L'indispensabile esperienza pubblica della scienza

 

La disinformazione in questi mesi di pandemia ha dato spettacolo raggiungendo dimensioni inquietanti e sembra non terminare. Quale possibilità si ha di contrastarla?

 

 

In Italia la fase della distensione post-epidemia, è iniziata veramente solo l’altro ieri e ci si sente tutti un po’ più spensierati, giustamente. Di questi due mesi di clausura si abbandona il senso di costrizione, il terrore del contagio e l’angoscia per la precarietà della vita minacciata da qualcosa di invisibile, questo un po’ eccessivamente. Non si abbandona invece la mascherina, i guanti, l’igienizzante per le mani, le polemiche retoriche sul malgoverno della sanità ed, ovviamente, le fake news. Queste, fatte di articoli, tweets e posts sono state alla base di uno studio recente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni Agcom, la quale ne ha contati pari al 38% del totale nel periodo tra il 21 febbraio e il 22 marzo, molto lontano da un 5% del mese precedente. Nel mese di marzo, poi, si è riscontrato che ben 4 articoli su 7 pubblicati in un giorno sulla tematica coronavirus provenivano da siti web di disinformazione.

 

Sono in corso nuove ed importanti ricerche scientifiche che indagano su questo fenomeno e la sensazione di panico dilagante non deve stupire se si pensa che la maggior parte di quelle che si rivelano notizie falsate, di fatto quelle che più circolano, parla di pericoli, minacce alla quiete della società e complotti. Le categorie del variegato universo delle fake news sono molteplici ed esistono anche diversi gradi di “completezza”: ognuno potrà testimoniare di aver ricevuto cose come tweet di poche righe invaso da strane combinazioni di idiomi e punti esclamativi, fino al post elaborato con grafici e anche bibliografia, ed aver constatato in un secondo momento la loro poca veridicità.

 

Il web è talmente saturo che nascono siti addetti alla smentita di fake news, dove un elenco, che sembra non finire mai, raccoglie tutte le notizie false intercettate dagli amministratori nel flusso online, alle quali viene allegata un breve report di ciò che è riscontrabile nella realtà e ciò che invece è frutto di un travisamento o, più semplicemente, di buona fantasia. Per dovere di cronaca, uno di questi si chiama Bufale un tanto al chilo e scoprire cosa gira non solo sui social network ma anche su televisione e giornali, è a tratti divertente e inquietante.

 

Comunque si può facilmente riconoscere che Facebook e Twitter rimangono le corsie ad alta velocità per questo tipo di notizie, create da blog che in realtà nascondono registi con determinate ideologie e che si adoperano per veicolare opinioni da una parte piuttosto che dall’altra. L’ingigantirsi del fenomeno ha preso infatti la scia di un uso sempre più allargato dei social network – strumenti nati esattamente per la condivisione indiscriminata di contenuti –, al punto da riconoscergli una certa paternità. Se si pensa però al contesto nel quale le fake news dilagano, il cui trend generale accoglie e rilancia senza il minimo tentennamento qualsiasi tipo di contenuto, più che una vera paternità, sembra un’adozione. Insomma è abbastanza chiaro che la rete virtuale costruita dai social in questi anni abbia tali conseguenze in virtù di quel tipo di substrato e si sia solamente fatta carico di rendere esplicito ciò che strutturalmente in seno alla società va maturando probabilmente da alcuni secoli, per ragioni fisiologiche e non: l’esclusiva condivisione dei risultati anziché dei metodi da parte del mondo scientifico.

 

 

Il problema viene sollevato anche dal fisico Antonello Pasini, coordinatore al CNR, nel docu-film The climate limbo (2019), incentrato sui migranti climatici. Gli autori rispondono così quando intervistati sulle difficoltà incontrate nel trattare un tema come quello del cambiamento climatico: «La seconda difficoltà è stata quella di riuscire a raccontare, rivolgendoci a un pubblico non esperto del settore, un argomento scientifico, complesso e pieno di dati. La cultura scientifica, soprattutto in Italia, non è molto diffusa e spesso viene recepita come ostica o “elitaria”. Ma è importante che anche questo tipo di racconto diventi il più possibile accessibile e fruibile a tutti, affinché possiamo sviluppare opinioni ben fondate e un pensiero critico al riguardo.» (Intervista per "youmanist" di Antonella Serrecchia, "The Climate Limbo, il documentario italiano che ti spiega il cambiamento climatico",  23 luglio 2019)

