Cos'è la geopolitica?

 

Cosa significa “geopolitica”? Dietro a questo termine, il cui uso è oggi molto diffuso, si nascondono aspetti molto complessi. In questo scritto si cercheranno di definire alcuni elementi fondamentali dell’articolata natura di questa disciplina, che, per via della sua ricchezza e ampiezza, sfugge a definizioni univoche, determinate, ultime.

 

“Geopolitica” è un termine utilizzato per la prima volta da uno scienziato politico alla fine dell’Ottocento, lo svedese Rudolf Kjéllen, per identificare una disciplina già più o meno praticata da alcuni anni: lo studio dei rapporti di forza tra Stati-Nazione posti in relazione con le loro determinazioni geografiche. Una materia che si proponeva di dar ragione della politica estera di un Paese tramite nozioni di tipo geografico: non solo le più fondamentali (clima, territorio, confini), ma anche, gradualmente, altre più complesse (spazio vitale, Heartland, etc.). La disciplina emerge in ambito tedesco, ed è subito legata al discorso nazionalistico avviato nella seconda metà del XIX secolo, per poi espandersi anche oltre i confini d’origine, diffondendosi in particolare negli Stati Uniti.

 

Dal momento in cui è stata identificata con un vocabolo specifico, la “geopolitica” ha subìto molti tentativi di definizione e determinazione. Questo a dimostrazione della complessità della disciplina, la cui natura non è mai completamente chiarita; si tratta di un tentativo di studiare gli eventi che interessano lo scenario internazionale con sguardo geografico, storico, filosofico, politico, sociale, demografico, psicologico. La geopolitica, insomma, si propone di porsi all’intersezione di più ambiti, allo scopo di spiegare il comportamento di alcuni attori che si muovono sullo scacchiere internazionale (Stati, organizzazioni transnazionali, aziende multinazionali, etc.), con l’ambizione di disegnare possibili scenari futuri.

 

Come fare ciò? È chiaramente compito estremamente complesso. Va infatti annullata, almeno in parte, la pretesa di semplificazione scientifica. Come proposto tramite alcune definizioni, ad esempio quelle di longue durée o di “struttura storica”, per comprendere gli eventi geopolitici è necessario prendere in considerazione una molteplicità di forze che si muovono in maniera caotica, e che hanno inerzia propria, per via della loro genesi storica (che comporta sia continuità sia discontinuità). Queste forze sono gli interessi, o volontà, delle entità in gioco; il corso degli eventi non può che risultare dall’incontro-scontro, dalla composizione caotica di tutte queste spinte, alcune più pesanti, altre più minute. Questo significa, va ribadito, che non vi è spiegazione facile: non c’è una singola volontà, una singola potenza, una singola entità in grado di determinare unilateralmente il corso della storia; anche la forza maggiore, nel suo dispiegarsi, dovrà scontrarsi con gli interessi di altre entità, ottenendo un risultato eccentrico rispetto a quello inizialmente perseguito. La geopolitica deve quindi assumere una prospettiva contestuale e relazionale: porre dinamicamente in connessione eventi e soggetti apparentemente distanti tra loro, ma in realtà prossimi e interconnessi. Ancora più nello scenario attuale, che è globalizzato, ovvero integrato: un mondo connesso, in relazione costante, in cui comunicazione e informazione sono istantanee e diffuse, in continuo moto (come dettano i meccanismi del capitalismo) tramite flussi di dati, merci, capitali, persone.

 

 

La geopolitica, perciò, si prefigura come il tentativo di spiegare la realtà globale partendo dall’analisi degli interessi – e dei loro portatori – in gioco. Questo, nella cosiddetta “geopolitica classica”, era obiettivo che si tentava di svolgere con concetti quali quelli di: Stato, territorio, potenza militare. Ad oggi, pur senza disconoscere l’importanza di questi elementi, bisogna ricontestualizzarli (“risemantizzarli”) alla luce dei loro mutamenti. Le stesse parole non significano più la stessa cosa. Gli stessi oggetti non hanno più lo stesso peso. Gli Stati-nazionali sono variati nella loro centralità, i loro compiti sono cambiati, di fianco a – o sopra di – loro sono emersi organismi (politici ed economici) molto vasti; la spazialità non è più eminentemente declinata in controllo territoriale, quanto più – ad esempio – in accesso a mercati e risorse in un contesto globale integrato; la potenza militare (o hard power) non è più il metro principale – sebbene condizione necessaria – con cui viene inquadrata l’azione degli Stati nello scenario internazionale (va infatti ridefinita la sua relazione, forse addirittura rivoltata, con il soft power).

 

Quindi, seppure con metodi almeno parzialmente mutati, e avendo abbandonando certi presupposti e teorie (scientismo, pretesa di oggettività assoluta, determinismo), la geopolitica ha ancora lo scopo di offrire “una migliore comprensione della politica in generale e della politica internazionale in particolare” (funzione descrittiva), fornendo anche possibili “coordinate per l’azione” (funzione predittiva e prescrittiva).

