Il Marx di Preve

 

Un approfondimento della lettura previana di Marx e del marxismo.

 

 

Costanzo Preve (1943-2013) si inserisce nella tradizione filosofica marxista che, dal declino del socialismo reale alla sua scomparsa, prova a restituire un’analisi critica di Marx e dei progetti socialisti che il Novecento ha tentato di imporre contro la barbarie del capitale. Un’analisi critica che vorrebbe, come molti altri, trovare una via alternativa agli esperimenti socialisti esistiti e, contemporaneamente, ai “pescicani oligarchici” che dominano oggigiorno. Se, pertanto, non accoglie così positivamente i primi vagiti (quelli novecenteschi) della futura società socialista che, se vogliamo giustizia, per forza dobbiamo provare a realizzare, quantomeno ne riconosce il coraggio e la volontà di sfida al tremendo status quo: «nel Novecento si è almeno tentato di limitare l’arbitrio incontrollato dell’economia liberale assolutizzata con l’intervento della politica organizzata», anche se «tutto questo non interessa ai demonizzatori» che arrivano persino alla comparazione fra fascismo e comunismo. Operazione che, seppur non sempre in malafede da chi la fa sua pappagallescamente, si rivela utilissima ad ad assolvere tutta la barbarie del cosiddetto mondo liberale. Un mondo che non solo ha le sue immense macchie storiche, ma che ancor oggi contribuisce a devastare il pianeta, soggiogare popolazioni inermi, sfruttare i lavoratori e che permette l’arricchimento di una sparuta minoranza mediante la ricchezza prodotta dai molti. Così, 

 

« Un secolo demonizzato non può […] essere più storicizzato, e quindi neppure più conosciuto. » 

 

Pertanto, invece della condanna acritica che di fatto non conosce né il fascismo né il comunismo di cui propone l’equiparazione ma è anzi preda della squallida narrazione liberale e neoliberale, è auspicabile un ritorno all’analisi del passato e del possibile futuro.

Il libello edito da Novaeuropa edizioni, Karl Marx. Un’interpretazione, è un compendio del pensiero previano scritto dall’autore stesso, «un percorso  spiega  che mi ha allontanato sia dal campo dei marxisti ortodossi che dal campo degli antimarxisti di ogni tipo». In questo pamphlet egli prova a rispondere a queste domande, ripercorrendo quelli che, a suo avviso, sono i punti cardine del pensiero del filosofo-politico di Treviri e quelle che sono le deviazioni del marxismo successivo, non dimenticando di avventurarsi in una brevissima disamina - sia pur più uno “spunto” che una trattazione vera e propria - delle ragioni per cui il socialismo reale sia crollato. Una soluzione definitiva e strutturata egli non la sa restituire, ma senz’altro capisce che l’unica speranza di opporsi alla rapacità del capitalismo e alla sofferenza che esso costantemente genera è quella di «esaminare tutti coloro che gli resistono» per riuscire finalmente a «“riaprire” l’arco delle possibilità storiche». Questo processo non può avverarsi se le uniche opzioni rimangono il giustificazionismo, «che ha indubbiamente ragioni serie» ma che si limita a un approccio poco approfondito dei problemi del sistema sovietico e, dall’altro lato, la demonizzazione sopra descritta. Entrambe portano al risultato uguale e contrario: non far avanzare di un passo la possibilità di realizzazione di un sistema sociale diverso dall’odierno. In questo contesto, l’Accademia è ancor più fuori dal mondo:

 

 

« Il sistema universitario boccerebbe senza appello un Antonio Gramsci che si presentasse con la sua Opera omnia, che in quanto tale non gli garantirebbe neppure un posto da ricercatore confermato all’università della Ciociara di Frosinone, laddove ottime carriere potrebbero essere fatte sulla base di commenti sul concetto di postmoderno in Leibniz nei quaderni inediti del suo periodo giapponese. » 

Eppure noi non siamo le “anime belle” di hegeliana memoria, ossia coloro che in nome di una pretesa superiorità si distaccano dalla società, schifandola, e non contribuendo, a loro volta, al suo progresso. Proprio per questo quel che ci spetta è un confronto più che serrato con le diverse teorie, da una ripresa critica di Marx alla critica dei critici del marxismo, e con la storia che ci appartiene: quella degli sfruttati che hanno provato a emanciparsi in nome di quell’universalità che spetta alla “categoria” del proletario. Universale perché unica «classe non interessata a “sostituire” i propri privilegi a quelli di classi precedenti», ma volta all’emancipazione del genere umano in quanto tale. 

 

L’originale interpretazione di Marx risiede nella filiazione ideale che Preve traccia fra Aristotele e Marx prima, e fra Hegel e Marx poi. Marx, allievo di entrambi, non è né quel pensatore interpretabile sulla scorta della I Internazionale, quando i socialisti caldeggiavano una scomparsa deterministica del capitalismo, in termini prettamente economici, né del pensiero relativista di sinistra che l’Occidente ha visto fiorire nella metà del secolo scorso. Non perché il pensatore tedesco non potesse avere in sé alcuni di questi elementi, ma perché il suo apporto ulteriore li sconfessa e li rende marginali. 

Da Aristotele egli avrebbe mutuato, secondo Preve, il concetto di possibilità inteso come katà to dynatòn, come possibilità concreta del superamento del capitalismo attraverso i mezzi stessi che il regime di mercato avrebbe fornito, suo malgrado, alla parte avversa. In seconda battuta, il comunitarismo aristotelico si riaffaccerebbe in Marx, sia pur per diversa ragione. Marx vi perviene attraverso la critica dell’economia politica precedente, che spaccia per “naturale” il rapporto di produzione (la società disuguale e ingiusta) che contribuisce a perpetuare. Anche gli economisti politici sono viziati dal presupposto “naturalistico” nella valutazione dello status quo. Quell’individualismo e quell’egoismo che si sono tentati di arginare attraverso le teorie dell’autoregolazione del mercato e del (fittizio) bene comune, ma che, come è evidente, non sono approdate a molto, si combattono mettendo in discussione le premesse filosofiche su cui poggiano. Sicché «l’economia politica coincide con l’autocoscienza del polo borghese, mentre la critica dell’economia politica coincide con l’autocoscienza del polo proletario»: quella che si deve generare è, per usare un’espressione aristotelica, un’economia «al servizio della vita buona (eu zen)».

 

Per quanto riguarda il rapporto con Hegel, Preve suggerisce che Marx non abbia “rovesciato” Hegel, ma che lo abbia oltrepassato “applicando” «la dialettica e la sua concezione della filosofia come scienza filosofica sistematica elaborata ad un nuovo oggetto del pensiero», cioè la condizione politica nella sua interezza, che non può limitarsi a proclami moralistici e “di principio” ma deve indagare e criticare la realtà socio-economica che permea ogni civiltà, per approdare alla comprensione dell’attuale e alla possibilità (concreta) dell’abolizione delle sue nefandezze. Una filosofia che non se ne occupi non può che rimanere “idealistica”, incapace di indagare ciò di cui vorrebbe parlare. La facoltà di esaminare il capitalismo in maniera sistematica, scientifica e dialettica, è qualcosa che proviene da Hegel, nonostante le critiche più o meno dovute al filosofo di Stoccarda. Un poco ingeneroso, per esempio, è stato il giudizio che appiattiva il cosiddetto idealismo hegeliano sull'indagine della coscienza, come se Hegel avesse mai inteso che un cambiamento fosse possibile o auspicabile solo nella “coscienza”. Al contrario, egli nella Fenomenologia non fa che prendersi gioco dell’impotenza di coloro che insegnano quella sorta di pensiero tanto in voga anche oggi, che propugna un’emancipazione “spirituale” di contro a quella reale, come se l’autodisciplina interiore fosse sufficiente a cambiare le cose e a terminare le proprie e altrui sofferenze. Chi è di questo avviso manca di conoscenza e capacità critica, finendo per tramutarsi in un inconsapevole individualista e conservatore; qualcuno che contro i suoi stessi propositi non è libero né “fuori” né “dentro”. In questa “derisione” Marx e Hegel sono dei temibili alleati, contrariamente a quanto asserirebbe una diffusissima vulgata di sinistra

 

Queste sono solo alcune delle suggestioni che emergono dalla lettura di Karl Marx. Un’interpretazione, e, se anche chi scrive non le condivide tutte, senz’altro accoglie positivamente il suo monito, per cui «chi si occupa di marxismo deve sapere che lavora per i prossimi decenni, e non certo per la contingenza attuale». Non si tratta di un gioco intellettuale, ma della costituzione di un progetto per l’avvenire. 

 

7 febbraio 2020

 








  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica