Adolescenza rivoluzionaria

 

Il giovane e maldestro adolescente, al di là della sua situazione fragile e precaria, si trova davanti a sé la possibilità di cambiare il mondo: aiutato da quei piccoli segreti che è riuscito a scorgere nel rapporto con alcune persone, ha la possibilità di dar vita a qualcosa di diverso. La sola idea di poter decidere che forma dare alla propria vita adulta lo esalta o lo tiene vivo. 

 

di Antonio Martini

 

L’adolescenza è forse uno dei momenti più tumultuosi della nostra vita: nell’uscire dalla sfera famigliare scopriamo nuove passioni che ci animano e che possono andare in contrasto con quello che i nostri genitori ci hanno sempre trasmesso. Coltiviamo i nostri desideri, entriamo sempre di più in contatto con il mondo degli adulti, scopriamo dinamiche che fino a quando eravamo bambini ignoravamo. Durante il processo che ci spinge a realizzare i nostri sogni siamo costantemente inquieti, non siamo mai appagati della situazione presente, rilanciamo sempre, meditiamo sulle nostre debolezze e cerchiamo di combatterle.

 

« Ciò che bramiamo quando siamo giovani è la realizzazione nelle nostre carni di tutto ciò che ha esaltato i nostri sogni, ciò che desta la nostra ammirazione, che agita la nostra invidia, e ad ogni grandezza contribuiamo con l’omaggio di una veglia gelosa » (N.G. Dávila, Notas)

 

L’adolescenza è un periodo altamente filosofico, un momento in cui le contraddizioni che il mondo si fa portatore si incarnano in un fanciullo un po’ maturo: in esso avviene il conflitto tra generazioni, si fa carne il desiderio di cambiare lo stato delle cose, viene piantato il seme per un nuovo mondo. Infatti, qualora il ragazzo avesse una rottura con ciò che gli è stato insegnato fino a quel momento, questo periodo particolare gli permetterebbe di essere aperto a nuove idee, di far proprio un modo di vivere differente. Ecco perché ogni ragazzo è un rivoluzionario in potenza, ha la possibilità di lasciarsi alle spalle ciò che l’ha caratterizzato fino a quel momento e fondare una nuova vita. « Idee e opere d’arte sono generalmente create da vecchi, ma godono di esse solo i giovani » (Ibidem). Questo pensiero di Dávila è più che mai veritiero: qualsiasi innovatore ha bisogno di tempo per poter mettere a punto il suo lavoro. Una volta terminata l’opera, sarà ormai adulto; i coetanei gli saranno estranei nel capire lo sviluppo del suo lavoro, in quanto è un innovatore e almeno in quell'aspetto si differenzia da loro; avrà quindi  bisogno di qualcuno a cui tramandare la propria opera, qualcuno che possa viverla e portarla avanti come ha fatto lui. Ecco l’adolescente, il ragazzo aperto a sconvolgere la propria vita in cambio di un sogno, in cambio di un’idea. Questo avviene in qualsiasi processo educativo, anche tra padre e figlio: il padre medita per una vita su un determinato concetto, si scontra con esso più e più volte finché non avrà trovato una soluzione che lo appaghi. Tale idea sarà talmente intima ed elaborata che entrerà in contrasto con tutto il resto dell’opinione comune: ecco dunque la possibilità di poter tramandare questo prezioso lavoro a colui che è sangue del proprio sangue: il figlio. Più il padre testimonierà qualcosa di coerente, più questa idea verrà assimilata e portata avanti dal figlio. Solo coloro che vivono a stretto contatto con la coltivazione di un’idea potranno un giorno apprezzarla nel modo più completo. Il figlio e l’alunno non sono che dei privilegiati: possono crescere di pari passo con l'idea stessa.

 

«Ora siamo qui solo come ricordi per i nostri figli. […] Quando diventi genitore sei il fantasma del futuro dei tuoi figli». Queste sono le parole che ha rivolto Cooper verso sua figlia Murphy prima di partire per lo spazio nel film Interstellar. C’è un’intimità che avvolge il processo educativo, un’intimità che deriva dal rapporto che è unico ed irripetibile: questo ricordo, questa testimonianza, è qualcosa di potenzialmente rivoluzionario, il segreto di una relazione feconda pronto ad esplodere grazie alla nuova vita dell’adolescente. Il giovane e maldestro adolescente, al di là della sua situazione fragile e precaria, si trova davanti a sé la possibilità di cambiare il mondo: aiutato da quei piccoli segreti che è riuscito a scorgere nel rapporto con alcune persone, ha la possibilità di dar vita a qualcosa di diverso. La sola idea di poter decidere che forma dare alla propria vita adulta lo esalta o la fa tener vivo. Il problema sta nel fatto che non tutti riescono ad avere educatori da cui prendere esempio, maestri animati dalla passione di quello che sono portati ad insegnare, genitori che li crescono facendoli diventare persone mature. In tutti questi casi l’adolescente non farà altro che accontentarsi della mediocrità che gli viene proposta, manifestando in un primo momento segnali di trasgressione, i quali appaiono come un effetto scontato di quel coacervo di contraddizioni a cui sono stati educati e che vorrebbero impotenti estirpare.

 

Le scoperte più importanti, le idee più virtuose, le testimonianze più audaci sopravvivono e si incarnano nei ragazzi: con loro la storia può andare avanti, la rivoluzione può andare oltre e la speranza non svanire. Se guardiamo all’idea di rivoluzione come cambiamento radicale dello stato delle cose non possiamo che ammettere la possibile rivoluzione di quell’idea stessa: l’adolescente, in quanto parte di una generazione di persone nuove, si trova a incarnare quell’idea e a rivalutarla nel metterla in pratica. Nel portare avanti ciò che di più coerente gli era stato trasmesso è doppiamente rivoluzionario: compie una selezione di quello che viene proposto dalla società e nell’attuare questa selezione la critica ulteriormente. Ecco quindi che per essere dei buoni rivoluzionari è necessario essere prima di tutto dei buoni restauratori, cioè portare avanti quello che di buono le generazioni precedenti sono riuscite a produrre. 

 

« Che la nuova generazione non perda ciò che aveva conquistato la generazione che la genera, che il figlio prolunghi il padre e si eriga su quello che il padre costruisce, che il privilegio mantenga intatto un trionfo transitorio affinché l’uomo non debba nascere ogni giorno naufrago della notte imperiosa. » (N.G. Dávila, Notas)

 

Solitamente la gioventù è più spensierata della popolazione anziana: davanti ad essa la morte incombe con meno prepotenza e il pensiero di aver sbagliato qualcosa è più che mai vago: la fortuna dei giovani è che in buona fede possono colpevolizzare gli altri della loro mediocrità; questo un vecchio non lo può fare. Il giovane può prendersela con il mondo perché non è ancora suo, l’adulto invece si sente più colpevole di quello che ha fatto, quindi meno felice. È questa l’opportunità che l’adolescente crede che gli venga data: poter costruire un modo diverso, un mondo secondo le proprie esigenze. Quando poi negli anni capirà che ciò a cui aspirava non era altro che il consolidamento di quello che c’era prima, rimarrà con un sapore d'amaro in bocca e rimpiangerà tutte quelle scelte che avrebbero potuto offrirgli un cambiamento.

 

Il ruolo dell’adulto, dell’educatore e del genitore non può essere che questo: preparare il terreno per la rivoluzione che compiranno le future generazioni. Per fare ciò occorre avere un desiderio, un’aspirazione, una voglia di qualcosa d’altro, che vada oltre lo stato di cose presenti e le metta in discussione, per poi presentarle alla discendenza. L’allarmismo che c’è stato attorno agli adolescenti nel 2018 non sembra denotare altro se non una forte inadeguatezza dell’esempio offerto dal mondo adulto. Dalla trap, dal bullismo, dalla violenza nelle scuole sembra uscire un grido d’accusa pesante, una dichiarazione di fallimento: solo chi avrà il coraggio di assumersene le colpe e vedere dentro di sé la radice di queste problematiche potrà dire di aver voluto bene al proprio figlio.

 

28 gennaio 2019

 








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