Per una nuova educazione linguistica

 

Una volta compresa la funzione del linguaggio, l'attenzione si concentra sulle pratiche più adatte a sviluppare tale facoltà, secondo l'obiettivo di contrastare quella "mancanza di senso" che, oggi più che mai, imperversa sugli aspetti relazionali e conoscitivi.

 

Edward Hopper, "Room in New York" (1932)
Edward Hopper, "Room in New York" (1932)

 

L’orizzonte postmoderno che sotto i nostri occhi si sta ampiamente delineando non lascia possibilità di scampo a nessuna delle dimensioni che caratterizzano l’essere umano. È essenzialmente il campo delle relazioni a essere maggiormente pervaso da tale fenomeno. Quando il confronto viene a scemare, la condivisione si annulla e, con essa, il rapporto stesso che con l’Altro si era instaurato.

 

Per far fronte alle difficili conseguenze cui tale atteggiamento diffuso sta conducendo, risulta necessaria un’educazione “alla relazione” che non può trascendere una riflessione sul linguaggio e, in particolare, sul suo ineludibile ruolo all’interno delle relazioni. Quest’ultime necessitano incontrovertibilmente di un contatto, che può essere di natura affettiva, verbale o fisica e che viene stabilito, per l’appunto, dal linguaggio. Questo riguarda la sfera sia verbale, che non verbale, per la ragione che anche quegli aspetti connessi alla prossemica veicolano significati di varia natura. Poiché il nichilismo postmoderno è penetrato anche in tale dimensione, è a un’educazione linguistica che bisogna rivolgere le proprie attenzioni. È lo stesso Ludwig Wittgenstein che, nel suo "Tractatus logico-philosophicus", sottolinea come il linguaggio si rifletta sulla formazione del pensiero e sul modo di approcciarsi alla realtà, asserendo:

 

« I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo. »

 

Ludwig Wittgenstein (1889-1951)
Ludwig Wittgenstein (1889-1951)

 

Risulta innanzitutto doveroso stabilire cosa si intenda con il termine linguaggio. Due possono essere le definizioni appropriate: «capacità tipica della specie umana di comunicare per mezzo di un sistema di segni vocali» e «insieme di simboli e regole per la redazione dei programmi di elaborazione» (in “lo Zingarelli minore. Vocabolario della lingua italiana”, 2001). Il linguaggio risulta, quindi, una facoltà umana intrinsecamente connessa e dipendente dalla mente. Esso ha certamente una funzione comunicativa del pensiero, ma si identifica anche in uno strumento utile all’interpretazione della realtà. Come afferma Noam Chomsky in La scienza del linguaggio

 

« [esso] non si limita a raggruppare informazioni; non è un dispositivo di registrazione. »

 

Il linguaggio possiede un’alta facoltà innovatrice, in quanto permette di creare infinite possibilità di espressione di un concetto tramite l’associazione di più lettere e, più in generale, termini. Funge anche da coordinatore e integratore di informazioni diverse e permette, inoltre, la loro interpretazione soggettiva. Ogni aspetto di cui l’uomo discute è, infatti, connesso all’esperienza soggettiva:

Noam Chomsky (1928)
Noam Chomsky (1928)

 

« quando parliamo di qualcosa come avente una funzione in particolare per noi, la concepiamo nei nostri diversi tentativi di capire il mondo per poterne parlare. Assegnare una funzione a qualcosa è darle un ruolo nel risolvere qualche problema o nello svolgere qualche compito richiesto da interessi partici. » (Noam Chomsky, La scienza del linguaggio)

 

Una volta compresa la funzione del linguaggio, l’attenzione si concentra sulle pratiche più adatte a sviluppare tale facoltà, secondo l’obiettivo di contrastare quella “mancanza di senso” che, oggi più che mai, imperversa sugli aspetti relazionali e conoscitivi.

 

Quando si parla di “educazione linguistica” non può che saltare alla mente il documento “Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica”, redatto nel 1975 a opera dei soci del GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel campo dell’Educazione Linguistica), un gruppo che si è costituito nel 1973 e che intende definire i presupposti teorici e le linee d’intervento per la realizzazione di un’educazione linguistica democratica (per un approfondimento sul rapporto tra democrazia e linguaggio si veda Verso una nuova consapevolezza del dialogo democratico). Membro del GISCEL è stato Tullio De Mauro, famoso linguista che ha propugnato un’idea di linguaggio come sistema profondamente connesso all’esperienza individuale dell’utente, quindi come dimensione intrinsecamente umana e storica: umana perché vincolata alle necessità della specie e della società e, quindi, dipendente da esse, e storica in quanto sottoposto a un continuo cambiamento. Nelle “Dieci tesi” la convinzione di De Mauro traspare dalle righe, soprattutto per la concezione di centralità del linguaggio verbale, per la sua interconnessione con le altre capacità espressive e simboliche e per il fatto che esso consente di intendersi fra uomini, di analizzare l’esperienza e trasformarla.

 

Tullio De Mauro (1932-2017)
Tullio De Mauro (1932-2017)

 

Per riscontrare un miglioramento nelle capacità linguistiche e, quindi, di riflesso, relazionali, risulta necessario abbandonare quelle pratiche della pedagogia linguistica tradizionale ancora largamente in uso. Gli aspetti di tale approccio maggiormente criticati risultano la volontà di operare settorialmente, non considerando lo sviluppo globale della persona, e il mero incremento della capacità di scrittura, la quale non deve essere trascurata, ma accompagnata da uno sviluppo parallelo delle abilità orali, che sono maggiormente coinvolte negli scambi con l’Altro. L’educazione linguistica dovrebbe, infatti, concepire lo sviluppo del linguaggio mai come fine a sé stesso, bensì come strumento di partecipazione alla vita sociale e di creazione di relazioni.

 

Nonostante sia passato qualche decennio dalla pubblicazione delle “Dieci tesi” la situazione scolastica concernente l’educazione linguistica sembra non aver ancora raggiunto quei livelli necessari per tentare di arrestare l’imperversare del postmoderno. È compito degli insegnanti ma, a ben guardare, di chiunque, cercare di riscontrare un significato il meno contraddittorio possibile delle tesi che si pronunciano. Ciò può essere reso possibile incentivando il dialogo e dimostrando che qualsiasi asserzione pronunciata ha un impatto diretto nella realtà concreta che ognuno vive.

 

22 ottobre 2018

 








  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica