Scienza e politica a rischio divorzio

 

Assai spesso e sempre di più esponenti della classe politica si scagliano contro gli appelli della comunità scientifica ignorando i principi stessi della scienza. Quale destino si profila per una società che affida loro il proprio governo?

 

di Marco Pieretti

 

 

La negazione del cambiamento climatico aveva avuto la sua prima importante eco nella scena pubblica mondiale già anni fa con Trump che addirittura si sbilanciava escludendo un aumento della temperatura, tale era il freddo che in America si stava patendo in quei giorni. La sua campagna di negazionismo non si è di certo arrestata ancor oggi e anzi pare stia facendo sempre più proseliti: persone, che da sempre lo sostengono o che non hanno idea di quali problemi si stia parlando ma che seguendo alcune voci che si distinguono chiaramente per la loro ignoranza, si accaparrano un po’ di visibilità da usare al momento giusto.

 

Siamo in Italia, un angolo del globo in cui si sono verificati fenomeni naturali di intensità molto rara, in cui il dissesto idrogeologico del territorio preoccupa fortemente una popolazione nata e cresciuta di pari passo ad un processo di antropizzazione selvaggio, e da figure politiche di rilievo sentiamo parole che sembrano prendersi gioco di questo problema, tale è la loro superficialità. Da una parte viene stabilita quasi scientificamente una sorgente satanica del peggioramento delle condizioni climatiche, definendolo come espressione di un Male di natura ancestrale e ultraterreno che pilota l'uomo; concezione non molto lontana da quella che vedeva il Diavolo uscire dal cratere dell’Etna e distruggere le terre circostanti con colate di lava incandescente circa più di mezzo secolo fa. Da un’altra parte, l’ironia facile importata da oltre oceano nel Nord-Est riduce la complessità della meteorologia terrestre ad un livello sub-elementare che si basa sull’associazione immediata di idee: piove quindi freddo, sole quindi caldo.

 

Dove sta quindi il surriscaldamento se a maggio, per una o due settimane, piove e fa freddo? Questo è il punto fermo da cui si parte per dubitare della scienza. Un intento tanto alto, questo che si concretizza del progredire e realizzarsi del sapere scientifico stesso , quanto basso è il suo grado di consapevolezza in tale caso.

 

Dai primi teorici del global warming ad oggi la climatologia è riuscita ad approfondire la conoscenza sui fenomeni atmosferici ed i loro legami strettissimi con gli altri settori del pianeta, partendo da supposizioni di carattere qualitativo e arrivando all’elaborazione di modelli per la previsione dell’evoluzione degli ambienti sulla superficie terrestre, anche in seguito ad una quantità di dati storici sempre in aumento. Pensare che il risultato di una collaborazione mondiale all’interno di un’intera comunità scientifica venga messa in discussione con argomentazioni dai contenuti così ingenui e di dubbia documentazione fa sorridere, soprattutto se si pensa che le previsioni si basano su eventi già accaduti in un passato non troppo lontano, quando le condizioni atmosferiche erano molto simili a quelle attuali, o anche migliori, tant’è che si è certi del cambiamento in negativo del clima terrestre ma non della sua velocità e di come si presenterà.

 

Un indizio possono essere le serie fotografiche storiche dei ghiacciai, da sempre fonte di interesse e quindi monitorati assiduamente. Il ritiro a distanza di pochi anni è impressionante. Perciò se nemmeno scienziati che hanno dedicato un’intera carriera allo studio della fisica dell’atmosfera hanno un’idea di come possa presentarsi il cambiamento climatico e se attribuirgli o meno uno degli ultimi eventi catastrofici verificati, con quali conoscenze e competenze ci si sbilancia nel negare un surriscaldamento? Non è un segreto, per esempio, che un aumento eccessivo della temperatura dell’aria e quindi delle acque oceaniche annullerebbe il flusso di correnti oceaniche che si muovono da nord a sud e da est a ovest a causa di differenze di temperatura e concentrazione di sali; e così certe aree come il nord Europa che viene mitigato dalla corrente del Labrador sperimenterebbe un abbassamento delle temperature notevole, pur vivendo un surriscaldamento globale.

 

Il ritiro del ghiacciaio della Marmolada
Il ritiro del ghiacciaio della Marmolada

 

Allo stesso modo, un periodo freddo di due o tre settimane non è rappresentativo del trend generale che sperimenta il pianeta e regola localmente le risposte delle varie aree climatiche, o al massimo lo è nei termini di un’espressione fuori dalla norma che è sintomo di un rapido cambiamento climatico. Infatti un’altra conseguenza possibile del surriscaldamento è un aumento della quantità di energia a disposizione di tutti i fenomeni atmosferici, che possiamo intendere come “neutrale” quindi a favore di eventi di freddo intenso.

 

Sono solo alcuni e banali spunti di contenuto che i climatologi danno alla società per renderla più consapevole, ma sembra che alcune parti della classe dirigente li rifiuti, deridendoli, vanificando e disprezzando il lavoro della scienza stessa, o addirittura i suoi principi fondanti che considerano e prevedono dubbi, tentativi, errori e correzioni.

 

Rimane da chiedersi allora se una politica che in queste contrapposizioni distruttive e aberranti ripone i suoi contenuti sia rispettosa innanzi tutto del suo stesso significato e poi dei cittadini con i quali deve dialogare. Se si pensa infatti ad uno tra i ruoli che ha la politica è proprio quello di mediatore tra comunità scientifica e popolazione. La mediazione può avvenire su diversi piani, uno è quello di semplificare il linguaggio e i concetti propri delle scoperte scientifiche mantenendo i contenuti e il messaggio che vogliono dare, un altro strettamente collegato è quello di rendere fruibile l’aggiornamento sulle stesse, un altro ancora è quello di invitare la popolazione ad approfondire certe tematiche; in poche parole la politica ha il compito di passare i contenuti della scienza e prima ancora di mettere i propri cittadini nella predisposizione intellettuale di accoglierli.

 

Spesso infatti la trattazione scientifica in senso stretto non riceve molto entusiasmo per la complessità dei suoi argomenti e la richiesta di un background di conoscenze e competenze che è naturale non abbiano tutti allo stesso livello. Questa è una situazione insostenibile se l’obiettivo di ciascuno è quello di contribuire ad un progresso dell’umanità, dacché oltre a creare una stagnazione di idee all’interno della società fa cadere anche quel rapporto osmotico di fiducia tra essa e una comunità scientifica che si nutre di quella stessa fiducia, consapevole quindi di avere un ruolo ed una responsabilità per ciascuno dei partecipanti a quel rapporto e per questo sospinta in ogni suo sforzo da un principio di volontà alla realizzazione del bene concreto per quella società. Mancando tale legame, dilaga invece la corruzione dei valori sia nella società che nella sua comunità scientifica, conducendo entrambe ad uno sviluppo teoretico statico, in cui si agisce sempre secondo la soluzione più semplice sulla base delle proprie convinzioni trattate in modo acritico, indipendentemente che esse portino ad un bene veritiero per tutti o meno.

 

Sentendo le dichiarazioni di cui sopra, questo è lo scenario desolante che si apre ad una deresponsabilizzazione della politica, custode e promotore di quel legame costituitosi sulla fiducia tra scienza e società necessario ad un loro sviluppo fittamente intrecciato in ogni aspetto. Il pericolo di questa decadenza non investe solo l'ambito ambientale ovviamente, dove lo stridio tra le due realtà è tra i più assordanti; ma lo si percepisce in generale ogni qual volta si prova ad approfondire un tema che scalda gli studi televisivi e richiama dichiarazioni sulle testate giornalistiche, ricevendo molte volte solamente il gelo della superficialità a cui si assiste in quei luoghi.

 

5 giugno 2019

 







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