La sfida della filosofia

 

La crisi della società postmoderna è dovuta ad un decadimento filosofico che ha un nome: il positivismo scientista o altrimenti detto il naturalismo obiettivistico. La più grande sfida della filosofia consiste nel superare questo atteggiamento ormai universalizzato.

Tiziano, "Ratto di Europa" (1560-1562)
Tiziano, "Ratto di Europa" (1560-1562)

 

La crisi dell’Occidente postmoderno ha cause specifiche e legate a dei fattori precisi. Mi soffermo sullo scientismo perché è intimamente collegato alla crisi etica che colpisce la nostra civiltà.

 

La crisi etica dell’Europa e dell’Occidente investe tutto il mondo. L’Occidente ha infatti divorato le culture altre riducendole, per effetto della globalizzazione, alla propria forma mentis.

 

La forma mentis è quella risultata vincitrice dalla fine delle cosiddette grandi narrazioni metafisiche. Tuttavia questa non ne è affatto indipendente e autonoma.

 

Più precisamente ci stiamo riferendo alla prospettiva scientista. Essa affonda le proprie radici in una parte della tradizione filosofica. La filosofia infatti non è qualcosa di etereo e lontano dalle nostre vite come viene affermato dai concretinisti (così si esprimeva Adorno). 

 

La filosofia vive e lotta insieme a noi, è presente in ogni decisione e guida le nostre vite. Nel momento in cui agiamo, lo facciamo sulla base di un nostro sistema di riferimento: ma di quale filosofia stiamo parlando quando pensiamo allo scientismo? 

 

Ci stiamo riferendo al positivismo, o più in senso lato ad un certo atteggiamento mentale molto diffuso presso le scienze naturali: il cosiddetto obiettivismo o naturalismo. L’obiettivismo ha radici filosofiche e viene confuso oggi con il razionalismo. 

 

Quest’ultimo, come argomenta Husserl, coincide con l’atteggiamento teoretico. Questo atteggiamento porta al continente europeo un nuovo fine: la scienza universale, una verità infinita da raggiungere, su base semplicemente razionale. Scrive Husserl:

 

« non si tratta soltanto di un nuovo contegno conoscitivo. In virtù dell’esigenza di sottoporre tutta l’empiria a norme ideali, alle norme della verità incondizionata, si delinea una profonda trasformazione dell’intera prassi dell’esistenza umana, e quindi di tutta la vita culturale. » (E. Husserl, La crisi dell’umanità europea e la filosofia, in La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale)

 

La filosofia opera insomma una vera rivoluzione. Essa plasma la vita dell’uomo portandolo ad interessarsi non solo di problemi immediatamente pratici, ma gli pone l’obiettivo di trovare una verità infinita e universale e sulla base di essa, anche valori infiniti e universali. 

 

È questa la radicale differenza tra razionalismo e obiettivismo. L’autentico razionalismo dà all’umanità dei compiti infiniti da realizzare: la ricerca della verità.

 

Husserl aveva intuito come l’obiettivismo fosse intimamente legato alla crisi europea, crisi che avvertiamo ancora più profonda oggi.

 

« Se qualcuno chiede quale sia la fonte di tutti i mali attuali, occorre rispondere: questo obiettivismo, questa concezione psicofisica del mondo, nonostante tutta la sua apparente ovvietà, è un’ingenua unilateralità che non è stata avvertita come tale. » (Ivi)

 

 

L’ingenuità dell’obiettivismo a cui allude Husserl sta nel mettere da parte e non considerare affatto che tutta la nostra scienza « dimentica completamente il mondo circostante intuitivo, questa sfera meramente soggettiva, dimentica anche il soggetto operante, non tematizza lo scienziato stesso » (ivi).

 

La scienza, in altre parole, dà per scontato che le proprie costruzioni siano la realtà obiettiva. Dimentica, a partire da Descartes, il posto del soggetto operante nella costruzione della scienza fisico-matematica. Lo scienziato che misura viene completamente eliminato

 

E ciò è avvenuto con la nascita della scienza classica: l’uomo è completamente tagliato fuori dalle descrizioni naturalistiche. Del resto Descartes aveva diviso radicalmente il soggetto dall’oggetto: emblematico il dualismo tra res cogitans e res extensa. La res extensa, oggetto della fisica, è rigidamente meccanica e questo meccanicismo costituirebbe la sua essenza.

 

Il naturalista non si rende conto che il fondamento del proprio operare è il mondo della vita esperito dalla soggettività. Essa non è indagabile da alcuna psicologia psicofisica perché sempre vittima dell’ingenuo obiettivismo.

 

La crisi postmoderna deriva in buona sostanza da una crisi del pensiero. Dal considerare come verità incontrovertibile ciò che produce la scienza moderna. Ma il postmoderno non si ferma a questo, esso va molto oltre: tutto ciò che non è scienza, nel senso fisico-matematico del termine, è ridotta a ciarlataneria o chiacchiera.

 

Il mondo postmoderno ha totalmente rinunciato a quella ricerca rigorosa della verità che ha costituito, come abbiamo visto, la nascita spirituale dell’Europa. Se non è possibile ricerca seria al di fuori dei confini empirici e fisico-matematici, ecco che diventa chiara la crisi etica.

 

L’etica diventa mero opinionismo. Tutto ciò ha conseguenze gravissime quando pensiamo ad esempio ai diritti umani. Oggi la serietà del diritto è confusa con il capriccio, la responsabilità democratica e il confronto dialettico è ridotto a slogan e a plebisciti demagogici e populisti. La profondità della spiritualità si degrada a narcotico per sfuggire alla realtà con fattucchiere e cartomanti.

 

Tiziano, "Baccanale degli Andrii" (1523-1526)
Tiziano, "Baccanale degli Andrii" (1523-1526)

 

Se l’etica è mero opinionismo, si arriva ad accettare conclusioni assurde. Per esempio si potrebbe affermare che la Shoah ha lo stesso valore morale del diritto alla vita. Se l’etica è soltanto una questione di opinioni personali la giustizia diventa una barzelletta. 

 

Non si tratta di una discussione accademica e astratta: l’etica investe la nostra esistenza concreta, la stessa sopravvivenza dell’uomo sulla Terra.

 

Per uscire da questo pantano è più che mai necessario riprendere a filosofare seriamente. La situazione in cui ci troviamo è infatti il frutto di un decadimento filosofico. È necessario non abbandonarsi all’irrazionalità, ma riprendere l’autentico razionalismo filosofico e fautore dell’Europa

 

Va cioè riletto il mondo in termini teoretici e non semplicemente empirici e ingenuamente obiettivistici. Ciò non significa contestare i risultati delle scienze particolari, ma vuole solo essere uno stimolo per rifondare l’autentico senso dell’Europa, dell’Occidente e quindi del mondo. Queste parole di Husserl ci interpellano oggi con maggior forza:

 

« la crisi dell’esistenza europea ha solo due sbocchi: il tramonto dell’Europa nell’estraniazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell’ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo spirito della filosofia, attraverso un eroismo della ragione capace di superare definitivamente il naturalismo. » (Ivi)

 

19 settembre 2020

 









  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica