La situazione odierna della lotta di classe nell’ottica di Alessandro Barbero e Karl Marx

 

A distanza di più di due secoli dalla nascita di Karl Marx e di 130 anni da quella di Antonio Gramsci, la lotta di classe, da gran tempo a questa parte, pare aver mutato forma, rigettando il suo assetto tradizionale nell'oblio storico dell'opinione pubblica fino a quasi scomparire dalla scena. La sua essenza fondamentale, però, nelle condizioni odierne di disparità, sopravvive e caratterizza i principali movimenti di protesta in Italia e nel mondo.  

 

di Ion Rusu

 

Gustave Courbet, "Gli spaccapietre" (1849)
Gustave Courbet, "Gli spaccapietre" (1849)

 

« Ormai lo sanno tutti e lo dicono tutti: i sociologi, gli economisti, gli storici. Noi viviamo in un’epoca in cui la lotta di classe è finita, perché c’è stata e l’hanno vinta i ricchi. La lotta di classe è finita: attualmente tutto il funzionamento dei paesi occidentali tende ad ottimizzare i profitti degli imprenditori e a limare il più possibile le garanzie sociali e la redistribuzione. Questa è una cosa perfettamente evidente e dà talmente l'idea di una valanga storica inevitabile che anche partiti che magari si credono sinceramente di sinistra, che hanno una solida tradizione, sono però indifesi di fronte a questo: seguono questa corrente. » 

 

Queste parole, pronunciate dallo storico Alessandro Barbero, nell'ambito di una conferenza dal titolo Che ne sarà della nostra democrazia? tenuta il 12 dicembre 2019 a Correggio, sono senza dubbio cariche di un giudizio estremamente severo nei riguardi del nostro attuale periodo storico, caratterizzato dalla mancanza di una degna opposizione ai meccanismi produttivi del sistema capitalistico e impregnato di un tacito consenso politico agli squilibri sociali ed economici che esso partorisce. Prova recente della mancanza di una "sinistra" compatta al parlamento è, per esempio, la bocciatura della patrimoniale anti-Covid dalla legge di bilancio, volta a sanare, seppur in ristretta misura, le casse dello Stato mediante una tassa sui redditi più alti. 

 

Aldilà della questione "rappresentanza parlamentare", ciò che più ha colpito dell'analisi del docente torinese è l'affermazione riguardante la lotta di classe nello stato attuale dei tempi. 

Essa ha davvero avuto termine? Se sì, l’hanno vinta i ricchi? Ci troviamo realmente in un'epoca in cui la soddisfazione generale è il prodotto del sistema economico-statale vigente? E soprattutto, questa soddisfazione esiste veramente o è una semplice illusione? 

Prima però di rispondere a tali domande è bene riprendere la definizione che dà della lotta di classe uno dei suoi maggiori teorici, Karl Marx, nel primo capitolo del Manifesto del Partito Comunista:

 

« La storia di ogni società sinora esistita è la storia delle lotte di classe. 

Libero e schiavo, patrizio e plebeo, barone e servo della gleba, mastro artigiano e garzone, in breve oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte latente a volte aperta; una lotta che è sempre finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta. »

 

L’impressione che il filosofo tedesco trae dagli eventi della storia non può certamente passarci oggi inosservata. La prospettiva dello scorrere delle epoche è dettata dall’alternarsi di cicli di conflitti tra classi sociali la cui discriminante verte sul desiderio d’eguaglianza, di libertà e di benessere da una parte e di mantenimento dell’ordine vigente dall’altra. Analizzando brevemente la lettura storica che se ne ricava, risulta così che le fazioni dominanti si facciano interpreti di un’ideologia conservatrice volta ad affermare ulteriormente la propria superiorità politica, economica e giuridica, mentre le classi dominate adottino un atteggiamento rivoluzionario – antitetico, dunque, al sistema che crea e alimenta la propria subalternità, nonché all’intera società formatasi. Il contrasto tra oppressi e oppressori sembra però oggi latente, quasi svanito; eppure, le disuguaglianze, economiche e non, causa scatenante dei principali mutamenti degli ordini costituiti nel corso della storia, sono tutt’altro che abolite: ad esempio, in Italia – riporta «Il Sole 24 Ore» citando una ricerca pubblicata nel 2019 dal World Inequality Database – dal 1980 al 2016 il 10% più ricco (5 milioni di adulti) e il 50% più povero (25 milioni) della popolazione ha invertito il proprio trend riguardante la percentuale di reddito nazionale detenuta: crescente il primo e decrescente il secondo, rispettivamente con circa il 30% e il 24%. Per quanto riguarda la povertà assoluta – ossia il numero di persone che non riescono a nutrirsi in modo adeguato, a scaldarsi durante la stagione invernale ed avere problemi nell’acquistare vestiti – i dati Istat indicano che dal 2008 (anno della crisi economica) al 2018 essa è raddoppiata passando da 2,5 a 5 milioni di individui, numeri certamente destinati a crescere vista l’incidenza della pandemia da Covid-19. È notizia recente, difatti, che una persona su due tra quelle che si rivolgono alla Caritas, lo fa per la prima volta. Anche la disuguaglianza di genere, sebbene in miglioramento, resta comunque un problema per il Bel Paese: basti pensare che il tasso occupazionale per le donne è solamente del 50,1 % a fronte del 70% per gli uomini, avendo esse un reddito del 59,5% rispetto a questi ultimi. Oltre a ciò, l’Italia deve anche fare i conti con altri tipi di diseguaglianza come quella generazionale, ambientale, sanitaria, nell’accesso all’istruzione e al welfare, ecc.

