Il paradosso della perfezione

 

Siamo nati e cresciuti nell’epoca dell’eccellenza dove, come avversari, ci sfidiamo e combattiamo per raggiungere la perfezione. Solo i migliori riescono ad innalzare il trofeo; i perdenti, al contrario, sono costretti a trascinare il peso della frustrazione e dell'insoddisfazione. La società ci insegna che per raggiungere la perfezione dobbiamo essere i migliori e, trascurando doti, qualità e impegno di ognuno, pone tutti sullo stesso piano, ci giudica e premia i perfetti, gli eccellenti.   

 

di Riccardo Bassani

 

Davide Quayola, "Ultima perfezione"
Davide Quayola, "Ultima perfezione"

 

Platone era un sognatore. Nel Dizionario filosofico Voltaire descrive uno dei suoi celebri sogni nel quale comparse il Demiurgo, l’eterno Geometra, che lanciò una sfida ai i più illustri geni dell’epoca. Dopo aver popolato l’universo di innumerevoli globi, concesse loro la possibilità di forgiarli a piacimento purché in ogni mondo regnasse la quiete, l’amore e la pace. Tutte le opere vennero aspramente criticate ed ogni pianeta ebbe la sua parte di rimproveri. Il Demiurgo perciò radunò i geni ed iniziò a parlare: «Avete fatto cose buone e cattive, poiché siete molto intelligenti ed imperfetti. Solo io posso fare cose perfette ed immortali»; questo raccontava Platone ai suoi discepoli, ma quando ebbe finito di parlare uno di loro gli rispose: «E poi vi svegliaste».

 

Questo racconto ci ricorda come sia solamente un sogno, una chimera un mondo in cui tutto è come desideriamo. Un luogo utopistico dove ogni relazione, lavoro o aspetto della nostra vita sia privo di imperfezioni e difetti.

 

Ma perché desideriamo da sempre raggiungere la perfezione? Cosa ci ha portato a pensare che rappresenti la strada per la felicità?

 

Questo fenomeno accade secondo un processo ben preciso: sin dall’infanzia veniamo educati a conquistare la perfezione: ogni bambino necessita dell’approvazione e del sostegno dei suoi genitori e per ottenerli si sforzerà in ogni modo di appagare le alte aspettative sul suo conto. Durante il suo percorso scolastico quello stesso bambino cercherà l’approvazione degli insegnanti e se raggiungerà la perfezione a scuola sarà ricompensato con ottimi voti. Una volta adulto dovrà confrontarsi con una società che stampa in serie delle etichette da incollare al suo lavoro, al suo aspetto, al suo matrimonio, definendone i canoni di perfezione. Egli spenderà quindi molte delle sue energie e del suo tempo cercando di soddisfare le richieste dei suoi superiori per diventare il lavoratore perfetto, si dedicherà al suo aspetto fisico per mantenerlo all’altezza delle aspettative e cercherà il partner che gli permetterà di creare la famiglia “del Mulino Bianco”. Insomma la nostra società ci insegna che per essere perfetti bisogna puntare ad essere sempre i migliori in ogni campo della nostra vita. Per essere un ottimo studente devi avere i migliori voti, per essere il migliore atleta devi arrivare primo alla gara, per essere l’imprenditore di successo devi avere solo risultati positivi. 

 

 

Cosa sarebbe successo se, anziché “Robotomizzarlo” pretendendo l’eccellenza in ogni ambito della sua vita, avessimo insegnato a quell’essere umano ad impegnarsi il più possibile senza essere per forza paragonato a qualcuno che ha caratteristiche e doti diverse da lui?

 

Sicuramente sarebbe più felice e realizzato. La paura di non raggiungere la perfezione a volte ci porta a reprimere il nostro vero io perché molto spesso i nostri reali bisogni vengono soffocati per soddisfare le aspettative altrui nei nostri confronti; questa ricerca ossessiva dell’ottimo ci costringe a vivere sotto pressione e genera un conflitto interno che provoca sofferenza impedendoci di godere pienamente di ciò che siamo.

 

Mirare esclusivamente alla perfezione condanna l’uomo ad un perenne fallimento, trattandosi di un lavoro eterno e vano. La ricerca della perfezione non deve pertanto tradursi nell’ossessione del perfetto.

 

Fin dall’antichità l’uomo brama perennemente la perfezione e spesso invidia coloro che la posseggono. Il sentiero che conduce ad essa, tuttavia, non raggiunge nessun posto fatato poiché la perfezione è staticità, noia, morte. L’imperfezione invece è vita, calore, movimento. I cambiamenti, i miglioramenti, possono nascere solo dai difetti, dagli errori e dalle lacune. Una vita priva di essi equivale alla morte della conoscenza, in quanto non saremmo più motivati a perseguire le soluzioni dei problemi causati dalle mancanze ed incompletezze. Il bello della vita è risolvere problemi: il ruolo dell’umanità consiste infatti nel prendere coscienza delle imperfezioni e modellarle, rifinirle fino a quando non risulteranno più tali.

 

La società dovrebbe insegnarci una competizione sana che tragga da ogni individuo il massimo della sua potenzialità rispettando le personali inclinazioni e qualità; le persone andrebbero stimolate non a raggiungere la perfezione ma a raggiungere la miglior versione di loro stesse, nell’accettazione pacifica dei propri limiti.

 

«Meglio una bozza imperfetta che un foglio bianco perfetto», scrisse R. Schuller; infatti l’illusione che ogni nostro sforzo debba essere coronato da un perfetto successo ci immobilizza e di fatto ci condanna all’insuccesso.

 

2 marzo 2022

 









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