Il paradosso del multiculturalismo

 

Il paradosso che vorrebbe che ognuno “scegliesse liberamente” a quale cultura aderire si ingenera appunto nel fatto che quello che qui viene inteso come “libertà” sia descritto e definito secondo i canoni occidentali e che quindi anche questo multiculturalismo, che ha alla base il rispetto per la libertà altrui, possa essere sostenuto soltanto per una tacita adesione ai valori occidentali.

È facile parlare di multiculturalismo e interculturalità come se ciò richiedesse e comportasse solo una tranquilla coesistenza pacifica tra tutte le culture. L’interculturalità in realtà è un compito ben più difficile dal solito girotondo di bambini color arcobaleno con cui viene rappresentata.

Innanzitutto, perché questa posizione multiculturalista appartiene principalmente al mondo occidentale, e perché suppone sostanzialmente che alla base di ogni cultura rispettosa e degna dell’Uomo ci siano i Diritti Umani (N.B.: diritti e valori appartenenti principalmente all’Occidente). Prendiamo fra tutti tra questi diritti più o meno riconosciuti, il diritto alla Libertà, che pare uno dei diritti fondamentali e più largamente riconosciuti: sostenendo che l’essere umano sia essenzialmente, o almeno potenzialmente, libero, si vanno però a condannare tutte quelle culture che non permettono “libertà” intesa, ovviamente, in modo Occidentale (come capacità di autodeterminazione, di disporre della proprietà individuale, etc.). Quindi in sostanza si additano le altre culture come illiberali, e di conseguenza inumane e arretrate, appunto perché queste culture sono “altre”, sono "diverse", ossia non si conformano con l’ideale occidentale di Libertà.

 

Chiaro appare allora che in un mondo pacificamente multiculturale come qualcuno lo vorrebbe, la libertà di autodeterminarsi deve essere fondamentale, in quanto una qualsiasi cultura non potrebbe né dovrebbe imporre la propria posizione all’altra, ma lasciare che le persone scelgano “liberamente” a quale aderire e se aderirvi. Ciò comporta implicitamente che ogni cultura che non consenta ciò debba essere automaticamente etichettata come intollerante ed esclusa dalla idilliaca comunità multiculturale, con il paradossale risultato che anche quest’ultima arriva a rivelarsi intrinsecamente intollerante come tutte le altre escluse.

Il paradosso che vorrebbe che ognuno “scegliesse liberamente” a quale cultura aderire si ingenera appunto nel fatto che quello che qui viene inteso come “libertà” sia descritto e definito secondo i canoni occidentali e che quindi anche questo multiculturalismo, che ha alla base il rispetto per la libertà altrui, possa essere sostenuto soltanto per una tacita adesione ai valori occidentali.

 

« L’odierna tolleranza progressista verso gli altri, il rispetto della diversità e l’apertura verso di essa, è contrappuntata da una paura ossessiva di essere molestati. In breve, l’Altro va benissimo, a patto che la sua presenza non sia invadente, a patto che questo Altro non sia veramente un altro […]. Il mio dovere di essere tollerante verso l’altro significa di fatto che non dovrei avvicinarmi troppo a lui, invadere il suo spazio. In altre parole, dovrei rispettare la sua intolleranza verso un mio eccesso di prossimità. Ciò che emerge sempre più come diritto umano fondamentale nella società tardo-capitalistica è il diritto a non essere molestato, che è il diritto a rimanere a una distanza di sicurezza dagli altri. » (Slavoj Žižek, La violenza invisibile)

 

La pretesa assurda di un tale multiculturalismo è allora quella di innalzarsi ad un punto di vista superiore, distaccato, quasi trascendente rispetto alla propria e altrui cultura, da cui, come uno scienziato in un laboratorio o un turista allo zoo, osserva le altre culture, pretendendo di mantenerle nella loro alterità per “rispettarle”, compiacendosi del loro “folklore” e della propria magnanimità e bontà di “lasciarle essere come sono”. Ma non appena queste culture provassero a ribellarsi o si rivelassero pericolose per la Libertà, non ci si penserebbe due volte ad eliminarle etichettandole come “disumane”. Apertamente le si accetta, ma tacitamente viene sempre chiesto di rinunciare a quei lati ritenuti più scabrosi, più pericolosi.

 

La pretesa del progressista tollerante è quella che ognuno riuscisse ad innalzarsi al di sopra della propria cultura, a vederla dal di fuori e a giudicarla più o meno giusta, rinunciando a tutti gli elementi che compromettono la convivenza. Ciò presuppone però una previa adesione ai valori occidentali, e quindi già una rinuncia ai propri valori da parte delle altre culture.

Una posizione che si rivela perciò intrinsecamente intollerante e razzista, di quel razzismo che appunto vede l'Altro come un pericolo, che applica esclusivamente e ciecamente i propri valori, le proprie definizioni e i propri concetti, ottenendo dunque l’effetto contrario rispetto a quanto, forse ipocritamente, sperato.

 

Questa purtroppo è la prospettiva che cela quella potenziale e incontrollabile violenza che ha portato a fenomeni come l’esportazione di democrazia nei Paesi arabi, creando, come si sa, più danni che benefici. La violenza di un mondo (quello Occidentale) che, mascherandosi da buona fede, tende ad imporre il proprio modus vivendi, perché tende a giudicare umano e degno solo ciò che rientra nei propri canoni, mantenendo la vera alterità al livello di “inumano”, di “subumano” o di “indigeno”.

 

16 gennaio 2020

 








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