In merito a quest’ultimo aspetto, ovvero quello di essere disciplina dai risvolti pratici e non solo teorici – cioè di voler offrire istruzioni per l’azione in contesti internazionali –, va sottolineato uno degli aspetti più problematici spesso imputati alla geopolitica: quello di essere “cinica” scienza del potere, e addirittura, storicamente, fonte teoretica dei progetti di espansione nazista. Quest’immagine risale ai primi anni del dopoguerra, ed è il risultato delle rappresentazioni fornite da alcuni intellettuali tedeschi emigrati in America. Va però notato che, sebbene alcuni studiosi di geopolitica fossero certamente attratti dalla visione di una Grande Germania come cuore di un impero globale, accusare la disciplina di essere scienza a servizio del nazismo è forse eccessivo (sarebbe, come notato da alcuni autori, come denunciare la biologia in quanto tale per certi studi svolti da scienziati nazisti).

 

 

E furono proprio queste accuse, in realtà, a determinare l’oblio della materia per molti anni, almeno fino alla fine del secolo XX, quando ha poi subito un revival. Questo è però avvenuto non sotto forma di diretta ripresa degli autori classici, ma in veste di una geopolitica “moderna”, a tratti anche “critica”. Quest’ultima è quell’indirizzo particolare che cerca di rivolgere l’attenzione dello studioso sulla geopolitica stessa (un’operazione meta-disciplinare), provando a interrogare i presupposti, gli assunti, il lessico, le narrazioni e gli scopi della geopolitica. Un contributo senz’altro importante, ma che rischia però di far perdere quella significativa vocazione che è il protendersi della disciplina verso la realtà, con l’obiettivo di darne spiegazione. Questo esporsi al reale non può che influenzare la disciplina stessa e, soprattutto, chi la studia: come meritevolmente sottolineato dagli indirizzi critici e femministi, le operazioni conoscitive, le pratiche di sapere, sono sempre localizzate individualmente, spazialmente e socialmente. È dunque importante, per chi studia geopolitica, tentare di mantenere aperto anche questo indirizzo critico, ovvero di percorrere sempre due strade: quella che porta – tendenzialmente e idealmente – alla comprensione della realtà, e quella, parallela, che si affaccia sulla prima strada e tramite cui lo studioso può osservare sé stesso. Insomma – e qui forse risiede quanto di più filosofico si possa trovare nella disciplina – un tentativo di non perdere mai di vista i propri presupposti, i propri pregiudizi, il punto di partenza, cosa vi sta dietro, e lo stare-nel-mondo del soggetto che conosce. Con una sintesi più generale, si potrebbe dire che la geopolitica si occupa anche di narrazione, ovvero di ideologia: gli interessi politici non sono mai manifesti in quanto tali. Ogni attore geopolitico, per rendere più efficace la propria azione, nasconde dietro ad una narrazione, o ideologia, i suoi interessi reali; così, l’affermazione del potere di uno Stato tramite un conflitto armato può essere presentato come guerra per la libertà, per la democrazia, contro l’oppressione. Ma la geopolitica non deve limitarsi a identificare gli interessi reali celati da maschere ideologiche; essa deve anche analizzare approfonditamente tali maschere, cioè la narrazione che ogni agente fa di sé: non è importante soltanto la storia, ma anche la sua rappresentazione. In altre parole, l’identità. E questa è sempre parziale, interpretata, strumentalizzata. Lo studio della geopolitica non è quindi soltanto determinazione di una storia reale (gli eventi e le loro cause), ma è anche tentativo di capire che tipo di narrazione o rappresentazione della storia influenzi l’identità del soggetto studiato. Perché è quest’ultima, non la prima, a contribuire in larga parte all’azione dei soggetti. È centrale non solo quanto realmente accaduto, ma anche quello che i soggetti credono sia accaduto e come questa interpretazione plasmi la loro identità e, di conseguenza, il loro agire. Quindi ecco che si delineano meglio le facce della geopolitica: indagine storica, ma anche indagine narrativa. E, non va dimenticato, l’indagine psicologica: altrettanto importanti quanto gli interessi consapevoli di un agente sono quelli inconsapevoli o incoscienti, ovvero i disagi, le angosce, le paure che si muovono surrettiziamente nella popolazione, e che trovano sempre espressioni distorcenti del tessuto politico. Quindi, in uno slogan: azione e narrazione.

 

Per approfondire

 

C. Jean, Geopolitica del XXI secolo, Laterza, Bari, 2004 

C. Jean, Geopolitica del mondo contemporaneo, Laterza, Bari, 2021

M. Graziano, Geopolitica. Orientarsi nel grande disordine internazionale, Il Mulino, Bologna, 2009

C. Flint, Introduction to Geopolitics, Routledge, NY, 2017

K. Dodds, Geopolitics. A Very Short Introduction, Oxford University Press, Oxford, 2007

 

11 giugno 2021

 







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