Dall'etica lévinassiana ad una dimensione politica e civica della cura

 

Emmanuel Lévinas, filosofo contemporaneo francese di origini ebree, fu fautore di ciò che potremmo definire una vera e propria “rivoluzione copernicana”: egli, destituendo l’io dalla posizione privilegiata assegnatagli da un sistema eretto sul capitalismo, pone al centro l’Altro, l’alterità, che essendo traccia dell’infinito, sfugge alla nostra sfera conoscitiva, ma chiama in causa la nostra responsabilità, mossa appunto, dall’invocazione d’aiuto proveniente dalla vulnerabilità dell’Altro. Il suo sguardo risulta essere visionario in un contesto sociale ove l’io e i suoi spasmodici bisogni sono protagonisti della scena. Egli si fa portatore di un’etica innovativa, libera da qualsivoglia orpello culturale e moralistico.

 

di Adriana Scribano

 

E. Lévinas
E. Lévinas

 

Il nostro contesto socio-politico, necessita oggi più che mai di un agire che sia innanzitutto etico e poi politico. L’arte di governare in quanto tale, dovrebbe annoverare nel suo stesso apparato costitutivo, la capacità etica.

Ma cosa intendiamo per capacità etica? Lévinas, intende la relazione con l’altro appunto come accoglienza della diversità di cui è portatore l’altro; la capacità etica potrebbe essere intesa come quella caratteristica prettamente umana di accogliere e amare la peculiarità dell’altro

Trasponendo tale concetto in ambito politico, si potrebbe coltivare la speranza di un futuro scevro da potenziali tragedie già vissute dall’umanità: la capacità di creare una buona relazione con l’altro è sicuramente propedeutica all’arte di governare. L’orrore umano, commesso in ambito politico, scaturisce così dall’incapacità di rapportarsi eticamente.

 

« La pace non può quindi identificarsi con la fine dei combattimenti, per la sconfitta degli uni e la vittoria degli altri, cioè con i cimiteri o gli imperi universali futuri. La pace deve essere la mia pace, in una relazione che parte da un io e va verso l’Altro, nel desiderio e nella bontà in cui l’io contemporaneamente si mantiene ed esiste senza egoismo. » (E. Lévinas, Totalità e Infinito.)

 

L’etica della cura, in particolare, diverrebbe il  modus operandi privilegiato di quella relazione che Lévinas definisce “etica”. È dunque ammissibile pensare che l’etica della cura possa avere un risvolto civico e politico? 

L’etica della cura considera le persone come implicate in rapporti di interdipendenza, in quanto esseri vulnerabili; quindi costruisce il terreno del benessere della relazione «ove le persone verranno considerate come particolari e uniche, piuttosto che come astratti individui razionali titolari di diritti». (S. Brotto, Etica della cura).

Così l’etica della cura concepita insieme all’etica della giustizia, può divenire strumento per contribuire in maniera ancor più soddisfacente al benessere della collettività

Nella società occidentale, nonostante si è soliti considerare la cura come il “potere dei deboli”, dal momento in cui i “potenti” non dispongono del tempo adeguato per dedicarsi a tale attività, siamo comunque consapevoli del ruolo essenziale che questa occupa in tutti i contesti sociali.

Ma la nostra società, ergendosi, ahimè, su logiche di profitto economico, tende ad attribuire maggiore valore ed importanza a chi eccelle nelle prestazioni, ovvero a chi produce qualcosa nel migliore dei modi e nel minor tempo possibile. Storicamente parlando, questo concetto rievoca in noi “la catena di montaggio” di Ford e le conseguenze patologiche che essa ebbe sui lavoratori, privati della loro condizione di uomini poiché trattati come meri “ingranaggi”. Volendo fare un salto ad oggi, basti pensare ai ritmi di lavoro estenuanti a cui diverse aziende obbligano i propri lavoratori, non rispettando assolutamente gli orari da contratto, approfittando così della vulnerabilità di giovani e meno giovani, che consapevoli della scarsità di prospettive professionali, accettano condizioni di evidente sfruttamento; in queste realtà manca, in primis, il rispetto dell’Altro come uomo, come avente una vita propria e familiare.

Questo è uno dei motivi per cui, prima di parlare di etica della cura in ambito politico, bisognerebbe far sì che le sue fondamenta divenissero protagoniste indiscusse di tutti i contesti sociali coinvolgenti l’uomo.

Nonostante le estenuanti battaglie sostenute dalle femministe tra Otto e Novecento, il lavoro di cura che oggi occupa gran parte delle donne è confinato ai margini della società, appunto in quanto non retribuito adeguatamente, ad eccezione dei medici.

Se accettassimo la condizione di interdipendenza che ci contraddistingue in qualità di uomini potremmo accogliere quella politica che si definisce garante della democrazia, quella politica che fa in modo di dare il giusto peso e il giusto spazio sociale agli “uomini di cura”, poiché è loro il compito di migliorare la qualità di vita dei soggetti dipendenti.

 

A. Fioraso, "Accoglienza"
A. Fioraso, "Accoglienza"

 

Una politica che prende le mosse dall’etica della cura si rivela naturalmente incline al soddisfacimento dei bisogni della collettività, ricoprenti una posizione privilegiata rispetto all’interesse e al progetto del singolo. 

Si giunge alla conclusione che il neoliberalismo, in quanto politica prevalentemente economica, porti alla negazione dell’essenza stessa della politica come azione beneficente rivolta alla collettività. Solitamente, quando si parla di politica, si fa riferimento in particolare alla politica delle grandi decisioni istituzionali, dimenticando l’importanza della politica civica e comunitaria, ove la cura, pur avendo un ruolo di inestimabile importanza, resta spesso nell’ombra. 

Una delle fasi in cui il soggetto necessita di “cura particolare” è il tempo della formazione scolastica. La scuola odierna, figlia del neoliberalismo, è uno spazio molto simile a qualsivoglia contesto aziendale; affinché questa divenga invece dimensione di crescita, è necessario che le politiche si muovano al fine di promuovere una paideia capace di coltivare il sentimento della vita, che si esplica nella capacità di aver cura di sé e degli altri. Una politica scolastica finalizzata a formare delle menti pensanti, capaci di approcciarsi criticamente alla realtà, sviluppando «un pensare che indaga con rigore le questioni». (L. Mortari, La politica della cura. Prendere a cuore la vita)

Sviluppare questo tipo di pensiero eviterebbe di ridurci a vittime passive del mainstream; tuttavia siamo, allo stesso tempo, consapevoli di quanto questa direzione potrebbe non rivelarsi utile ad un sistema che, per interesse, ci vuole schiavi di un pensiero unico, il cui contenuto è quotidianamente veicolato dai mezzi di comunicazione di massa. Una buona politica fa sì che i cittadini abbiano gli strumenti per esercitare il loro pensiero sulle questioni essenziali dell’esistenza umana.

Una politica che, diversamente, blocca la capacità critica dei propri cittadini, negandogli ingiustamente, dal punto di vista primariamente etico e poi legislativo, il diritto di voto (per fare un esempio), è una politica interessata e corrotta, attenta prevalentemente al soddisfacimento dell’ interesse di pochi, e non orientata, dunque, a creare ciò che è bene per la collettività. Quando parliamo di etica, ci riferiamo ad una dimensione diversa rispetto a quella della morale: «la morale consiste nell’applicare principi già decisi, l’etica nel cercare e nel mettere in parola i principi che orientano l’agire». (L. Mortari, La politica della cura. Prendere a cuore la vita)

 

V. Van Gogh, "Ramo di mandorlo fiorito"
V. Van Gogh, "Ramo di mandorlo fiorito"

 

La capacità etica, in qualche modo, deriva dalla coscienza critica del presente storico-sociale; e se non c’è coscienza critica e conseguente agire etico, la comunità politica s’indebolisce

Anche l’esperienza della malattia chiama in causa la politica sanitaria, anch’essa attualmente ridotta a politica aziendale. Bisogna capire come la politica debba muoversi in tal senso: «Promuovere una diversa formazione del personale sanitario; trasformare l’organizzazione degli ospedali in modo che a governare i processi siano i principi della cura e non mere logiche finanziarie». (L. Mortari, La politica della cura. Prendere a cuore la vita)

A tal proposito, la pandemia da Covid-19 ha messo in luce le gravi pecche di una politica sanitaria più attenta alla burocrazia, piuttosto che ai princìpi della cura. Una burocrazia, fatta di protocolli, ha causato migliaia di vittime, non solo per Covid-19. 

Così come una buona politica dovrebbe aver cura degli anziani, garantendo loro gli adeguati mezzi per vivere dignitosamente. Le residenze per anziani esistono, ma non sono bastevoli ad assicurare una buona qualità dell’ultima fase della vita, perché appunto l’uomo è animato non solo da bisogni fisici, ma anche da bisogni spirituali: «Il nonno e la nonna che abitano quei luoghi devono poter trovare tutto quanto è necessario per sentirsi bene: nel corpo e nell’anima, sia nel tempo della inevitabile solitudine tra sé e sé sia nel tempo condiviso con gli altri». (L. Mortari, La politica della cura. Prendere a cuore la vita).

E le politiche ambientali? Cosa si è fatto negli ultimi decenni per garantire la “salute della natura”? In che modo la politica si è presa cura della natura? Con l’avvento della società tecnologica, la natura è stata ridotta a mero strumento di potere nelle mani dell’uomo. Si è rivolto alla natura lo stesso trattamento, che abbiamo rivolto a qualsivoglia altro prodotto finalizzato a soddisfare i nostri bisogni ed interessi. In tutto ciò, abbiamo obliato il fatto che noi stessi siamo “fatti” di natura, siamo natura, e quindi servendoci della natura, ci siamo serviti di noi stessi.

Basti pensare agli sprechi alimentari e non solo, che non hanno fatto altro che inquinare l’ambiente, rendendo tossici quegli alimenti di cui ci nutriamo e che, spesso, sono causa di gravi malattie. Oppure a tutti gli impianti di fibra ottica che, provocando notevole inquinamento elettromagnetico, hanno un effetto patogeno nell’uomo e via dicendo. Abbiamo sfruttato la natura, non prendendoci cura del suo ben-essere, non tenendo in considerazione il fatto che avremmo pagato, sulla nostra stessa pelle, questa superficialità:

 

« Stabilire con la natura un rapporto di uso senza etica, significa usare la nostra stessa vita. Di una nuova etica dunque c’è assoluta necessità, quella che possa fare da orizzonte a un agire economico e politico finalmente in armonia col tessuto della vita ». (L. Mortari, La politica della cura. Prendere a cuore la vita)

 

Bisognerebbe dunque orientarsi innanzitutto alla formazione ecologica delle nuove generazioni, fondamentale per apprendere quella sensibilità atta ad aver cura di tutto ciò che ci circonda, poiché, del resto, tutto ciò che ci circonda siamo noi stessi

Come abbiamo potuto constatare, una politica per essere degna di tal nome, è fondamentale che sia orientata verso il bene della collettività; il ben-essere civico è, al tempo stesso, ragione che alimenta il pulsare dell’etica della cura.

 

3 febbraio 2023

 









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