ha abbandonato la sua pittura metafisica; è ritornato ai modelli tradizionali, ma il suo lavoro ha perduto in profondità. Questa è certamente una prova del fatto che non c'è «possibilità di ritorno al luogo di partenza» per un artista il cui inconscio si sia trovato coinvolto nel dilemma fondamentale dell'esistenza moderna.
15 gennaio 2025
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