Spettacolare potenziato: l’eclisse della Guerra di Classe

 

La grande diffusione delle cosiddette “teorie cospirazioniste” è una espressione matura della presa della falsificazione della realtà nella nuova fase dello spettacolare potenziato in cui la società dello scientismo è approdata. Queste teorie, nutrite dalle condizioni di vita sviluppatesi negli ultimi quaranta-cinquanta anni, ed emerse come conseguenza di una crescente incertezza e confusione nell’aspetto esistenziale degli individui nella cultura odierna, sono tuttavia diventate uno strumento importante per il compimento di un movimento fondamentale di quella falsificazione.

 

 

In questi giorni seguenti l’ultimo evento stragista avvenuto sul territorio degli Stati Uniti d’America, nella città di Las Vegas in Nevada, è possibile trovare sulla rete un numero già consistente di persone che stanno contestando la versione ufficiale, la narrazione cioè offerta dalle autorità statali e dai media generalisti, dello svolgimento dei fatti. È possibile rilevare tale attitudine in una parte dell’opinione pubblica, non consistente, ma nemmeno insignificante, rispetto a molti altri casi, sia riguardanti gli stessi U.S.A. che altri luoghi del pianeta. Gli attentati del 7 luglio 2005 a Londra, la strage di Sandy Hook nel 2012, l’abbattimento

del volo MH17 nello spazio aereo dell’Ucraina nel 2014, l’attacco dell11 settembre 2001 e ovviamente lomicidio di John Fitzgerald Kennedy sono tra i più noti eventi, sebbene certo non i soli, il cui resoconto approvato da chi avrebbe dovuto impedirli è stato criticato e messo in dubbio. Queste critiche, che per la loro natura, cioè di opporsi alla narrazione ufficiale, devono essere evidentemente limitate ai margini del dibattito pubblico, sebbene abbiano caratteri anche molto differenti, sono tutte raccolte sotto l’espressione univoca di “teorie cospirazioniste”, la quale è in questo caso peggiorativa. Essa vuole indicare un’ipotesi che invochi una cospirazione ingiustificata, dal punto di vista della versione ufficiale, poiché esse affermano solitamente il coinvolgimento in quei fatti delle autorità che ne hanno approvato il resoconto, sulla cui base se ne è sviluppata la narrazione.

È infatti vero che qualsiasi impianto accusatorio costruito da un pubblico ministero in un tribunale, o durante l’istruttoria, laddove contempli il coinvolgimento di più di un individuo è, strettamente parlando, una “teoria cospirazionista”, siccome la “cospirazione” è appunto per definizione “un accordo tra due o più persone per intraprendere insieme un atto illegale o criminale, o un atto che è innocente in se stesso, ma diventa illegale quando compiuto dalla combinazione degli attori”. 

Non è dunque il teorizzare una cospirazione che rende una narrazione degli eventi una “teoria cospirazionista” in senso peggiorativo, ma la disponibilità di prove ed evidenza che giustifichino la teoria, cioè che dimostrino l’effettiva esistenza di quella particolare cospirazione: è chiaro infatti che anche la versione ufficiale dei fatti, per esempio dell’attentato alle Torri Gemelle, è una “teoria cospirazionista”, poiché ha ipotizzato che un numero consistente di individui abbia agito insieme organizzando e portando a compimento un atto criminale.

 

L’emergenza e la diffusione dell’attitudine cospirazionista nell’opinione pubblica tuttavia è un risultato – quasi matematico – delle condizioni di vita nella società odierna, della struttura dell’organizzazione della comunità, dell’ordine costituito delle istituzioni statali e internazionali. Del resto, già nel 1928, Edward L. Bernays, inventore dell’industria delle pubbliche relazioni, nipote del più noto Sigmund Freud, scrisse nel suo Propaganda che

 

E.L. Bernays (1891-1995)
E.L. Bernays (1891-1995)

« la cosciente ed intelligente manipolazione delle abitudini ed opinioni organizzate delle masse è un elemento importante nella società democratica. Coloro che manipolano questo non visto meccanismo della società costituiscono un governo invisibile che è il vero potere dominante de[lla società]. Noi siamo governati, le nostre menti plasmate, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite, largamente da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare. Questo è un risultato logico del modo in cui la nostra società democratica [sic] è organizzata. […] In quasi ogni atto delle nostre vite quotidiane, nella sfera della politica o degli affari, nella nostra condotta sociale o nel nostro pensiero etico, siamo dominati da un numero relativamente piccolo di persone […] che comprendono i processi mentali e gli schemi sociali delle masse. Sono loro che tirano i fili che controllano la mente pubblica, che imbrigliano vecchie forze sociali e escogitano nuovi modi di legare e guidare il mondo. » (pp. 9-10)

 

Questo fatto è una realtà evidente a chiunque si dia la pena di prestare la minima attenzione a ciò che gli accade intorno. Dal tempo in cui il sig. Bernays scrisse esso ha assunto dimensioni spropositate nell’industria della pubblicità e appunto della propaganda, nel senso stretto che questa parola ha acquisito nella seconda metà del secolo scorso, ed ossia non semplicemente «il meccanismo per cui le idee sono disseminate su larga scala […], nel senso ampio di uno sforzo organizzato per diffondere una particolare credenza o dottrina» (p. 20), ma informazione non obiettiva, che altera i fatti di cui parla, presentando selettivamente l’evidenza disponibile per promuovere una particolare agenda politica.

 

È infatti del tutto ingenuo credere che l’intero sistema industriale della produzione e del consumo implementato nella nostra economia capitalista, il cui obiettivo unico è il profitto nella propria attività, non sia volto agli interessi di coloro, chiunque essi siano, che hanno maggiore disponibilità dell’elemento centrale del sistema – il denaro, ovviamente. Per questa ragione costoro si trovano nella posizione di ottenere vantaggi significativi e potere determinante sulle figure istituzionali impiegate nel processo decisionale, sia alle dichiarazioni delle pubblicità, che a quelle degli amministratori delegati.

 

L’industria delle pubbliche relazioni dopotutto si affermò poi in modo tale poiché, come Noam Chomsky ha fatto giustamente notare,

 

N. Chomsky
N. Chomsky

« la comunità imprenditoriale [statunitense] era […] davvero molto impressionata dallo sforzo della propaganda. Avevano un problema [negli anni ’20]. Il paese stava diventando formalmente più democratico. Molte persone in più erano in grado di votare e quel tipo di cose. Il paese stava diventando più benestante e più persone potevano partecipare e molti nuovi immigranti stavano arrivando, e così via. Così, che fai? Diventa più difficile gestire le cose come un club privato. Di conseguenza, ovviamente, devi controllare quel che le persone pensano.  » 

 

Benché i cosiddetti “cospirazionisti” dunque possano assumere atteggiamenti mentali che sfociano nel patologico – visto il carattere della teoria che hanno costruito, che implica l’azione efficiente di più attori, dotati di un potere che si presume pressoché illimitato, poiché al limite massimo controllano la stragrande maggioranza degli eventi che avvengono e ne manipolano la narrazione per mascherare non solo il loro coinvolgimento, ma eventualmente anche la loro esistenza – tali atteggiamenti sono chiaramente risultato della consapevolezza, per quanto oscura e confusa, di trovarsi in un tale sistema in cui la propaganda «è universale è continua; e nella sua somma totale è l’irreggimentazione della mente pubblica in ogni sua piccola parte tanto quanto un esercito irreggimenta i corpi dei suoi soldati» (ibid. p. 25). Questa consapevolezza è poi rafforzata da molti altri fattori. Non solo tali condizioni di vita nella società vi hanno un’influenza, ma anche appunto la struttura organizzativa in essa, e l’ordine istituzionale che sostiene queste condizioni di vita e struttura. 

Guy Debord (1931-1994)
Guy Debord (1931-1994)

È molto significativo notare che Guy Debord, di cui si è detto altrove, rilevasse alla fine degli anni ’80, nei Commentari al suo La società dello spettacolo, che «nel 1967 [tale società] aveva poco più di una quarantina d'anni dietro di sé; ma spesi assai bene». Egli dunque riporta i prodromi del dominio spettacolare conclamato dello scientismo proprio agli anni in cui Edward L. Bernays fondava l’industria delle pubbliche relazioni, e la classe dominante negli Stati Uniti si adoperava per non perdere alcuna delle sue prerogative, integrate alla struttura dell’organizzazione della comunità. 

 

La diffusione della propaganda, come effetto collaterale dell’affermazione dello spettacolo, ha infatti sempre maggiormente posto all’attenzione dell’opinione pubblica soltanto una parte dell’insieme di tale organizzazione limitandosi a mostrare ciò che favorisce e promuove l’agenda politica e sociale della classe dominante, e omettendo del tutto qualsiasi informazione sul reale rapporto di forze vigente tra gli attori determinanti nei processi decisionali. Quando noi vediamo il Presidente di questo o quel Paese prendere posizione su una o l’altra questione, siamo indotti, dalla sua propria narrazione, a credere che egli, o ella, siano autonomi in tale decisione, e pertanto siano pienamente e direttamente responsabili di ciò che conseguirà alle loro parole. Ma ciò non è affatto vero, sebbene essi nemmeno subiscano, strettamente parlando, una costrizione: ciò che questi individui fanno è dovuto al senso di appartenenza ad un certo settore della società – la classe dominante – i cui membri condividono certe idee e giudizi riguardo alla totalità di essa. Tutto questo poi, è avvenuto in un periodo in cui la mole di informazioni è venuta incrementando in modo esponenziale, nel movimento di riordinamento della società secondo il criterio spettacolare, compiuto dallo scientismo per mezzo della tecnologia. È grazie ad essa che quelle informazioni, pur non essendo affatto celate, possono passare inosservate nel continuo diluvio di immagini e parole riguardanti i fatti più insignificanti presentati come i più salienti per la vita umana.