 

Honoré Daumier, "Il vagone di terza classe" (1862- 1865)
Honoré Daumier, "Il vagone di terza classe" (1862- 1865)

 

Nonostante i dati riportati, la sensazione predominante, anche alla luce dell’attuale rappresentanza politica, specchio della volontà generale intrisa nella società, è la stessa che Barbero evidenzia nella sua analisi: «anche partiti che magari si credono sinceramente di sinistra, che hanno una solida tradizione, sono però indifesi di fronte a questo: seguono questa corrente». L’impressione è dunque che oggigiorno sia difficoltoso parlare di classi sociali, e dunque di lotta di classe, tradizionalmente intesi, giacché, come detto, la maggior parte della popolazione risulta conservatrice sul piano politico – ossia non “appoggia” altri sistemi se non quello capitalistico. Ne scaturisce perciò che anche chi non vive grazie ad investimenti di capitale acconsenta, implicitamente e/o esplicitamente, al «funzionamento dei Paesi occidentali  per usare le parole di Barbero  che tende ad ottimizzare i profitti degli imprenditori e a limare il più possibile le garanzie sociali e la redistribuzione». Ma come può questa contraddizione avere dunque luogo?

 

È difficile rispondere a tale domanda; un’ipotesi che si può fare è quella di una mancata conoscenza generale degli squilibri e delle disuguaglianze a cui il sistema capitalistico va incontro e che, con l’acutizzarsi di questi, possa risvegliare lo spirito dormiente di una sinistra ormai complice; un’altra (ma complementare alla prima) è che, invece, le persone siano corrotte materialmente dalle loro proprietà, illusione di un benessere che le porta a non rischiare: non per altro Marx ed Engels individuarono nel proletariato la classe rivoluzionaria per eccellenza poiché essa, non godendo di alcun capitale se non di quello umano della prole, è minormente influenzabile dai propri beni. Un’altra spiegazione all’accettazione da parte delle persone meno abbienti del sistema così costituito potrebbe essere quella offerta dalla psicologa ed accademica Chiara Volpato nel suo libro Le radici psicologiche della disuguaglianza

 

« Le strategie che i membri dei gruppi dominati impiegano per molto di fronte alla loro difficile situazione sono molteplici e possono essere disposti lungo un continuum che va dall’accettazione passiva alla ribellione aperta. L’accettazione passiva presuppone l’interiorizzazione delle definizioni sociali messe a punto dai gruppi egemoni, vale a dire l’interiorizzazione dell’esito favorevole del confronto sociale e l’uso di attribuzioni di tipo interno, che danno agli attori sociali la responsabilità della loro condizione e del loro status. Come sappiamo, più si attribuisce lo svantaggio a fattori interni, più si percepisce come legittimo il risultato. La tendenza a privilegiare le attribuzioni del tipo interno e sopravvalutare le possibilità di controllo sulla propria vita contribuiscono all’accettazione delle ingiustizie e allo sfruttamento degli svantaggiati. » 

 

Ritornando ora all’interpretazione della storia delle società data da Marx, c’è da aggiungere che la lotta di classe non si presenta esclusivamente come mero conflitto tra classi sociali ma anche, adottando il punto di vista degli oppressi, contro l’ordine che li mantiene tali. È l’esempio dello stato borghese ai tempi della stesura del Manifesto oppure quello della monarchia dell’Ancien Régime durante la Rivoluzione francese.

Chi lotta contro una determinata classe dominante, lotta anche contro il sistema che permette la sua subordinazione. 

 

Alla luce di ciò, risulta chiaro quindi che anche il nostro periodo storico è caratterizzato dallo stesso antagonismo oppressi-oppressori che Marx individua nella storia delle società. Il riferimento è ovviamente a tutte quelle grandi manifestazioni di protesta che hanno permeato gli anni a noi più recenti come Femen, Black Lives Matter oppure Fridays For Future: un’organizzazione ambientalista apertamente in contrasto con i sistemi di produzione capitalistici, incuranti del peggioramento delle condizioni climatiche mondiali.

 

Per concludere, dunque, la dicotomia borghesia-proletariato tradizionalmente presa come esempio della lotta di classe sembra oggi affievolirsi in quella che è un’omologazione politica dominante della società: restando le disuguaglianze economiche, i ricchi, come sostiene Barbero, nello stato attuale sono i vincitori della lotta di classe. Tuttavia i meccanismi storici, individuati da Marx, che ne stanno alla base, in particolare il contrasto verso il sistema creato che permette l’antagonismo oppressi-oppressori e gli conferisce legittimità, sopravvivono tutt’oggi dividendo gran parte dell’opinione pubblica. 

 

27 marzo 2021

 









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