Il bosco tra incanto, poesia, saggezza, conoscenza e paure

 

Il bosco suscita nell’essere umano mistero e incanto allo stesso tempo, paura e abbandono, perdizione e magia. L’archetipo del bosco simboleggia l’inconscio, la parte sconosciuta e misteriosa della nostra mente, dove risiede tutto ciò di cui l’essere umano è inconsapevole. La selva oscura ci riporta alle tenebre e alle parti celate. Tuttavia il bosco è anche incanto e magia, è istinto primordiale e natura pura, moltissime popolazioni venerano il bosco come luogo sacro, deputato a luogo di crescita dei giovani, nelle fiabe viene attraversato da principi, eroi, principesse e cavalieri, perché possano compiersi le missioni più nobili e possano uscirne cresciuti spiritualmente e umanamente. Perché non abbandonarci a esso, facendoci cullare dai maestosi rami dei suoi alberi, passarci attraverso e scoprire che sarà lui stesso a salvarci.

 

Max Hoenow, "Mulino della foresta"
Max Hoenow, "Mulino della foresta"

 

Il bosco ci riporta senz'altro all’incanto, ovvero all’atto di in-cantare, cantare dentro, sussurrare parole che ci conducono in un’altra dimensione e pronunciarle sotto forma cantata. Come fa lo sciamano nel suo viaggio di esperienza che va oltre i cinque sensi e oltre l’ordinario per raggiungere gli spiriti guida, oppure come fa la strega mentre compie i suoi rituali di magia, i suoi incantesimi appunto, esercitando i suoi poteri magici. Per questo l’incanto è naturalmente la magia che permea il bosco, il cantare dentro attiene alla sua peculiarità più significativa, all’archetipo del bosco che ci rimanda al recondito, alla parte sconosciuta e inconscia che ci esorta ad andare sempre più a fondo per conoscere ciò che si cela nelle sue profondità. Gran parte degli eventi più significativi o dei momenti salienti delle fiabe si svolgono nel bosco, in questo mondo di passaggio da un luogo a un altro luogo. I personaggi che lo attraversano compiono un viaggio che li cambierà per sempre, torneranno diversi, dotati di poteri magici oppure più consapevoli, più capaci di raggiungere la loro meta. Popolato da esseri magici e fatati, il bosco è custode. Custodisce una fonte guaritrice, un fiore raro, un albero millenario, un oggetto magico, una grotta mai esplorata. Chi abita il bosco è un essere magico. Sono fate, folletti, gnomi, elfi e streghe, vivono nascosti nel verde, tra gli alberi o nelle cavità della terra, dentro le grotte; sono esseri che ci riconducono alle profondità di questo luogo, insieme agli animali mitologici fiabeschi come l’unicorno. Il bosco è quindi anche scrigno, avvolge e protegge e soprattutto è costituito principalmente da alberi. L’albero è simbolo della vita, essere che si espande tra terra e cielo e si dirama in modo speculare sotto terra con le radici, in cielo con i suoi rami, siano essi nudi o ricoperti di foglie, è un simbolo di connessione tra terreno e divino. Le radici pulsano segnali per comunicare informazioni a tutto il bosco, per questo entrando al suo interno si sente e si percepisce un’esistenza unisona, il respiro di un’unica forma di vita, l’anima del bosco. 

 

Il bosco e in generale i luoghi di natura, inoltre, sono dominati e presieduti dal Genius loci, ovvero lo spirito del luogo, un’entità alla quale occorre chiedere il permesso e rivolgere un’invocazione affinché possa accoglierci benevolmente nel nostro passaggio di esseri umani. Il Genius loci è una sorta di spirito guardiano e protettore che racchiude tutti i significati di uno specifico luogo naturale, racchiude aspetti spirituali, culturali, sociali, le caratteristiche e le abitudini che lo connotano sono uniche e l’uomo deve stipulare con lui un accordo fondato sul rispetto. Anche l’architettura ricorre al Genius loci per progettare le città, affinché la loro edificazione possa risultare florida e prospera, attraversata da energie benevole.

 

 

Il bosco è anche perdizione, nel profondo delle sue radici e nelle questioni ataviche che lo avvolgono l’uomo corre il rischio di perdersi. La notte nel bosco è fatta di strida che penetrano le nostre coscienze sino ad annebbiarle, a renderle meno consapevoli, il sentiero sparisce e lascia il posto a mille occhi minacciosi. Possiamo vagare per notti e giorni convinti di aver ritrovato la via e solo quando avremo vissuto tutte le esperienze predisposte al compimento del nostro cammino, ci apparirà una casa con un camino che fuma o una radura che porta a un villaggio. Il bosco è assenza di spazio e tempo, l’ignoto che non volevamo affrontare. Ma in esso solo perdendosi l’uomo si salverà, è un percorso necessario. Scriveva Omero nell'Odissea«così hanno decretato gli dei. Che, nel perdersi, ciascuno possa ritrovare se stesso». Tanto è vero che il mare solcato da Ulisse è un luogo analogo al bosco, anch’esso rappresenta l’inconscio e porta alla perdizione, al naufragare dei pensieri che si increspano uno sull’altro come fanno le onde.

 

Il bosco è poesia, innumerevoli poeti hanno scritto versi dedicati al bosco, fra i più noti quelli di Gabriele D’Annunzio con la sua Pioggia nel pineto. In essa l’incanto ti conduce a ricercare il canto, alla celebrazione di parole e assonanze che cullano i pensieri. Leggendola a occhi chiusi ci ritroviamo nel cuore del bosco, quasi a farne parte, quasi inglobati, un tutt’uno fra esseri in una altissima esperienza di panismo, ovvero nella fusione fra uomo e cosmo.

 

« E il pino

ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro

altro ancóra, stromenti

diversi

sotto innumerevoli dita.

E immersi

noi siam nello spirto

silvestre,

d’arborea vita viventi…»

 

(Gabrielle D’Annunzio, La pioggia nel pineto)

 

“L’arborea vita” vuole sottolineare come l’uomo possa ritornare al legame indissolubile che ha con la natura, un legame che ritornerà sempre e non potrà mai spezzarsi, così come il legame che ha con il cosmo intero. D’Annunzio apre la poesia inducendo a far tacere le parole umane per lasciare spazio e parole definite nuove, pronunciate da gocce e foglie lontane, perché il bosco non ha nulla da spiegare, sa stupirti nuovamente nel suo abbraccio. “D’arborea vita viventi”: la vita che vive nella vita del bosco, una meravigliosa intensificazione del concetto di esistenza.

 

Tiziano Fratus, scrittore e poeta, ci incanta con le sue storie silvane, narrazioni boscose dove l’albero è protagonista in un tutt’uno con la natura e la vegetazione. Nella meravigliosa raccolta di poesie Ogni albero è un poeta illustra tanti mini mondi vegetali che vivono nel bosco, dove accade di tutto e dove gli esseri viventi collaborano e a volte lottano per la sopravvivenza reciproca, dove ogni albero con le sue peculiarità può donare il suo essere immenso a chi convive con lui o gli passa semplicemente accanto, dove ogni albero è un poeta e l’uomo lo attraversa in punta di piedi.

 

« Gli alberi sono poeti o i poeti sono destinati a farsi albero? Di certo c’è un bosco che cresce qui dentro. Con tutto quel che serve: mantidi albine, fischi e ali di pipistrello. Tronchi che sono versi e parole che pendono dai rami. » (Tiziano Fratus, Ogni albero è un poeta)

 

Il bosco è luogo di saggezza, un luogo dove l’essere umano può apprendere e conoscere senza filtri e senza sovrastrutture, attingere dalle radici conoscenze ancestrali. Questa è l’esperienza vissuta dal protagonista di Walden, ovvero vita nei boschi di Henry David Thoreau. Egli sceglie di andare nei boschi per ritrovarsi, tornare all’essenziale, abbandonare una società che non lo rappresenta più e che tiene conto di questioni economiche e materiali, valorizzando uno spropositato accumulo di ricchezza. La ricerca che attua Walden, mette in relazione l’essere umano e il tutto, è una ricerca interiore. Ma analizzando questo vocabolo così inflazionato vorrei sottolineare che con il prefisso “inter” si intende “tra” e non “dentro”; si tratta pertanto di una ricerca vissuta da una posizione intermedia, dalla quale troveremo un universo da esplorare, un punto di vista che sbaraglia qualsiasi visuale abitudinaria in quanto interiorizzare significa osservare e provare a conoscere la moltitudine che esiste tra l’uomo e il tutto, questa visione ci può aprire portali e approcci all’esistenza unici e salvifici. Ho colto questa suggestione così significativa legata al concetto di interiorità in ascolto agli approfondimenti di Igor Sibaldi, filologo, narratore, esperto di spiritualità, nei suoi numerosi seminari legati alla tematica dell’esistenza. Il bosco ci permette di vivere questa esperienza e di cambiare visuale. Conviene però osservare con questa lente in modo graduale: quando si avrà raggiunto piena consapevolezza di questa possibilità, infatti, sarà arduo appassionarsi e riappropriarsi delle faccende materiali e terrene.

 

« Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, affrontando solo i fatti essenziali della vita, per vedere se non fossi riuscito a imparare quanto essa aveva da insegnarmi e per non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto. Il fatto è che non volevo vivere quella che non era una vita a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, succhiare tutto il midollo di essa, volevo vivere da gagliardo spartano, per sbaragliare ciò che vita non era, falciare ampio e raso terra e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici. » (Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi)

 

 

Il bosco è quindi conoscenza, nessuna delle scuole più prestigiose può insegnare come insegna la natura. La natura non contiene postulati, si basa sull’incontro, sul confronto e sulle prove che ci offre al fine di abituarci a trovare da soli soluzioni efficaci. La natura ci parla e ci invia stimoli attraverso il suo simbolismo, così da instaurare un rapporto unico che darà un senso ai simboli che propone; il suo simbolismo acquista significato solo quando l’essere umano innesca questa connivenza. Per questa ragione non si tratta di conoscenza preconfezionata basata su argomenti prefissati, ma un meraviglioso scambio in continuo divenire. Possiamo imparare a costruire una capanna per ripararci dalla pioggia, ma se non ci vivremo dentro non sapremo mai se la sua architettura è efficace. Occorre viverla questa relazione, metterla in pratica, scoprire e rivedere le suggestioni che ci trasmette per arricchire la nostra conoscenza, ovvero l’insieme delle informazioni che abbiamo ricevuto e che sono connesse fra loro in incessante crescita e arricchimento.

 

« È giusto abbandonare l’arroganza a cui induce il potere della tecnica, ma sarebbe assurdo rinunciare del tutto alla civiltà e alla tecnologia: vorrebbe dire rinunciare a una parte importante di noi, a una delle caratteristiche che definiscono l’essere umano. Riscoprire la natura non vuol dire tradire la propria essenza. Al contrario, è un confronto, un dialogo a volte anche serrato fra l’uomo e il mondo che lo circonda; e serve anche a capire la giusta misura e il modo più sano di essere umani. Il cielo ha gridato la sua collera, ma ora si è sfogato. Il vento si quieta, la pioggia cala fino a cessare del tutto. La cortina di nuvole si dissolve, come un incubo dopo il risveglio. Il sole compare nuovamente. La battaglia è passata, torna la pace fra il cielo e la terra. » (Francesco Boer, Troverai più nei boschi

 

Il bosco è, infine, anche un ritorno alle origini. La natura se vogliamo ci offre la possibilità di comprendere il significato della nostra esistenza, ci rammenta delle nostre radici. L’esistenza dell’essere umano è ingabbiata e circondata da consumismi, confini tracciati e materialismo, strumenti ad elevata tecnologia dei quali non può più fare a meno. Tuttavia nel suo arrivo su questa terra ne era totalmente sprovvisto e ha intrapreso il suo cammino di essere vivente almeno per duecentocinquantamila anni prima di affidarsi a tutta questa artificiosità.

 

Come argomenta Francesco Boer nell’estratto sopra riportato, il bosco ci aiuta a ritrovare questa dimensione, seppur non sia più possibile e probabilmente assurdo rinunciare totalmente alla tecnologia e alla tecnica, cambiare rotta e vivere con le uniche risorse del bosco, è necessario comprendere comunque che questa dimensione non è mai scomparsa ed è sempre lì ad attenderci; questo può fare la differenza, può sostenere un pensiero ecologista e rispettoso nei confronti della natura.

 

 

Chi ha sostenuto profondamente questa visione, è stato il giovane Christopher Johnson McCandless, un ragazzo californiano che, una volta terminati gli studi al conseguimento della laurea in scienze sociali, donò in beneficenza i suoi risparmi e decise di vivere in natura, viaggiando a piedi tra Stati Uniti e Messico. Voleva lasciare una società capitalista e consumista nella quale non si ritrovava più. Lungo il suo cammino ha incontrato molte persone alle quali ha cercato di trasmettere i suoi valori di libertà e fratellanza, raggiungendo una pace interiore che gli ha permesso di sopravvivere molto tempo nella natura selvaggia dell’Alaska. La sua esistenza si concluse prematuramente a causa delle condizioni estreme nella quali aveva scelto di vivere; senza cibo e impossibilitato a cacciare regolarmente la selvaggina che poteva nutrirlo, morì avvelenato a causa del consumo di bacche non commestibili, con la complicità del freddo e impossibilitato a curare una ferita. Forse fu troppo avventato, probabilmente scelse un percorso estremo, poco ponderato, ma fra gli oggetti ritrovati all’interno del suo luogo di accampamento, un autobus abbandonato, venne ritrovato il libro “Walden ovvero vita nei boschi” di Thoreau con un suo commento scritto all’interno di una pagina: “verità”; compariva inoltre una scritta all’interno dell’autobus battezzato Magic Bus: «Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore. Addio e che Dio vi benedica!»

 

In qualche modo il giovane Christopher tornò alle origini, all’essenza della vita, alla quiete interiore che connota l’essere umano, in armonia con la natura e l’universo intero, in compagnia del canto del bosco.

 


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31 maggio 2025

 









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