La missione dell'arte

 

L’Arte non imita, interpreta. Essa cerca l’idea che dorme nel simbolo, e presenta il simbolo in modo che gli uomini veggano, attraverso, l’idea. Dove no, a che varrebbe l’Arte? La natura è per essa il manto dell’Eterno: il reale è l’espressione finita del Vero: le forme sono i limiti nel tempo e nello spazio della potenza della Vita. 

 

di Giuseppe Mazzini

 

Il Vero è uno e domina tutte quante le manifestazioni della Vita. Ad ogni stadio dell’educazione dell’Umanità o d’una sola Nazione presiede un pensiero sociale che rappresenta il grado di progresso da compirsi. Religione, Arte, Politica, Industria esprimono e promovono in modi diversi, a seconda della loro missione speciale e degli elementi nei quale versano, quel pensiero. Il Genio, l’individuo singolarmente potente, può compendiare il passato, o collocarsi profeta dell’avvenire; ma la Letteratura collettiva, l’Arte d’un Popolo o di più popoli, non può ch’informarsi al fine sociale immediato dell’Epoca.

Missione speciale dell’Arte è spronare gli uomini a tradurre il pensiero in azione. […] Essa afferra l’idea giacente nell’intelletto, la versa nel core, l’affida agli affetti, la converte in passioni, e trasmuta l’uomo di contemplatore in apostolo.

 

Eugène Delacroix, "la libertà che guida il popolo" (1830)
Eugène Delacroix, "la libertà che guida il popolo" (1830)

 

Non dico che l’Arte, come oggi gli uomini senza Fede l’intendono, adempia a questo ministero: dico che deve esser tale; che fu tale in tutte le sue grandi Epoche; che immiserì, scadde e diventò sollazzo di un’ora a gente svogliata, e parodia di se stessa ogni qualvolta traviò da quel fine.

Suprema condizione dell’Arte è dunque interrogare il pensiero dell’Epoca, nella Nazione e nella Umanità; poi tradurlo per simboli e immagini, e trovargli forme che suscitino la vita del core, della fantasia, dell’amore, a immedesimarselo e far sì che trionfi.

Il pensiero dell’Epoca della Nazione è la creazione d’una Italia che libera, e grande, levi in alto la bandiera dei popoli oppressi e senza nome, li chiami a vita una e spontanea e combatta a pro’ loro coll’esempio e coll’opera.

E il pensiero dell’Epoca nell’Umanità, è, checché appaia, una trasformazione religiosa: comporre solenni esequie a una Fede che, per cagioni lunghe a dirsi, non feconda più la vita dell’uomo; e chiamar l’anime oggi incerte, scettiche, sconfortate, disgiunte, a ribattezzarsi credenti, volenti, e sorelle, intorno alla culla d’un’altra.

Un nuovo cielo e una nuova terra: è campo angusto questo per l’Arte Italiana futura? È meno poetico forse che non quello di sensazioni e capricci individuali sul quale perirono isteriliti a mezzo il cammin della vita ingegni potenti come quello d’Alfredo di Musset? E perché l’Arte sarà principalmente religiosa e politica – perché seguirà convinta un fine, un intento collettivo preordinato falserà essa le proprie condizioni di vita violerà i confini che le sono assegnati? Sarà l’Arte meno sublime, perché avrà a simbolo la colonna di nube e fulgòre che precedeva il pellegrinaggio degli Israeliti attraverso il Deserto, anziché il fuoco fatuo dietro ai cui balzi irregolari si smarrisce il viandante nella foresta?

 

Giuseppe Pellizza da Volpedo, "Il quarto stato" (1901)
Giuseppe Pellizza da Volpedo, "Il quarto stato" (1901)

 

Due pericoli minacciano l’Arte: l’idea che essa è imitazione della natura o d’altro, e quella che le prefigge a norma il culto di se stessa, e creò negli anni vicini a noi la formola dell’Arte per l’Arte. La prima le rapisce ogni vita propria: la seconda rompe il suo vincolo coll’Universo, e la caccia a errare senza legge, senza fine, senza missione, travolta, come i sogni dell’infermo, dalle sensazioni. La prima la rende inutile; la seconda, pericolosa: ambedue la isteriliscono.

L’Arte non imita, interpreta. Essa cerca l’idea che dorme nel simbolo, e presenta il simbolo in modo che gli uomini veggano, attraverso, l’idea. Dove no, a che varrebbe l’Arte? La natura è per essa il manto dell’Eterno: il reale è l’espressione finita del Vero: le forme sono i limiti nel tempo e nello spazio della potenza della Vita. Natura, reale, forme, devono rappresentarsi dall’Arte in modo che ne trapeli agli uomini un raggio del Vero, un senso più profondo e più vasto della Vita. Che pensa diverso riduce l’ufficio del Poeta al fotografo. E l’Arte non è la fantasia, il capriccio d’un individuo: è la grande voce del Mondo e di Dio raccolta da un’anima eletta e versata agli uomini in armonia. 

 

Ettore Ferrari, monumento a Giuseppe Mazzini (Roma)
Ettore Ferrari, monumento a Giuseppe Mazzini (Roma)

 

[…] L’Arte non è un fenomeno isolato, sconnesso, inesplicabile; essa vive della vita dell’Universo, e con esso s’accosta d’epoca in epoca a Dio. Da quella vita collettiva trae, come le piante dalla terra, madre comune, la sua potenza sull’anime: la smarrirebbe staccandosene. L’Arte per l’Arte è formola atea, come la formola politica: ciascuno per sé: può dominare per alcuni anni su popoli che decadono; nol può sopra un popolo che sorge a vita nuova, e a una grande missione.

I giovani cultori dell’Arte in Italia, quando l’Italia sarà […], eviteranno, io lo spero, quei due pericoli.

Essi non dimenticheranno i Grandi, che da Dante a Foscolo insegnarono loro l’Arte essere un sacerdozio morale.

 

18 dicembre 2017 (tratto dalle Note autobiografiche, Cap. V)

 




  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica