Attualità della riflessione epistemologica di Ludovico Geymonat

 

Che cos'è la verità? Che cos'è la realtà? In che modo possiamo conciliare il carattere oggettivo della verità con il fatto che essa sia storica e muti continuamente? Le risposte di Ludovico Geymonat a questi interrogativi, a partire dall'analisi storica delle scienze, sono ancora oggi di grande interesse.

 

di Alessandro Tosolini

 

A sinistra, Ludovico Geymonat insieme a Mario Dal Pra
A sinistra, Ludovico Geymonat insieme a Mario Dal Pra

 

« La presunzione che si possa parlare di razionalità solo quando si applicano certi determinati metodi, fissati a priori, non può che essere frutto di cieco dogmatismo. » (Ludovico Geymonat, Scienza e Realismo

 

Ludovico Geymonat è stato un epistemologo e filosofo italiano, probabilmente uno dei più importanti del Novecento. Egli fu il primo in Italia a detenere una cattedra di Filosofia della scienza, disciplina che egli contribuì ad introdurre in Italia grazie ad un’intensa attività divulgativa. Figura poliedrica, egli non considerava la sua disciplina in maniera rigida e ristretta, ma come mezzo per riflessioni più ampie sulla filosofia in generale. 

 

Per Geymonat il primo garante dell’oggettività della scienza è la storia: è la storicità intrinseca della scienza, il fatto che essa si imponga a noi con le sue scoperte e le sue conseguenze pratiche, che ne fa il primo ambito di riflessione per qualsiasi filosofia che non voglia limitarsi ad astratte speculazioni prive di capacità di incidere sulla realtà effettiva. Questa riflessione porta Geymonat ad aderire al Partito Comunista Italiano e a battersi con la Resistenza in Piemonte durante la Seconda Guerra Mondiale; da qui anche la sua battaglia a tutto campo in difesa della razionalità, la sua adesione al neorazionalismo italiano negli anni '50, la lotta contro ogni forma di irrazionalismo e oscurantismo. Per Geymonat insomma la filosofia e la scienza non erano solo un passatempo, ma un campo di battaglia.

 

La sua riflessione però non si limita a questo. Essa si sostanzia in una critica a tutto campo anche ad ogni concezione dogmatica e riduttiva della scienza, in particolare attraverso un serrato confronto prima con il neopositivismo e poi con il postpositivismo di Popper, Kuhn e Lakatos. Dei primi egli apprezza e condivide l’antidogmatismo critico e la novità delle loro ricerche attente ai problemi del linguaggio, criticandone però l’impostazione eccessivamente astratta e poco attenta alla storicità della dimensione scientifica. Dei secondi condivide l’apertura alla storicità nelle analisi di storia della scienza, rifiutando tuttavia i modi eccessivamente soggettivi e vaghi con cui questi impostano le loro analisi: la scienza è infatti per Geymonat una dimensione troppo complessa e multilaterale, per essere ridotta a rigidi schematismi come quello del criterio di falsificabilità di Popper o delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn. 

 

Geymonat si confrontò anche molto diffusamente con l’indirizzo epistemologico del convenzionalismo: secondo questa corrente, fondata dai celebri epistemologi e scienziati Ernst Mach, Pierre Duhem e Henri Poincaré, le teorie scientifiche non si richiamerebbero a qualche verità eterna scolpita nel tempo, ma sarebbero fondate su assiomi meramente convenzionali. Questa corrente ha secondo Geymonat una grande importanza, in quanto ha permesso a diversi settori della scienza, come ad esempio la matematica con la nascita delle geometrie non euclidee, di svecchiarsi e superare vecchie concezioni meccanicistiche e positivistiche. È inoltre noto storicamente il ruolo rilevante che ha svolto il convenzionalismo nella nascita della fisica quantistica e nel superamento della vecchia fisica meccanica. 

