Il G7 legalizza il diritto di frode

 

Il G7 prevede un'aliquota minima d'imposta del 15% sui profitti offshore delle multinazionali. Bisogna essere chiari: si tratta né più né meno di formalizzare un vero e proprio permesso di frodo per gli attori più potenti.  

 

di Thomas Piketty

 

 

I ministri del G7 hanno annunciato lo scorso fine settimana la loro intenzione di applicare un'aliquota minima di imposta del 15% sui profitti offshore delle multinazionali. Siamo chiari: se ci fermiamo qui, si tratta né più né meno di formalizzare un vero e proprio permesso di frodo per gli attori più potenti. Per le piccole e medie imprese, come per le classi popolari e medie, è impossibile creare una filiale per delocalizzare i propri profitti o i propri redditi in un paradiso fiscale. Per tutti questi contribuenti non vi è altra scelta che pagare l'imposta di diritto comune. Se si sommano l'imposta sul reddito e i profitti e i prelievi sociali, sia i lavoratori dipendenti che i lavoratori autonomi di piccole e medie dimensioni si ritrovano a pagare in tutti i paesi del G7 aliquote nettamente superiori al 15%: almeno il 20-30%, e spesso il 40-50%, se non di più.

 

L'annuncio del G7 cade tanto peggio in quanto il sito ProPublica ha appena pubblicato un'ampia indagine che conferma ciò che i ricercatori avevano già dimostrato: i miliardari statunitensi non pagano quasi nessuna imposta sul reddito rispetto all'entità del loro arricchimento e a quanto paga il resto della popolazione. In pratica, l'imposta sui profitti è spesso l'imposta finale pagata dai più ricchi (quando pagano). I profitti si accumulano in imprese o strutture ad hoc (trust, holding, ecc.), che finanziano la maggior parte dello stile di vita delle persone in questione (jet privati, carte bancarie, ecc.), quasi senza alcun controllo. Prendendo atto del fatto che le multinazionali potranno continuare a localizzare a piacere i loro profitti nei paradisi fiscali, con un'aliquota del 15% come unica imposizione fiscale, il G7 ufficializza l'ingresso in un mondo in cui gli oligarchi pagano strutturalmente meno tasse del resto della popolazione.

 

Come uscire da questa impasse? Innanzitutto fissando un'aliquota minima superiore al 15%, cosa che ogni Paese può fare fin d'ora. Come ha dimostrato l'Osservatorio europeo sulla fiscalità, la Francia potrebbe applicare un'aliquota minima del 25% sulle multinazionali, il che le frutterebbe 26 miliardi di euro all'anno, ossia l'equivalente di quasi il 10% delle spese sanitarie. Con un tasso del 15% – appena superiore a quello applicato in Irlanda (12,5%), che rende la misura inoffensiva – le entrate sarebbero di appena 4 miliardi. Una parte dei 26 miliardi potrebbe essere utilizzata per finanziare meglio gli ospedali, le scuole, la transizione energetica; un'altra per alleggerire la fiscalità sui lavoratori autonomi e meno prosperi. Ciò che è certo è che è illusorio aspettare l'unanimità europea su una tale decisione. Solo un'azione unilaterale, idealmente con il sostegno di alcuni Paesi, può permettere di sbloccare la situazione. L'Irlanda o il Lussemburgo probabilmente sporgeranno denuncia alla Corte di giustizia delle Comunità europee, sostenendo che i princìpi della libera circolazione assoluta dei capitali (senza alcuna contropartita fiscale, sociale o ambientale) definiti 30 anni fa non prevedono tale azione. È difficile dire come la Corte di giustizia europea deciderà, ma se sarà necessario, queste regole dovranno essere denunciate e riscritte.

 

Infine, e soprattutto, questa discussione deve finalmente aprirsi ai Paesi del Sud. Il meccanismo previsto dal G7, secondo il quale ogni Paese è incaricato di far pagare un'imposta minima alle proprie multinazionali, è accettabile solo se si tratta di un acconto che si iscrive in un sistema più ampio di ripartizione delle entrate. Il G7 suggerisce la possibilità che una parte dei profitti che superano una certa soglia di redditività (oltre il 10% all'anno del capitale investito) sia ripartita in funzione delle vendite nei vari Paesi. Ma questo sistema riguarderà solo somme esigue e si ridurrà essenzialmente ad una ridistribuzione tra Paesi del Nord. Se questi ultimi vogliono veramente raccogliere la sfida cinese, migliorare la loro immagine degradata e soprattutto dare una possibilità al Sud di svilupparsi e di costruire Stati vitali, è urgente che i Paesi poveri dispongano di una parte significativa delle entrate delle multinazionali e dei miliardari del pianeta.  

 

19 giugno 2021

 









  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica