Verità e Storia: rileggere il passato come spia di ciò che verrà

 

Oggi, per la rubrica Verità e Storia, abbiamo con noi Aldo Giannuli, ricercatore in Storia contemporanea all'Università degli Studi di Milano, per diversi anni consulente delle Procure di Bari, Milano (strage di piazza Fontana), Pavia, Brescia (strage di piazza della Loggia), Roma e Palermo. Dal 1994 al 2001 ha collaborato con la Commissione Stragi, con diverse pubblicazioni in merito. Da alcuni anni la sua ricerca verte in modo particolare sul ruolo dell’intelligence e dell’open source intelligence nella società dell’informazione e sulle sfide che la Globalizzazione e la crisi dei processi di modernizzazione pongono al mondo contemporaneo, anche qui con diverse pubblicazioni.

 

 

[È possibile apprendere dallo studio della Storia qualcosa che vada oltre i singoli eventi? A questa domanda si riallaccia la rubrica Verità e Storia, che cerca di comprendere – tramite interviste a personalità del mondo filosofico e non solo – il rapporto tra la verità, ciò che è in assoluto, e la storia, che nel suo scorrere pare essere, per eccellenza, il regno della contingenza.]

 

Possiamo esprimere il nocciolo del positivismo storico ottocentesco con la frase “se non ci sono fonti, non c’è storia”. A oltre un secolo di distanza, vediamo come la ricerca storiografica abbia ampiamente accettato un approccio più inferenziale, induttivo. È evidente che ad essere mutata è la concezione di storiografia e verità, del metodo che dovrebbe seguire lo storico. Lei ha una sua “filosofia della storiografia”? Quale dovrebbe essere l’approccio dello storico alle fonti o all’assenza di fonti?

 

Le fonti non sono mai inesistenti, qualsiasi azione storica dell’uomo, qualsiasi azione avvenuta nel tempo lascia delle tracce. Bloch ha definitivamente dimostrato che le fonti non si trovano, si inventano: prima di tutto nella testa dello storico, il quale cerca di trovare i segni del passaggio di un avvenimento, di un personaggio, di un’epoca, di una moda culturale, di quello che si vuole esaminare. La mia filosofia della storiografia è quindi quella per cui, di volta in volta, per l’argomento che si vuole trattare, si cerca di trovare le fonti adatte.

 

Tendenzialmente la storia, nel porsi come narrazione del procedere dell’umanità, viene posta in contrasto con la natura, intesa come procedere ciclico e relativamente stabile dell’ambiente in cui l’uomo vive. Il progresso storico sarebbe quindi indice di un cambiamento, di una serie di avvenimenti non accomunabili secondo una legge uniforme. La storia è effettivamente uno svilupparsi caotico, non coerente, o vi sono delle leggi che sottendono il suo procedere? Oppure, all’interno di uno svolgersi frammentato e non sistematico, si possono purtuttavia trovare delle costanti? In sintesi: c'è qualcosa che trascende la storia?

 

Intanto non è vero che la natura procede in modo ciclico e ripetitivo. Semplicemente la natura modifica i suoi meccanismi di produzione e riproduzione in tempi molto lunghi che a noi appaiono impercettibili, mentre invece i cambiamenti della società umana, mano a mano che si avanza con le epoche, diventano sempre più brevi, quindi più percettibili. Quindi, da questo punto di vista, credo che il problema sia quello della percezione, la quale non è mai un singolo atto, ma ci sono diversi momenti che la caratterizzano: c’è un momento in cui c’è una percezione immediata, fisica, dell’evento; c’è il momento della vantazione della portata dell’evento; c’è il momento dell’interpretazione e così via. La storia ha delle leggi? Sì e no. Sicuramente ci sono delle regolarità, come nei procedimenti sociali e nei processi economici, però queste regolarità fanno sempre i conti con la libertà umana e con la capacità dell’uomo di inventare il suo futuro, quindi in qualche modo esso non è mai predeterminabile. Tutto ciò non significa che la realtà è caotica, essa ha una sua logica: quella che le diamo noi.

 

Anche in relazione alla precedente domanda: la storia è magistra vitae, permette di conoscere il passato per agire nel presente, oppure non permette di ottenere insegnamenti validi per il futuro? Per dirla in altri termini: la comprensione di un avvenimento passato è un’azione in sé chiusa e conclusiva, o permette di ottenere una conoscenza che supera quel dato momento e si impone come valida anche successivamente, come possibile guida per l’agire?

 

Federico II di Prussia diceva che con i precedenti storici è possibile dimostrare qualsiasi cosa, l’importante è scegliere il precedente che ci fa più comodo. In qualche modo i precedenti segnalano le regolarità, i possibili esisti  questo non va preso letteralmente, ma come indicazione sommaria. Quindi, da questo punto di vista direi che la storia non è tanto magistra vitae, ma è piuttosto spia dei comportamenti umani e in qualche modo contribuisce ad indirizzarli.

 

[All'interno del programma dell'Alternativa nella storia, Aldo Giannuli parteciperà all'evento Fine della storia?, che sarà trasmesso in diretta il giorno 11 marzo dalle ore 19.]

 

8 marzo 2021

 




PER LA RUBRICA VERITÀ  E STORIA

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