La dignità dell'usato, scartata

 

Il mercato dell’usato, visto ora come di (seconda) scelta costretta, deve venir investito di una dignità molto più grande di quella del nuovo, diventando l’oggetto di una scelta volenterosa, carica di responsabilità individuale sensibile all’universale; c’è bisogno di un capovolgimento. 

 

di Marco Pieretti

 

 

Qualche tempo fa su questo sito veniva lanciata una provocazione per riflettere sul concetto di nuovo come necessità intellettuale connaturata alla stessa esistenza umana, che però in questa società finisce sempre per essere soddisfatta materialmente, con oggetti inermi e sterili, in qualche modo snaturata. 

 

I discorsi che seguono vorrebbero ricollegarsi a questo aspetto fondante della cosiddetta società dei consumi, sostenuta economicamente anche da un’assidua produzione con acquisto compulsivo a seguito, il quale appunto è regolato dal fascino del possesso che ciascuno subisce davanti a qualcosa di nuovo per le sue conoscenze; il denaro è poi il mezzo con cui innocentemente ci si convince di ottenerlo. Il denaro è proprio il principale protagonista di quella che si potrebbe considerare una reazione a questo modello di mercato iperproduttivo, inseparabile da esso in quanto fenomeno definibile a lui “parassita”: il mercato dell’usato. 

 

Negli ultimi anni, grazie anche ai numerosi siti di e-commerce e alla generale facilità di connessione, esso ha visto una strutturazione sempre più efficiente con uno sviluppo imponente dei suoi traffici. Probabilmente anche le varie crisi economiche succedutesi hanno contribuito non poco ad una sua diffusione così evidente, dato che normalmente il prodotto usato, in quanto tale, ha un prezzo notevolmente minore rispetto al suo corrispettivo “nuovo di zecca”. Esattamente questo fatto di essere deprezzato è al centro della questione: esso è l’unico movente che al momento sta dietro al suo acquisto

 

Pensando alla percezione astratta che di norma abbiamo dell’economia ― una serie di valori e parametri lontani dalla realtà dello sfruttamento delle materie prime e della forza lavoro  appare anche normale che l’unica responsabilità che si sente sia quella verso il proprio portafoglio; in una visione individualistica limitata alla convenienza, l’acquisto dell’usato, esclusi i casi fuori produzione, è visto come un semplice risparmio del proprio patrimonio e in un’idolatria del nuovo  è considerato un po’ un’extrema ratio, di conseguenza come un simbolo di indigenza economica: si acquista usato solo perché non si è disposti a pagare il prezzo del nuovo.

 

Calcolando un po’ di circostanze  come il fatto che, per ottenere il prodotto finito, sono state prelevate e lavorate materie prime con effetti più o meno nefasti per l’ambiente, che persone hanno dedicato tempo ed energie alla sua realizzazione e alla sua distribuzione con annesse emissioni inquinanti, che infine il prodotto scartato occorre smaltirlo con altro dispendio di risorse e patrimonio ambientale quando va bene , il senso di tale scelta sarebbe rivalutato in chiave ambientale e umana

 

In un oggetto infatti è racchiuso come metafora il susseguirsi di azioni che lo hanno reso come lo osserviamo nella sua forma e decodificarla è un’attitudine che si acquisisce anche interessandosi del mondo che ci circonda, rimanendo vigili sui suoi meccanismi. Una volta compreso il suo significato, l’acquisto di un prodotto scartato da qualcun altro spesso per semplice vezzo non è che da considerare prima di tutto un’azione giusta oltre che economicamente conveniente. Il gesto cioè si arricchisce di un’iniziativa di giustizia sociale e contro lo spreco di risorse, abbandonando tutte le presunzioni errate che caratterizzano il solo orizzonte economico della scelta: a questo punto anche un milionario sarebbe vestito di un cappotto usato.

link alla petizione per agevolazione all'usato
link alla petizione per agevolazione all'usato

 

Il mercato dell’usato allora, visto ora come di (seconda) scelta costretta, deve venir investito di una dignità molto più grande di quella del nuovo, diventando l’oggetto di una scelta volenterosa, carica di responsabilità individuale sensibile all’universale; c’è bisogno di un capovolgimento. Un’azione che dapprima si esprime come correzione a quelle errate degli altri ma che poi non sarebbe più necessaria nel momento in cui ciò che viene acquistato con il denaro, l’equivalente di tutto quel processo per ottenerlo, esaurisce la sua utilizzabilità nelle mani del suo proprietario, senza venire scartato quando ancora ha molto da offrire, insomma quando ciò che viene gettato è stato utilizzato per il tempo equivalente a quello necessario a produrlo. Esaurire questa quantità di tempo è l’obiettivo principale che ciascuno dovrebbe avere quando si rivolge ad un rivenditore di merce usata per non rendere vano quell'insieme di effetti e azioni che le stanno dietro.

 

Ecco perché ad oggi, l’acquisto dell’usato nasconde in sé una concezione superficiale dell’economia, una motivazione debole che ne riduce importanza e diffusione, storpiando il significato che invece potrebbe avere se compreso nella sua piena bontà.

 

21 luglio 2018

 




  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica