L’impersonalità nel tempo di Internet

 

L’ascesa di Internet come strumento di comunicazione del nuovo millennio ha comportato nuovi quesiti esistenziali, in particolare: cosa accade alla persona quando questa si interfaccia alla rete?

 

di Cristian Pepe

 

Pieter Paul Rubens, "Due Satiri"
Pieter Paul Rubens, "Due Satiri"

 

Cos’è la persona? L’etimologia dice che questa parola significava «maschera dell’attore». Per mantenere questa relazione teatrale, con persona intendiamo dunque l’espressione concreta e sensibile della complessità del proprio Sé, a cui appartiene anche quell'individualità, spesso astratta ed informe, che i rapporti interpersonali ma spersonalizzati le dettano, senza qualità che la possa distinguere.

 

La digitalizzazione di tale «maschera» non è un’operazione lossless e le identità che ci creiamo navigando nel web sono inevitabilmente astratte, distorte e deformate: la persona tende verso l’individuo, diventa cioè impersonale.

 

Questa situazione è maggiormente esposta nei social media: è l’essere un +1 al numero di mi piace di una foto od una nuova condivisione di un tweet. Divenuti solamente numero, si poi è alimento dei «culti della personalità» del XXI secolo; «personalità» comunque individualistiche, ossia riguardanti gli aspetti contingenti dell’essere individui anziché quelli trascendenti dell’essere persone, tant’è vero che spesso non c’è nemmeno corrispondenza ad una vera persona, potendo trattarsi pure di profili di aziende, prodotti, opere o personaggi di fantasia.

 

Se però la spersonalizzazione è inevitabile, forse esiste un modo di sfruttarla:

 

 

« esistono due concetti dell’impersonalità, fra i quali corre un rapporto di analogia e, nel contempo, di opposizione: l’una è inferiore, l’altra superiore al livello della persona; l’una ha per limite l’individuo, nell’informità di una unità numerica e indifferente, che moltiplicandosi produce la massa anonima; l’altra è la culminazione tipica di un essere sovrano, è la persona assoluta. » (Julius Evola, Cavalcare la Tigre)

 

In senso positivo, quindi, l’impersonalità è superpersonale: è la perdita di tutti i tratti individualistici e spersonalizzanti della persona e l’incarnazione oggettiva di un’idea, di una funzione. È un essere tipico rapportabile alla tipicità delle maschere del teatro e l’oggettività la rende anonima.

 

A favorire tale prospettiva sono siti quali 2channel e 4chan, vere e proprie avanguardie dell’internet le cui decine di milioni di frequentatori ne plasmano la cultura. Lì l’identificazione – mediante pseudonimo – non solo non è richiesta, ma è fortemente malvista dalle comunità che li frequentano.

La loro formula è semplice: una lista di discussioni a cui gli utenti possono rispondere testualmente ed in modo anonimo.

 

Si tratta di una forma di comunicazione molto astratta, che pone in risalto il messaggio rispetto al soggetto che lo ha inviato. Questi finiscono col fondersi: la propria identità è ciò che si è trasmesso, si è tutt’uno con le proprie argomentazioni. Ciò che si può ottenere è una dialettica pura, altrimenti sempre influenzata dal soggetto a cui ci si rivolge. Del resto:

 

« lo stile dell’anonimia si realizzò anche nel dominio speculativo quando si ritenne ovvio che ciò che viene pensato secondo verità non può essere contrassegnato dal nome di un individuo. » (J. Evola, ivi)

 

Queste, però, sono solo riflessioni sulle conseguenze di tali meccanismi comunicativi. Così come nel web, come al di fuori, lo spersonalizzarsi è personale:

 

« esiste davvero una grandezza della personalità là dove è visibile l’opera più che l’autore, l’oggettivo più che il soggettivo, dove nel campo dell’umano si riflette qualcosa di quella nudità, di quella purità, che è propria alle grandi forze della natura: nella storia, nell’arte, nella politica, nell’ascesi, in tutti i gradi dell’esistenza. » (J. Evola, ivi)

 

16 ottobre 2017

 




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