Un colpo di biliardo

 

Qualche riflessione sui rapporti tra calcolo e intuizione, che lungi dall’essere separabili quali differenti “facoltà” dello spirito umano, vengono a convergere armoniosamente nei risultati che segnano l’alba della scienza contemporanea. Armonia non stabilita e in fondo incomprensibile, al limite casuale, quella che la cultura novecentesca deve pur riconoscere tra ordo rerum e ordo idearum, e che in questa sede discuterò rimbalzando tra la scienza e la letteratura della Grande Vienna.

 

di Domenico Andrisani

 

Jean Beraud, "Il biliardo"
Jean Beraud, "Il biliardo"

 

Se siete entrati almeno una volta in quella caldaia infernale, come la descrive Serres, che è l’Uomo senza qualità di Robert Musil, avrete ben notato che il caos molecolare degli eventi in cui i personaggi del romanzo urtano di continuo l’uno con l’altro, è frequentemente alternato a sprazzi di luce, a rotonde intuizioni che sembrano restituire una parvenza d’ordine all’intero groviglio; salvo, poi, urtare con il proprio opposto e ricadere a loro volta nell’indecidibilità dell’indistinto. Così, la paralisi della prassi che emerge sempre più chiaramente nella progettazione della maestosa “Azione Parallela”, manifestazione finalizzata ad una gloriosa riaffermazione dell’identità e dei valori austriaci in un mondo radicalmente trasformato, va di pari passo con un ristagno ideologico e addirittura teoretico, in cui le incessabili novità saltano fuori come funghi per attrarre a sé seguaci e oppositori, dare vita allo scontro ed essere poi sostituite da nuove contrapposizioni. Alla fine non vi è che un continuo ricambio, ed ogni nuova tensione che, questa volta sì, sembra essere quella decisiva, si affievolisce con il tempo fino all’insignificanza. E allora, al di là dei pesi che di volta in volta occupano la bilancia dei torti e delle ragioni, dice l’imprenditore-filosofo Arnheim, bisognerebbe agire nella politica, nella morale e nella filosofia come si fa in una partita di biliardo, ritrovando l’unità e la semplicità della decisione a cui ci si rimette irrimediabilmente: se il giocatore si approcciasse al tiro come uno scienziato che volesse riprodurre un esperimento nelle stesse condizioni del precedente, tenere sotto controllo tutte le variabili che possono influenzarne l’esito e prevedere così quest’ultimo con un buon grado di esattezza, se imbucare la palla richiedesse tutto ciò, il calcolo necessario a eseguire un solo colpo di carambola impegnerebbe l’intera vita del giocatore. 

 

« Tuttavia io con la sigaretta in bocca, una melodia in mente, starei per dire il cappello in testa, prendo la stecca e senza quasi darmi la pena di esaminare la situazione do il colpo e il problema è risolto! »

 

Così accade di continuo nella vita, prosegue Arnheim, come se il suo sottofondo fosse accompagnato dalla silenziosa melodia di «un mistero che si ride di tutti i calcoli»; l’unità e la semplicità dell’azione «ci mette chiaramente davanti agli occhi ciò che la nostra epoca ha perduto. Cos’è in confronto la scienza attuale? Frammenti!». E tuttavia, sarebbe facile fermarsi di fronte alla fin troppo abusata dicotomia tra razionale e irrazionale, o tra anima e calcolo, che dir si voglia, in definitiva estranea alle massime espressioni della scienza moderna. Il mistero di cui parla Arnheim non solo ride dei calcoli attraverso cui certi piccoli uomini (di certo non i grandi uomini di scienza) pretendono di governare la vita nella sua interezza, ma danza, come direbbe Nietzsche, e si manifesta all’interno dello stesso operare scientifico. Ed ecco che la Vienna-caldaia dipinta da Musil nel suo capolavoro, «negli eventi complicati, turbolenti, numerosi che accadono in seno ai suoi fianchi», come in un sistema termodinamico osservato nella sua evoluzione microscopica, non sembra affatto mostrare una legalità coerente e ordinabile. Eppure le leggi della termodinamica, che descrivono l’evoluzione macroscopica del sistema, funzionano benissimo nonostante l’impossibilità di conoscere le posizioni, le velocità, gli urti delle particelle; anzi, esse funzionano proprio grazie all’ignoranza microscopica. Qualunque sia la disposizione delle particelle di un gas in un dato istante, diciamo senza timore che l’entropia crescerà nell’istante successivo, e così avviene.

 

Come osserva Poincaré, «le leggi osservabili sarebbero molto meno semplici – sosterranno tutti i fisici  se le velocità fossero invece governate da qualche semplice legge elementare, se le molecole fossero, come si suol dire, organizzate, se obbedissero a qualche disciplina. E soltanto grazie al caso, ossia a causa della nostra ignoranza, che possiamo giungere a qualche conclusione». Se vi fosse un’organizzazione delle molecole, un’insieme di regole che governano il loro comportamento, occorrerebbe in primo luogo scoprirle a partire dalle osservazioni, in secondo luogo eseguire calcoli complicatissimi per dedurre l’evoluzione del sistema; è questo, del resto, il modus operandi condiviso da una buona parte dei pensatori moderni e che conduce alla riduzione del comportamento di un sistema a quello dei propri costituenti. Ilya Prigogine definiva questo tacito presupposto come «la fede nella “semplicità” del livello microscopico», in cui bisognava che si dissolvesse la complessità della maggior parte dei fenomeni naturali. Non è questo il luogo per discutere dei problemi concettuali della meccanica moderna, ma ricorderò che la rappresentazione atomistica della materia stride radicalmente con le comuni esigenze di semplicità e di continuità, come sapeva bene Leibniz. Infatti, è sufficiente un calcolo basilare per comprendere fino a che punto l’evoluzione delle particelle, per esempio, di un gas in un recipiente sia costitutivamente casuale, e cioè, nel senso che Poicaré dà a questa specifica occorrenza del termine, inadeguata rispetto alla nostra conoscenza: i miliardi di miliardi di molecole, «a ogni istante urtano le pareti e si urtano l’una con l’altra, e tutti questi urti avvengono nelle condizioni più diverse»; se immaginiamo di deviare la traiettoria di una particella di una quantità infinitesima, si capisce che basterà un lasso di tempo brevissimo perché la differenza tra la prima e la seconda traiettoria diventi finita. Questo significa che il grado di precisione necessario alla conoscenza rigorosa dell’evoluzione microscopica del gas è pressoché irraggiungibile. Come faccio a sapere che il gas, poniamo, inizialmente limitato in una certa porzione di volume del recipiente, si diffonderà in modo omogeneo su tutto il volume, e dunque che l’entropia crescerà? Non certo solo per intuizione ricavata dall’abitudine né per descrizione meramente fenomenologica! Siamo in cerca, invece, di un mistero che mentre ride di tutti i calcoli reciti davanti agli stessi calcoli il suo motto di spirito, così che essi compartecipino del suo riso.

 

Ed eccolo trovato da Ludwig Boltzmann, contemporaneo di Poincaré e formidabile mente della Grande Vienna, la stessa caldaia di Musil. Non è possibile calcolare le traiettorie di ogni singola particella di gas, è vero, ma è possibile applicare il calcolo delle probabilità per seguire l’evoluzione delle distribuzioni statistiche delle velocità, sapendo che il cammino delle particelle è casuale; quale sarà il comportamento macroscopico del sistema a partire da una data distribuzione microscopica meno probabile (corrispondente, nel nostro caso, al gas distribuito su una porzione limitata del volume del recipiente) e passando progressivamente a quelle più probabili? Il gas si distribuirà uniformemente sull’intero volume del recipiente, l’entropia crescerà fino a raggiungere uno stato di equilibrio. Maggiore sarà il numero di particelle che costituisce il gas, più probabile sarà questa evoluzione verso lo stato stazionario e, soprattutto, l’indefinito mantenimento di quest’ultimo. La cosa sconvolgente è che miliardi di particelle, pur muovendosi in maniera totalmente casuale e a partire da qualunque disposizione possibile, evolvano ogni volta allo stesso modo; che attraverso uno strumento come il calcolo delle probabilità, che in prima battuta non sembra aver a che fare granché con la natura, sia possibile rappresentare scientificamente ciò che prima si poteva solo immaginare: ecco l’inaudita congiunzione tra calcolo e intuizione, infittita di interrogativi aperti e lontana più che mai dalla limpida chiarezza di una spiegazione classica. «Leggi del caso» governano l’evoluzione del sistema, questa la paradossale conclusione a cui dobbiamo pervenire: tanto più rigorose quanto più l’elemento casuale e incontrollabile, ossia il numero di particelle, sarà alto. Accade pressappoco lo stesso al primo colpo di biliardo, quando si colpisce il triangolo di sfere imprimendogli una certa energia, ed esse si distribuiscono casualmente sulla superficie del tavolo. Non seguendo un ordine, dunque, ma allo stesso tempo seguendo una legge. Se per Leibniz la concordanza tra ordo rerum e ordo idearum costituiva il segno di una armonia prestabilita che ci coinvolge in quanto parti del cosmo, ecco che quella che emerge nella cultura novecentesca, di cui uno dei massimi interpreti è proprio Musil, è un’armonia non stabilita, infondata e instabile. Solo sulla base del caso si costituisce, e per di più in maniera inspiegabile, per cui nulla vieta che possa andare perduta definitivamente, come lamenta Arnheim. Il giocatore giova del suo segreto finché i rimbalzi e gli urti da considerare rimangono di piccolo numero: più essi crescono per singolo tiro, maggiori saranno le variabili da considerare, più difficilmente emergerà quella semplicità che permette di mettere la palla in buca senza darsi troppo pensiero.

 

4 giugno 2025

 








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