Il nichilismo europeo

 

L’Europa scopre – nel suo confronto con l’Oriente – i propri punti di forza, ma anche le debolezze che la stanno portando alla deriva.

 

Caspar David Friedrich, "Abbazia nel querceto"
Caspar David Friedrich, "Abbazia nel querceto"

 

L’ultima sezione de Il nichilismo europeo, testo redatto da Karl Lӧwith agli esordi della Seconda Guerra Mondiale, è intitolata Postfazione per il lettore giapponese. In questo breve capitolo conclusivo l’autore si rivolge agli abitanti del Giappone, paese in cui si è trasferito da poco e nel quale pubblica il suo scritto, riguardante motivazioni ideologiche e spirituali che hanno condotto, dalla fine dell’Ottocento sino ai suoi giorni, l’Europa alla deriva. La peculiarità dell’analisi di Lӧwith, che denuncia un vuoto di valori causante l’escalation militare e capitalistica del primo Novecento, sta anche nel confronto da lui sviluppato tra Oriente ed Occidente. Quest’ultimo – inteso come concetto ideologico e culturale prima che geografico – si delinea come continua opposizione all’Asia: se la storia del mondo nasce in Oriente, in Europa essa conosce – usando parole di Hegel – «il sole interiore dell’autocoscienza».

 

Per Lӧwith l’Occidente sviluppa il proprio pensiero con capacità critica e dinamicità, appropriandosi dell’alterità e sapendola riconoscere in se stesso. In questo modo si rendono possibili, sin dall’antichità, evoluzioni e rivoluzioni, grosse fratture ideologiche, sociali e politiche. Già i Greci possedevano questo occhio critico: 

« I loro esploratori e i loro sapienti per primi hanno avuto un interesse per lo straniero pari a quello per se stessi: la loro profonda e chiara conoscenza delle caratteristiche degli altri va di pari passo, infatti, con quella delle proprie. Mi sembra che in Giappone manchi soprattutto tale carattere di libera appropriazione. […] L’appropriazione di qualcosa di altro da sé e di estraneo presupporrebbe infatti la capacità di estraniarsi, o di prendere le distanze da sé stessi. »

 

Ciò che agli europei riesce spontaneo fare è per i Giapponesi un’azione difficile da concepire verso la propria cultura e nei confronti del proprio passato. Il rapporto con la tradizione, in tal senso, è emblematico:

 

« Un “Giappone moderno” è – per un Europeo – una contraddizione vivente, perché ciò che è moderno in senso occidentale non è giapponese, mentre ciò che è autenticamente giapponese è antichissimo. Ciò che anche nel Giappone di oggi continua ad essere autentica cultura, distinta semplicità, moralità e bellezza, non è qualcosa di moderno, ma qualcosa che custodisce in sé l’antichità. »

 

Il Giappone e più generalmente l’Oriente, secondo Lӧwith, anche venendo in contatto con ciò che è altro da sé, mantengono la propria identità senza metterla in discussione; accettano e accolgono con magnanimità la cultura Europea e, negli ultimi secoli, le sue innovazioni tecniche e forme politiche, ma appropriandosene non le pongono a livello di confronto: non mettono alla prova «il loro amor proprio».

Esempio di tutto ciò è il fatto che molti giapponesi, ascoltando i racconti di Lӧwith sulla filosofia occidentale, si indignassero sentendo di pensatori che avevano rinnegato o fortemente criticato i loro maestri o predecessori.

 

In questa cornice si può ora comprendere meglio in che senso le operazioni di autocritica e distacco ideologico siano propriamente europee, figlie di cambiamenti storico-politici, di Rivoluzioni come quelle francese e russa, di conflitti tra Stati fra loro diversi, di lotte per diritti civili e di tentativi di far nascere la democrazia. L’Occidente porta in sé una produttiva e dinamica forza di innovazione e progresso storico, frutto della sua cultura, della sua conformazione ideologica e anche geografica; una forza che purtroppo si è spesso espressa in modo violento e sanguinoso, anche metaforicamente nei confronti della propria tradizione. È proprio questo il rischio che Lӧwith già vedeva attuarsi e che oggigiorno si mostra in altre forme: con il Novecento, insieme alla guerra, l’Occidente si porta appresso un’ansia di distruzione e potenza che diviene nichilismo.

 

« Solo pochi individui dell’odierna generazione – su cui incombe la seconda guerra mondiale – preservano ancora in sé l’immagine di quell’Europa che, da Omero a Virgilio fino a Dante e Shakespeare, Goethe ed Hegel, ha dato al nostro Pianeta la sua impronta spirituale fondamentale. L’ultimo filosofo tedesco in cui era ancora vivo lo spirito europeo è stato Nietzsche. Eppure, egli sta già al limite della transizione tra la Vecchia e la Nuova Europa che, ormai, non è nulla più che “una peculiare opportunità per i Tedeschi”. »

 

28 aprile 2018

 

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