L'inettitudine umana de "La coscienza di Zeno"

 

Zeno Cosini, protagonista dell'opera "La coscienza di Zeno", è l’emblema della schizofrenia dilagante, che paralizza la capacità di azione umana, rendendo l’uomo schiavo di se stesso, privo della forza di reagire alle sue debolezze e contraddizioni.

 

di Alessandra Zen 

 

René Magritte, "Decalcomania" (1966)
René Magritte, "Decalcomania" (1966)

 

La coscienza di Zeno, opera di Italo Svevo pubblicata nel 1923, risulta l’emblema della condizione umana postmoderna, immersa all’interno delle proprie contraddizioni e ambiguità.

 

L’opera si fonda sugli assunti della psicoanalisi freudiana, diffusasi proprio nei primi decenni del Novecento. Il protagonista dell’opera, Zeno Cosini, rappresenta l’inettitudine umana, all’interno di una prospettiva che rende sempre più labile il confine tra “salute” e “malattia”. Le asserzioni di Freud contribuiscono, infatti, a diffondere la convinzione che nessuno possa percepirsi come escluso dalla malattia mentale. La dicotomia salute-malattia appare un tema centrale dell’opera, palesato dall’analisi introspettiva del protagonista che l’autore compie. Nelle pagine si susseguono i pensieri di Zeno, in una forma che, di molto, si avvicina al “flusso di coscienza”, tecnica narrativa utilizzata dall’irlandese James Joyce, con cui Italo Svevo, peraltro, aveva dei contatti.

 

Lo “stream of consciousness” (“flusso di coscienza”) rappresenta uno degli strumenti più efficaci di esplicitazione del pensiero umano. Quello di Zeno Cosini risulta permeato di profonde contraddizioni, che gli impediscono di compiere scelte fondate e di miglioramento del Sé. Nel capitolo dedicato alla dipendenza dal fumo, i propositi di smettere appaiono costantemente vani e fallaci, tanto da indurre il protagonista a una situazione di perenne frustrazione, generata dal proposito di riscatto e dalla sua mancata realizzazione. Nel capitolo Il fumo si legge:

 

« Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione. »

 

Edgar Degas, "L'assenzio" (1875-1876)
Edgar Degas, "L'assenzio" (1875-1876)

  

Zeno Cosini è l’emblema della schizofrenia dilagante, che paralizza la capacità di azione umana, rendendo l’uomo schiavo di se stesso, privo della forza di reagire alle sue debolezze e contraddizioni. Anche nell’ambito matrimoniale Zeno non sceglie, ma si lascia scegliere. Egli evita sistematicamente il rischio, creandosi un involucro di ipocondria e malattia immaginaria, che gli consente di assumere una posizione di neutralità nei confronti dei conflitti esistenziali. Anche l’aspetto sentimentale è permeato di ambiguità, in un andamento altalenante: del resto, se gli stessi pensieri mancano di coerenza, anche i sentimenti subiranno l’influenza della contraddittorietà.

 

L’opera termina, non con una risoluzione dei conflitti interiori, bensì con l’affermazione della schizofrenia e della malattia; Svevo sembra quasi voler affermare l’inesorabile declino della condizione umana, afflitta dalla malattia, che costituisce l’identità più autentica di Zeno Cosini. Nemmeno la psicoanalisi ha ristabilito l’ordine e l’equilibro nel protagonista, il quale, nell’ultimo capitolo del libro, afferma:

 

« Da un anno non avevo scritto una parola, in questo come in tutto il resto obbediente alle prescrizioni del dottore il quale asseriva che durante la cura dovevo raccogliermi solo accanto a lui, perché un raccoglimento da lui non sorvegliato avrebbe rafforzato i freni che impedivano la mia sincerità, il mio abbandono. Ma ora mi ritrovo squilibrato e malato più che mai e, scrivendo, credo che mi netterò più facilmente del male che la cura m’ha fatto. Almeno sono sicuro che questo è il vero sistema per ridare importanza ad un passato che più non duole e far andar via più rapido il presente uggioso. »

 

René Magritte, "Il doppio segreto" (1927)
René Magritte, "Il doppio segreto" (1927)

La coscienza di Zeno si lega indissolubilmente ad altre opere dell’Ottocento e del Novecento, tra cui si ricordano Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde e Delitto e Castigo di Dostoevskij, per la ragione che in entrambe si ravvisano i tratti della decadenza umana. Dorian Gray è un’immagine doppia, la cui specularità annida la perdizione sociale e culturale. Oscar Wilde sembra aprire la stagione del Postmoderno, degenerazione dell’Estetismo. È con il mantra del godere di qualsiasi esperienza senza controllo che ha inizio la decadenza della morale e della giustizia, declino che condurrà all’insorgere di una profonda angoscia nell’uomo, testimoniata nel capolavoro dostoevskiano Delitto e castigo.

 

L’uomo si trova, così, invischiato in un circolo vizioso, in cui il superamento dei conflitti interiori si arresta di fronte alla stessa contraddittorietà e conflittualità dell’animo umano. Ne può soltanto scaturire una profonda tragicità, ampiamente palesata in Delitto e castigo e in La coscienza di Zeno.

 

23 novembre 2018

 








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