 

È impossibile dopotutto negare l’esistenza della Trilateral Commission o del Bilderberg Group: associazioni di individui tra i più influenti nella sfera economica e finanziaria mondiale che incontrano annualmente – in sedi appartate per colloqui dei quali si conoscono gli argomenti, ma il cui resoconto non viene reso pubblico – i maggiorenti dei vari Paesi, membri dei Governi e dei Parlamenti, delle Banche centrali e non, giornalisti, intellettuali, professori e studiosi, dei più vari campi e interessi. Senz’altro, gli organizzatori di tali incontri non fanno questo per il benessere comune, ma per il loro interesse, e tale dinamica è presente in molte altre manifestazioni nella società, a livello più o meno elevato nella scala gerarchica. Vi è così la percezione di una iniquità di fondo nella gestione del potere, ai cui amministratori una parte della popolazione può avere accesso privilegiato e diretto, senza che nessuno sia in alcun modo tenuto a rispondere di nulla di ciò che si possa intraprendere in tali occasioni mondane, laddove le dichiarazioni ufficiali di Governi e Istituzioni negano in effetti che vi siano tali privilegi e affermano vacuamente una realtà fittizia di eguaglianza ipotetica e analoghe possibilità per chiunque.

 

Oltre a ciò, in quest’epoca di ipertrofia dell’informazione, è sempre più venuta allo scoperto un’altra grande contraddizione, ciò di cui il sig. Debord aveva già detto: il segreto generalizzato. Esso caratterizza l’attività delle istituzioni statali, e ammanta di mistero la maggior parte delle dinamiche che governano gli eventi e le deliberazioni capitanate dalla classe politica.

 

Meeting della Trilateral
Meeting della Trilateral

 

Fatti come: la diffusione capillare delle lobby, i gruppi di pressione; la classificazione top secret dei documenti; lo stretto interscambio tra classe politica e classe imprenditoriale – regola cardine negli Stati Uniti d’America, dove il signor Rex Tillerson è rimasto amministratore delegato di Exxon Mobil fino alla sua nomina come Segretario di Stato, cioè Ministro degli Esteri, ma che vediamo così spesso anche qui in Italia – sono quelli principali per cui la consapevolezza di cui sopra si nutre e prospera, creando terreno fertile per le cosiddette “teorie cospirazioniste”.

 

SPECOPS
SPECOPS

Ciò che è pubblico, delle istituzioni statali e dei loro atti, è infatti soltanto una parte, tendenzialmente minoritaria, del tutto. I reparti delle Special Operations (SPECOPS) dell’esercito degli Stati Uniti presenti sotto copertura in più di 80 nazioni, e le Psychological Operations (PSYOPS) messe in atto in tutto il mondo sono esempi paradigmatici di questo carattere dell’ordine delle istituzioni. Tali operazioni infatti sono condotte sempre in segreto, autorizzate ai massimi livelli della gerarchia al di fuori del controllo della cosiddetta società civile o dei suoi rappresentanti. La realtà che lo spettacolo racconta esclude dal suo resoconto tali fatti, e molti altri, così come non ci informa che i discorsi dei politici sono scritti da altri che loro stessi: questa è propriamente un’istanza della falsificazione del mondo che la società dello scientismo promuove ed opera.

 

È chiaro che tutto questo non giustifica in toto l’attitudine cospirazionista; e tuttavia è altrettanto chiaro che in tali circostanze sono in essere tutte le condizioni della possibilità del suo sorgere come funzione del processo storico in cui si è inscritta. Essa poi ha rivelato di possedere una funzione estremamente utile al movimento dello spettacolo, e quindi al perpetuarsi del sistema economico capitalista e del dominio culturale esercitato dallo scientismo per mezzo della tecnologia. Infatti, le “teorie cospirazioniste” si affidano all’idea che tutti gli eventi significanti che accadono siano guidati e manipolati da un  ristretto gruppo di individui, che controlla tutti gli attori determinanti su scala planetaria e che ha un progetto criminale che persegue come sua attività principale. Tali teorie poi, a ben vedere, sono anche il risultato di un movimento di rimozione psicoanalitica, per il quale il concetto di un essere che governa e domina l’intero universo – cioè “Dio” – pur essendo stato rimosso dalla consapevolezza nella mente, non per questo ha cessato di esercitare la sua azione efficiente.

Esse però sono di grande utilità al sistema che le ha prodotte: la loro stessa presenza rende possibile da una parte, la continua reiterazione della affidabilità della versione istituzionalmente approvata dei fatti; dall’altra, la negazione ufficiale, ripetuta instancabilmente dai media generalisti e dalle dichiarazioni ufficiali delle istituzioni, che vi sia un qualsiasi sforzo globale, coordinato a tutti i livelli, mirato non al benessere comune, ma agli interessi soltanto di una parte della comunità. Rende possibile cioè negare la realtà della guerra di classe, non solo negando che sia in corso, ma anche obliterando il concetto stesso dalla mente collettiva della società. Ciò per la classe dominante è di enorme vantaggio, poiché favorisce la dissoluzione della coscienza di classe nella popolazione e ne promuove la frammentazione e l’isolamento. Questo è il risultato dell’assoggettamento completo della popolazione all’economia e dunque allo spettacolo – e alle merci che ne trasportano il messaggio – nel quale è reale soltanto ciò che appare, e quel che appare è determinato dall’influenza del capitale, e quindi dei capitalisti, sul processo produttivo e distributivo. La guerra di classe tuttavia non è una “teoria cospirativa” come i media generalisti potrebbero affermare, laddove ovviamente si degnassero di considerare la questione, ma una realtà che prosegue incessantemente giorno dopo giorno da lunghissimo tempo, che viene tuttavia passata sotto silenzio in modo sistematico. È fondamentale comprendere «la scala straordinaria degli sforzi propagandistici “per indottrinare le persone con la storia capitalista”, e la devota auto-coscienza con cui “la infinita battaglia per le menti degli uomini” è condotta», che come il prof. Chomsky sottolinea,

 

« è una questione di una tale incredibile significanza nel ventesimo secolo che dovrebbe essere un focus principale. Ci siamo immersi tutto il tempo. Spiega molto. Gli Stati Uniti sono differenti da altri paesi in questo rispetto. Hanno una comunità imprenditoriale con una coscienza di classe molto più spiccata, per tutta una serie di ragioni storiche. Non si sviluppò dal feudalesimo e dall’aristocrazia. Così non c’erano fattori conflittuali che esistevano in altri luoghi – l’altamente conscia comunità imprenditoriale […] che combatte una rancorosa guerra di classe, e molto consapevole di ciò. […] Non spendono miliardi di dollari all’anno in propaganda solo per divertimento. Lo fanno con uno scopo. Per lungo tempo lo scopo era resistere e contenere i diritti umani e la democrazia e l’intera cornice del welfare state, il contratto sociale, che si era sviluppato negli anni. Volevano contenerlo e limitarlo. Ora sentono, nel periodo corrente, che possono realmente riportarlo indietro. Si slancerebbero indietro alle industrie sataniche, ammazzando i poveri, sostanzialmente la struttura sociale del primo Ottocento. Questa è la situazione in cui siamo proprio adesso. Queste enormi offensive propagandistiche sono una parte principale di questo. »

 

H. Clinton a Wall Street
H. Clinton a Wall Street

 

I segni della guerra di classe così sono ben noti e riportati dai media, e tuttavia non mai sono collegati insieme nell’ordine che, propriamente loro, consente di comprenderli in un movimento generale.

 

La globalizzazione – della quale la migliore comprensione è stata data dal Subcomandante Marcos – con la leva ricattatoria della delocalizzazione; le crisi sistemiche da cui i capitalisti sono salvati con il denaro pubblico, e le cosiddette “jobless recoveries” che statisticamente le seguono; il conseguente processo di privatizzazione di risorse e profitti e di socializzazione di rifiuti e perdite; gli oltre due milioni (2.000.000) di caduti sul lavoro ogni anno in tutto il pianeta come affermato in un rapporto dell’International Labor Organization, e gli zero caduti tra i dirigenti e amministratori delegati; la militarizzazione della polizia e l’influenza del capitale nelle cause portate contro aziende e corporazioni per danni all’ambiente, alla salute, al patrimonio; la repressione violenta da parte di un potere sordo di tutti coloro che si oppongono in qualche misura alla continua prevaricazione del benessere comune, allo scopo di affermare le prerogative della classe imprenditoriale capitalistica, come nel caso delle cosiddette Grandi Opere, o della famigerata Dakota Access Pipe Line, sono tutte istanze ben più che evidenti dell’incessante attacco a cui la classe lavoratrice è sottoposta, spesso, grazie alle magie della tecnologia e dell’informazione scatenata, senza nemmeno rendersene conto.

 

15 ottobre 2017

 




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