L'insopportabile superficialità dei politici

 

Il politico non guarda al futuro dello Stato in cui andrà a governare, o alla moralità delle proprie azioni, perché non ritiene ci sia qualcosa di intrinsecamente più morale o giusto di qualcos’altro; davanti all’inesistenza di valori il politico agisce solamente interessandosi del proprio tornaconto personale, senza prendere in considerazione le conseguenze che le proprie azioni comportano.

 

di Giacomo Lovison

 

Cesare Maccari, "Cicerone denuncia Catilina" (1880 ca)
Cesare Maccari, "Cicerone denuncia Catilina" (1880 ca)

 

La politica nell’età postmoderna è ormai sempre più qualcosa di smorto; davanti alle frequenti comparsate televisive dei politici questa natura inconsistente viene a galla. La paura di poter perdere le future elezioni politiche, che ormai non sono altro che una spartizione di poteri, obbligano i partiti a mandare alla riscossa negli studi televisivi questi personaggi, con lo scopo di raccattare quanti più voti possibili.

 

Il politico è ormai diventato una celebrità, qualcuno che non mira alla verità o alla bontà della linea politica che segue, ma che decide cosa dire in base a quello che il pubblico chiede. Così sentiamo parlare di programmi politici che più che descrivere la realtà e le soluzioni da apportare ai problemi presenti, promettono tutto a tutti, senza pensare realmente a dare un futuro allo Stato in cui governeranno. Sembra ci si sia dimenticati lo scopo della vera politica: migliorare la condizione dell’individuo e dello Stato attraverso la ricerca di ciò che è giusto e vero moralmente.

 

« Sono fermamente convinto che l’appassionata volontà di giustizia e di verità abbia dato al miglioramento della condizione dell’uomo un contributo sicuramente maggiore che non le astuzie di una politica calcolatrice, capace solo di generare nel lungo termine, sfiducia generale. » (Albert Einstein, Pensieri, idee, opinioni)

 

Albert Einstein (1879-1955)
Albert Einstein (1879-1955)

 

La concezione che si ha al giorno d’oggi della politica, deriva dalla generale interpretazione postmoderna che viene data alla realtà; la pretesa di voler distinguere, se non separare, la morale dalla politica evidenzia il vuoto teoretico alla base dei continui fallimenti della classe dirigente postmoderna. Il politico non guarda al futuro dello Stato in cui andrà a governare, o alla moralità delle proprie azioni, perché non ritiene ci sia qualcosa di intrinsecamente più morale o giusto di qualcos’altro; davanti all’inesistenza di valori il politico agisce solamente interessandosi del proprio tornaconto personale, senza prendere in considerazione le conseguenze che le proprie azioni comportano.

 

La contraddizione di questa posizione consiste nel considerare sé come qualcosa di separato dagli altri: per pensarsi però è necessario che ci sia qualcos'altro da cui esser determinati; nel tentativo di darsi più importanza separandosi dall’altro si finisce per affermare proprio il valore dell’altro, che ha permesso di distinguersi. La possibilità di considerare l’interesse personale come qualcosa di separato dall’interesse collettivo, in questo caso quello dello Stato, si fonda dunque sull’unificazione del piano individuale e di quello collettivo.

 

La distinzione tra Stato e individuo, o in questo caso tra interesse individuale e collettivo non può quindi sussistere, come ricorda Giovanni Gentile in queste brillanti parole tratte dall’opera Genesi e struttura della società:

 

Giovanni Gentile (1875-1944)
Giovanni Gentile (1875-1944)

« la verità è che nello Stato tutto ciò che in astratto è privato, quando si va al concreto diventa pubblico; e i rapporti tra i singoli individui particolari danno bensì luogo a una forma di regolamento, che come diritto privato si vuol distinguere dal diritto pubblico che regola i rapporti tra Stato e cittadini; ma l'esistenza stessa del diritto privato dimostra l'interesse che ha lo Stato ad intervenire nelle relazioni private, e ad imprimervi il sigillo della propria sanzione.

Comunque, la distinzione non si può più reggere quando si sia riconosciuto il carattere empirico di ogni distinzione tra individuo e società, o individuo e Stato; perché s'è veduto che lo Stato è già nell'individuo singolo, e ogni altro Stato non può essere se non svolgimento e nuova forma di questo Stato originario ed essenziale. »

 

La morale, che determina la relazione io-altro, non è dunque diversa dalla politica, poiché quest’ultima nasce solamente nel caso in cui il mio interesse possa coincidere con quello dell’altro. A cosa servirebbe la politica se il rapporto io-altro fosse impossibile? Come si potrebbe fondare una linea politica che neghi questo rapporto? Solo dal momento in cui si accetta questo rapporto la politica può sussistere, anzi è impossibile che la morale o la politica stessa lo neghino. 

Questo è solo un assaggio delle contraddizioni insite nella concezione odierna di politica, che dà però un’idea del mondo che ci circonda e che abbiamo contribuito a costruire.

 

La politica postmoderna, come abbiamo visto, è a dir poco superficiale; questa è però una critica che non si può limitare al ristretto gruppo di persone che di fatto detengono il potere, poiché i politici rappresentano la società dalla quale provengono. È inutile che ci si lamenti dei Renzi, dei Salvini o dei Berlusconi, quando la maggior parte delle popolazione, se ne avesse la possibilità, farebbe quello che fanno loro, per non dire di peggio. Se davvero un politico non rappresentasse i valori che un popolo ritiene veri non potrebbe in nessun modo arrivare al potere, o se ci arrivasse non resterebbe al potere a lungo; in altre parole, i politici di una determinata nazione, ma anche gli intellettuali, i giornalisti, etc., sono l’espressione del pensiero dominante in quella determinata nazione.

 

« Se la religione, l’indole, le leggi d’un popolo hanno valore, se gli individui appartenenti ad un popolo vi si riconoscono, vi s’identificano, fan tutt’uno con esse, non ha ancora senso domandarsi che cosa debba fare l’individuo come tale. Quel che ha da fare è ben presente dentro di esso. » (G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia)

 

I politici dunque non sono altro che l’espressione del popolo che governano; fintanto che la popolazione approverà tacitamente con il proprio agire il non-agire dei politici, la classe dirigente continuerà ad ignorare il bene collettivo.

 

« Ma […] se l’individuo non si riconosce più nei costumi del popolo di cui fa parte, se non ritrova più ciò che è sostanziale nella religione, nelle leggi del suo paese, eccetera, allora l’individuo comincia a porsi delle domande per sé; l’individuo non trova più quel che vuole, nella sua situazione non trova più ciò che lo soddisfa. Ecco l’origine della domanda: che cos’è essenziale per l’individuo? Quali debbono essere i capisaldi della sua cultura? A che cosa deve aspirare? » (Ibidem)

 

È necessario dunque che l’individuo ricominci a mettere in discussione i valori che determinano se stesso e la società in cui vive, superando il concetto d’individuo separato dalla collettività, lottando per ciò che rende la vita degna di essere vissuta; solo allora ci potrà essere un vero miglioramento guidato dalla ricerca di ciò che è giusto e vero. 

 

« Non sottraiamoci alla lotta, allorché si fa inevitabile per la preservazione del diritto e della dignità dell’uomo. Se così faremo, torneremo presto a condizioni che ci consentiranno di rallegrarci dell’umanità. » (Albert Einstein, Pensieri, idee, opinioni)

 

15 dicembre 2017

 

 

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