 

Si può riconoscere un inizio ed una formalizzazione dei metodi e delle regole che guidano la scienza moderna negli anni della rivoluzione scientifica, dove a costituire la matrice sulla quale fondare tutto fu essenzialmente un procedimento di tipo filosofico che passò al vaglio i principi logici sui quali non si potevano sostenere dubbi. Appurato ciò e ritornando alla questione richiamata poco sopra, risulterebbe abbastanza difficile chiedere ad una civiltà ancora per gran parte analfabeta e traviata da guerre e carestie dialogare con il mondo di un Galileo Galilei, per citarne uno a caso. Così come oggi, proporzionalmente, si può difficilmente richiedere o aspettarsi che una qualsiasi figura del mondo del lavoro, specialmente quelle legate a mansioni più pratiche, siano dei master in chimica o fisica. Esistono certamente persone, a cui va grande ammirazione, che pur lavorando su un macchinario per otto ore al giorno o seguendo turni di notte, si dedichino poi ad un qualche campo del sapere, rasentando conoscenze ritrovabili in figure dedicate alla ricerca per un’intera vita. Sono comunque casi particolari e di spontanea iniziativa individuale, ma ciò di cui si parla qui è di come si organizza l’avanzamento di un’intera società.

Ad una rassegna delle maggiori testate giornalistiche, da quelle di cronaca a quelle prettamente scientifiche, si è messi davanti ad una tavola imbandita di nuove e affascinati scoperte, raggiunte dopo anni e anni di ricerche, studi, esperimenti… Tutti, questi, di cui si ignora pressoché tutto. Ci si sveglia con l’idea malsana di fare un esperimento su un qualche insetto in via d’estinzione forse? O piuttosto rientra in un progetto più ampio ed organico? E come si procede durante una ricerca? Quali sono gli scopi?

 

Durante la quarantena, quando gran parte del popolo italiano si trovava costretto tra le quattro mura domestiche, il Cnr ha lanciato un esperimento pensato per una partecipazione pubblica, anche se in isolamento. Nelle sere del 23, 24 e 25 marzo, #scienzasulbalcone è il nome dell’iniziativa che ha avuto come scopo la rilevazione dell’inquinamento luminoso tramite un’applicazione per smartphone che registra l’intensità delle sorgenti luminose attorno a casa sfruttando il sensore montato sul dispositivo (utile per adattare la luminosità dello schermo alla luce esterna). Da un lato tutte le informazioni di contorno necessarie a capire gli obbiettivi dell’esperienza hanno sensibilizzato al problema, spesso trascurato, dall’altro fornire un contesto della misurazione ha permesso a ciascuno di capire come viene condotto un esperimento. Infatti, i valori rilevati sono stati richiesti insieme a informazioni sulle modalità di misurazione, come la marca del telefono, dove si abita, il tipo di cittadina ed altre note utili a una contestualizzazione della stessa. In più, le domande finali sondavano le impressioni e le considerazioni del partecipante, facendogli così capire le dinamiche del classico esperimento e la necessaria costruzione di un suo modello concettuale. Inoltre, a detta degli organizzatori, un punto cruciale è che mai si sarebbe potuto realizzare una raccolta dati così estesa e dettagliata senza l’aiuto delle persone da casa e con i mezzi a loro disposizione: questo deve far riflettere sull’importanza di un’apertura pubblica.

 

Mappa delle misurazioni della campagna #scienzasulbalcone
Mappa delle misurazioni della campagna #scienzasulbalcone

 

Un altro momento di condivisione dei procedimenti scientifici è stata la diretta streaming dell’Università di Padova per l’osservazione del pianeta Venere con il telescopio nell’Osservatorio astronomico dell’altipiano di Asiago. L’emozione dell’apertura della cupola, come un occhio sulla volta celeste, si è unita così alla curiosità di come i segnali elettromagnetici provenienti dallo spazio vengono analizzati e le complicazioni che si possono incontrare, stimolando nuove soluzioni. Questi segnali si scoprono così molto più "parlanti" di quel che si pensa, permettendo all’uomo una conoscenza che talvolta supera le aspettative e di affascinarsi davanti alla bellezza dell’universo.

 

Quegli aspetti del mondo scientifico di cui all’inizio, che si possono concretizzare in questi esempi, a ben vedere, non sono altro che la traduzione pratica di quei principi e sistemi che si sono stabiliti secoli fa quando si pensò un metodo per l’esperienza scientifica, i quali poi si sono protratti aggiornandosi costantemente fino ad oggi e che diametralmente sono un grossa parte di eredità della primordiale speculazione sulla logica umana animata in campo filosofico secoli prima di Cristo. Al di là dei suoi traguardi, il mondo scientifico sembra essere rimasto lontano dalla maggior parte della società, guardato dall’esterno più come una cerchia di cervellotici, qualche volta con meraviglia, altre con sufficienza, a seconda della prospettiva e della giornata. Questa separazione netta non può che creare lacune che diventano poi storture gravissime, come ha continuato a crearne per decenni. È vero che l’istituzione scolastica e la formazione intellettuale hanno creato varchi sempre più grandi in questa barriera, dando l’opportunità a sempre più persone di conoscere quel mondo ma parallelamente, un’educazione ancora piuttosto ossessionata dai contenuti ed una logica consumistica hanno intaccato, oltre che l’acquisizione di beni materiali, anche l’informazione pubblica.

 

Ciò che si recepisce di una news, così come un ignoto a cui ci si sottopone, non è passato attraverso un filtro critico e viene allora recepito senza porsi dei dubbi sulla validità di ciò che si legge. Bisogna fare bene attenzione che, come detto prima, questo non significa dover avere per forza gli strumenti e le conoscenza teoriche e pratiche per riscontrare immediatamente ciò che si legge: questo è possibile per alcune tematiche eventualmente, ma non per tutte, tenendo presente che un enciclopedismo sterile sarebbe un'arma a doppio taglio per quelli che, forti del loro preteso sapere sconfinato, sposano le sole notizie che ben si accostano alle proprie conoscenze. È forse questo un approccio diverso da quello che porta alla circolazione di fake news? Non si direbbe...

 

Un approccio critico a ciò che si legge o si sperimenta per la prima volta consiste prima di tutto nella rottura del pregiudizio su di esso, il quale porta a selezionarlo a seconda che esso si accosti di più o di meno alle proprie convinzioni. Questo meccanismo può infatti lavorare in direzioni opposte, scartando fin da subito ciò che si pregiudica una stupidaggine ed una falsità, ed allo stesso modo acquisendo ciò che si nota essere in linea con ciò che si pensa. Dove la scienza agisce senza pregiudizio per ciò che ad essa è nuovo, verificando le sue supposizioni, aggiornando i suoi traguardi, revisionando e condividendo i suoi criteri e i suoi metodi in un processo esattamente democratico, si crea lo scontro con una realtà che invece non è mai stata abituata ad un dinamismo intellettuale retto da ben chiari principi e valori.

 

Per certi versi l’apertura di questo còsmos nella società potrebbe sembrare come un’educazione impostata dall’alto del popolo ignorante, una gentile concessione per un elevamento intellettuale della massa, e così sia, come è sempre stato, laddove ad essere condivisi siano solamente i risultati. Questo va a porre il dialogo tra chi sperimenta il mondo avanti di anni e chi non sa nemmeno il perché di quei futuri traguardi, i tempi necessari per un esperimento in laboratorio e sul campo, da chi provengono le risorse per realizzarlo, chi poi non ha la percezione della centralità dei metodi in relazione ai risultati, dove questi sono un conseguenza logica dei primi, tanto da essere distorti al minimo errore concettuale, prima che procedurale.

 

Trasportare la società tutta all’interno di questo sistema è necessario per un dialogo che sia alla pari, ossia incentrato sulla condivisione del come e fondato su un linguaggio comune che è quello della logica umana, condizione di partenza per una democrazia nella scienza. In fondo si tratta di avere un obbiettivo che metta ad ulteriore compimento l’essenza stessa del pensiero scientifico, ossia il più largo contributo possibile, anche nei termini più piccoli, in vista del raggiungimento collettivo di una verità sempre più completa e coerente con se stessa. Si vede ogni giorno, non per niente, che una coerenza, almeno per adesso, è concessa solo da un tema blu-serenità. 

 

20 maggio 2020

 








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