 

Geymonat non può che riconoscere la grande importanza che ha avuto questa corrente nello sviluppo della scienza e, tuttavia, non può accettarne l’empirismo radicale che riduce tutti i concetti scientifici a meri giochi o convenzioni, privi di verità, e la scienza ad un’attività senza valore conoscitivo. Dunque, a partire dagli anni '60, comincia ad interessarsi al problema del realismo e cerca un criterio che possa superare la critica convenzionalistica senza per questo irrigidirsi in concezioni dogmatiche che non sappiano riconoscere i meriti che questa corrente ha avuto nel progresso scientifico. Secondo Geymonat, infatti, la verità di una teoria non si trova nella teoria stessa, che è appunto convenzionale, ma nella sua applicazione pratica. È proprio nella sua praticità, nel fatto che essa trova applicazioni tecniche e sociali, che una teoria scientifica trova la sua verità. Non è quindi per il fatto che è una convenzione per mero scopo pratico che una teoria scientifica non ha bisogno di essere vera, ma proprio per il fatto che serve la pratica, essa è vera.

 

 

U. Boccioni, "La città che sale", 1911
U. Boccioni, "La città che sale", 1911

 

In poche parole, la scienza è qualcosa di storico, di reale e di presente per gli uomini, qualcosa dunque di vero e tangibile, ma allo stesso tempo qualcosa di mutevole e in continuo progresso, dunque non riducibile a teorie fisse e schematiche, come ancora i vecchi sistemi di Hegel e Spencer tentavano di fare. Bisogna invece far ricorso ad una nuova concezione di realtà, in cui «la dimensione storica entra a far parte della nozione stessa di verità, sostituendo in tal modo la vecchia nozione statica di essa.» (Ivi)

 

Per cercare di concettualizzare questo complesso insieme, Geymonat utilizza il termine di “patrimonio scientifico-tecnico”. Esso indica la complessità del fenomeno scienza, che non può essere ridotto alle sole analisi di tipo logico-formale delle teorie dei neopositivisti, pur indispensabili: esso deve invece riguardare anche altri campi, come le applicazioni tecniche e sociali delle teorie, o ancora il passaggio da una teoria scientifica all’altra. Solo in questo modo si possono chiarire i complessi nessi dell’edificio-scienza e superare l’isolamento a cui il convenzionalismo condannava le teorie scientifiche, ridotte a meri giochi senza nessi tra loro e la realtà.

 

Queste riflessioni sulla scienza sono ben lungi da essere meramente disciplinari: per Geymonat infatti la riflessione filosofico-scientifica, che deve sempre avvenire “tra le pieghe della scienza”, è un punto di partenza per analisi filosofiche più generali. Che cosa ci dicono infatti le riflessioni precedenti? Che il nostro concetto tradizionale di verità deve essere modificato. La verità che ci fornisce la scienza infatti non è una verità di tipo assoluto, ma solo relativa. Ogni nostra conoscenza è dunque aperta e continuamente rivedibile. In tal modo Geymonat riesce a conciliare il carattere critico e aperto della verità, senza per questo fare concessioni a concezioni di tipo scettico ed empiristico.

 

Sono queste premesse che portano Geymonat ad aderire, negli anni '70, al materialismo dialettico. Geymonat considera questa concezione l’unica che sia capace di conciliare queste due dimensioni della scienza, critica e scettica, ma allo stesso tempo reale e oggettiva. È in particolare la valorizzazione della contraddizione, e quindi anche degli insuccessi e dei momenti negativi, propria della dialettica, che conducono, secondo Geymonat, alla necessità di ampliare la nostra nozione tradizionale di razionalità non solo agli insuccessi nella scienza, ma anche ai momenti spesso trascurati dello sviluppo della scienza come le matematiche babilonesi e cinesi. 

 

« Richiamarsi al metodo dialettico significa oggi riconoscere la necessità di ampliare la nozione di ragione, rifiutandosi di identificarla con la sola razionalità (pure importantissima) che si esprime nella logica formale; e significa soprattutto riconoscere che questo ampliamento deve venire compiuto attraverso un riesame approfondito della funzione spettante alla contraddizione (alle antinomie, ai paradossi e in generale alla negazione). » (Ivi)

 

La riflessione di Geymonat ci ricorda dunque la natura concreta e storica di tutte le nostre riflessioni e la necessità di mettere a confronto il nostro pensiero con la realtà, con la società, con la politica e con il reale statuto delle conoscenze di un periodo; un realismo che cerca la realtà nella sua dimensione più dinamica e flessibile e che non cerca di ossificarla in concezioni assolute. 

 

9 dicembre 2020

 









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