La critica di Schelling a Hegel

 

Quando prendiamo in esame la critica di Schelling, dobbiamo tenere a mente i punti di contatto tra i due filosofi, ma allo stesso tempo bisogna evidenziare le differenze tra le due diverse concezioni filosofiche. La critica di Schelling a Hegel è possibile solo nel momento in cui i due filosofi condividono gli stessi problemi.

 

Paul Cézanne, "Lago di Annecy" (1896)
Paul Cézanne, "Lago di Annecy" (1896)

 

La critica di Schelling a Hegel ha come presupposto un terreno comune di confronto.  Il parallelo tra i due filosofi deve cominciare con l’affermazione di questo punto di partenza comune. La base che i due pensatori condividono consiste nel «loro appartenere alla medesima epoca, al medesimo tempo filosofico e alla stessa area culturale» (G. Semerari, La critica di Schelling a Hegel). Entrando più nello specifico, Schelling e Hegel condividono lo stesso problema filosofico: costituire la scienza come sistema.

 

Il problema della «scientificizzazione della filosofia» (Ibidem) si esplicita nella necessità di sviluppare la scienza come sistema, dove il termine sistema evidenzia il superamento della dicotomia parte-tutto. In altre parole, Fichte, Schelling e Hegel vogliono superare la visione della scienza come aggregato di conoscenze particolari. La scienza, se vuole essere effettivamente tale, deve superare la dualità parte-totalità. «Il problema della filosofia dopo Kant è di elaborare le strutture per le quali la scienza possa costituirsi come scienza e la sua totalità non risulti dalla aggiunzione di singole parti ma sia, piuttosto, il principio onde le parti si riconoscono come parti ed entrano organicamente nel tutto» (Ivi). La scienza deve superare l’astratta parcellizzazione delle singole conoscenze, deve mostrare la connessione tra parte e totalità. Nell’introduzione all’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Hegel esprime in questo modo il problema della scienza come sistema: «La Filosofia come Scienza unitaria e come totalità di scienze particolari. — Non è possibile determinare quante parti specifiche occorrano per costituire una scienza particolare; e questo perché la parte, per essere vera, dev’essere non soltanto un momento isolato, ma essa stessa una totalità»

 

Lo scopo della filosofia è quello di superare la singolarità delle scienze particolari. Schelling, nella prima lezione della Filosofia della rivelazione stabilisce il compito della filosofia: deve dare un fondamento al sapere dell’uomo. Le altre scienze si basano su presupposti non dimostrati, la filosofia deve fornire delle sicurezze che eliminino la vanità dell’agire umano. Secondo Schelling le scienze particolari non possono rispondere alla domanda fondamentale dell’uomo: «Perché in generale c’è qualcosa? Perché non è il nulla?». Le scienze si basano su presupposti non giustificati, per questo non possono adempiere al compito della filosofia; nelle scienze particolari le domande fondamentali rimangono senza risposta. La filosofia deve risollevare l’essere umano dalla disperazione della domanda fondamentale. 

 

«E quale altra scienza, se non la filosofia, dovrebbe essere capace di dare tale risposta? Poiché tutte le altre scienze note tra gli uomini, da loro coltivate o inventate, hanno ciascuna il loro compito determinato, e nessuna risponde a questa suprema e più universale domanda. E così non ci sarebbe su ciò nessun dubbio: la filosofia è la scienza in sé ed in ogni tempo più degna di interesse, poiché attraverso di essa ogni altro sapere raggiunge la sua più alta sistemazione e la sua più alta consistenza» (Ibidem).

 

La filosofia deve dare il fondamento che le scienze particolari non riescono a fornire. La filosofia è l’unica disciplina che può rispondere alla domanda fondamentale perché è l’unica scienza che non si basa su presupposti. «La Filosofia non ha il vantaggio di cui godono le altre scienze e che consiste nel poter presupporre (1) come immediatamente dati dalla rappresentazione i propri oggetti, e (2) come già assunto il metodo della sua conoscenza nel suo inizio e processo ulteriore» (G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio). Allo stesso modo Schelling ribadisce l'importanza della filosofia come l'unica disciplina che può aprirci la strada alla comprensione del mondo.

 

In questa prima parte ho cercato di esplicitare il terreno comune in cui Schelling e Hegel si confrontano, ora cercherò di mostrare, seppur incompletamente, la critica del primo nei confronti del secondo. Quando prendiamo in esame la critica di Schelling, dobbiamo tenere a mente i punti di contatto tra i due filosofi, ma allo stesso tempo bisogna evidenziare le differenze tra le due diverse concezioni filosofiche. La critica di Schelling a Hegel è possibile solo nel momento in cui i due filosofi condividono gli stessi problemi. In particolare, il problema in cui si esplicita questa vicinanza-lontananza è la questione dell’auto-compimento del pensiero. «Hegel e Schelling potevano essere avversari personali solo perché, per essi, si trattava di una comune questione, del problema del pensiero che si compie in sé stesso» (G. Semerari, La critica di Schelling a Hegel). Come spiega Semerari , uno dei modi in cui si può vedere il confronto tra i due è nel modo seguente: Hegel afferma l’autosufficienza del pensiero, mentre Schelling sostiene la dimensione dell’esistenza come ulteriore rispetto al pensiero. Per Schelling il pensiero non è mosso da una necessità intrinseca, ma ha bisogno di un atto per muoversi. «La denunzia di quella che Schelling chiama la ‘doppia illusione’: la illusione che il concetto possa prendere il posto del pensiero attivo e possa, così, muoversi da sé […] e la illusione che il pensiero sia mosso da una necessità ad esso intrinseca». Questa doppia illusione nasconde, secondo Schelling, la contraddittorietà del procedimento di Hegel. Il filosofo di Stoccarda antepone le forme logiche astratte alla natura, mentre Schelling «pensa che i concetti seguano la natura».

 

Andrew Wyeth, "Trasporto" (2003)
Andrew Wyeth, "Trasporto" (2003)

 

L’inizio della filosofia hegeliana è il concetto, Schelling invece ha come proprio punto di partenza la natura. Il concetto ha nei due pensatori un ruolo diverso: per Hegel il concetto si muove da sé, ha «una forza vitale di movimento»; per Schelling il concetto è il luogo in cui si risolvono le criticità che si trovano nella natura. Come scrive Semerari, la distanza tra Hegel e Schelling si esplicita nel rapporto tra il concetto e la natura, Schelling accusa Hegel di aver rovesciato il rapporto tra i due termini. «I concetti in quanto tali in realtà non esistono altrove che nella coscienza; essi, in senso oggettivo, esistono quindi dopo la natura. Non già prima di essa» (F. Schelling, Lezioni Monachesi). Schelling ribadisce l’importanza di basare i concetti sulle cose della natura, il pensiero non è autosufficiente, ha bisogno di misurarsi con la concretezza del reale. Il modello concettuale non può anticipare la natura, ma deve rifarsi alla forza vitale della realtà concreta.

 

Nella concezione filosofica di Hegel il passaggio da concetto a natura non è possibile: se il concetto basta a se stesso, il passaggio nella realtà non è giustificato. Per Schelling l’inversione del rapporto causa l’impossibilità di spiegare la natura. Se il concetto è auto-sufficiente allora non ha bisogno di uscire da se stesso. «Il punto di vista di Schelling è che, una volta compiutasi la dialettica del concetto con la costituzione della Idea, non si comprende come dalla Idea debba nascere la natura» (G. Semerari, La critica di Schelling a Hegel). Hegel non riesce a superare il dualismo concetto-natura.

 

Un altro punto in cui si esplicita il contrasto tra i due filosofi è la posizione dell’Assoluto. Hegel considera l’Assoluto come risultato, «l’Assoluto compare alla fine, quando tutte le mediazioni del processo si sono concluse e si è realizzata l’autocoscienza sostanziale» (Ivi). Per Schelling, se l’Assoluto è posto come risultato allora non si può più parlare di libertà. Quando Dio è posto come risultato tutte le azioni dell’uomo diventano necessarie, ogni singolo atto è in vista della causa finale. Secondo Schelling la libertà può essere preservata solo nel momento in cui Dio è posto come inizio. «[Schelling] vuole spezzare il cerchio della necessità, riscattando l’uomo a libertà e ponendo all’origine del mondo e della storia umana la libera decisione di un atto creatore». La creazione libera di Dio dà la libertà all’uomo, le azioni umane non sono più in vista della causa finale, non sono più necessitate dall’Assoluto come risultato.

 

Schelling accusa Hegel di aver creato una filosofia negativa che va oltre i propri limiti. La filosofia negativa deve restare entro i propri limiti, non può provare l’esistenza di Dio. La filosofia negativa non può andare oltre rispetto al ritrovamento dell’infinita potenza d’essere, del prius. Solo la filosofia positiva può occuparsi del reale a cui rimanda il prius. La filosofia di Hegel, secondo Schelling, fraintende la distinzione tra questi due compiti. La mancata distinzione delle due filosofie non permette a Hegel di raggiungere l’ente vero. La filosofia di Hegel si ferma al concetto negativo dell’ente vero, il concetto si ferma prima dell’esistenza. La ragione ha soltanto un concetto negativo di ente vero. «La ragione, se pure ha come sua ultima meta e aspirazione soltanto l’ente, ciò che è, non può determinarlo altrimenti, non ha altro concetto per esso che quello del non non ente, del non trascorrente in altro, cioè un concetto negativo» (F. Schelling, Filosofia della rivelazione). Non si può accedere all’ente vero attraverso la ragione, non può andare oltre il negativo.

 

Nella filosofia negativa, e dunque anche in Hegel, il concetto di Dio diventa un concetto slegato dal reale. Hegel, secondo Schelling, rimane confinato esclusivamente nel concetto, Dio non viene dimostrato come esistente, ma rimane un «mero concetto logico» (Ivi). Come scrive Schelling nella quinta lezione della Filosofia della rivelazione, la ragione può arrivare all’esistente solo indagando ciò che è possibile a priori. La ragione non riesce ad arrivare all’esistente in quanto esistente, ma arriva all’esistente perché la sua esistenza è possibile. Allo stesso modo il concetto di Dio, in Hegel, era la possibilità dell’esistenza di Dio, non era la prova dell’esistenza dell’Assoluto.

 

 30 giugno 2021

 








  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica