La questione del divenire nella disputa tra Bontadini e Severin0

 

Allo scontro Bontadini – Severino è possibile dare una data formale d’inizio, cioè il 1964, e una di fine, il 1984. In questo ventennio si è consumato lo scambio di lettere e di saggi tra il Maestro (Bontadini) e il Discepolo (Severino), anche se il loro confronto e scambio d’idee non può essere di certo confinato entro questi limiti temporali. Severino è stato allievo di Bontadini, sicuramente il più illustre, e con lui si laurea in filosofia all’Università degli Studi di Pavia nel 1950.

 

René Magritte, "La firma in bianco" (1965)
René Magritte, "La firma in bianco" (1965)

 

Nel 1964, tra le pagine della Rivista di filosofia Neo-scolastica, esce lo scritto di Emanuele Severino Ritornare a Parmenide (R.P.) È un saggio che porta con sé clamore sin da subito. La critica di Severino coinvolge la tradizione metafisica Occidentale, il Maestro Gustavo Bontadini e la Chiesa. Nessuno può sottrarsi alla sua critica, tutti sono accomunati dallo stesso errore.

 

« La storia della filosofia occidentale è la vicenda dell’alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell’essere, inizialmente intravisto dal più antico pensiero dei Greci. » (E. Severino, Ritornare a Parmenide)

 

Tutta la metafisica si è sbagliata, ad eccezione di quella di Parmenide, proprio quel Parmenide su cui il Maestro Bontadini ha fondato la metafisica, di cui però non ha colto il significato più profondo. «Il gran segreto sta pur sempre in questa povera affermazione che “L’essere è, mentre il nulla non è”.» (Ivi) L’essere è ciò che si oppone al nulla, è questo opporsi. I principali filosofi – Severino cita Platone e Aristotele – sono ambigui nell’intendere questa verità: ad esempio lo Stagirita nel Περὶ ἑρμηνείας sostiene: «Che ciò che è sia, quando è, e ciò che non è non sia, quando non è, risulta certo necessario; non è però necessario, che tutto ciò che è sia, né che tutto ciò che non è non sia.» (Aristotele, Dell’espressione) Per Severino già da queste parole emerge il tramonto dell’essere. Cosa vuol dire “quando l’essere non è”? Il filosofo di Brescia risponde così:

 

« “l’essere che non è” quando non è, non è altro che l’essere fatto identico al nulla, “l’essere che è nulla”, il positivo che è negativo. “L’essere non è” significa precisamente che “l’essere è il nulla”, che “il positivo è il negativo”. » (E. Severino, Ritornare a Parmenide)

 

Siamo al tramonto dell’essere, ovvero, per Severino, dell’intera storia della filosofia Occidentale: il sostenere la possibilità che l’essere un tempo fosse ed ora non è più: il positivo è il negativo. Il pericolo del discorso aristotelico consiste nel «l’acconsentimento che si dia un tempo in cui l’essere non è il nulla (quando è) e un tempo in cui l’essere è nulla (quando non è), l’acconsentimento che l’essere sia nel tempo.» (Ibid.)

 

La lettera di risposta di Bontadini non si fa attendere e viene pubblicata nello stesso anno sempre nella Rivista di filosofia Neo-scolastica. 

Il centro della lettera di Bontadini si basa sull’impossibilità che l'essere del divenire sia immutabile. Molto simbolico è l’esempio dei peli della barba di Platone, intesi come enti vili che sono soggetti al divenire e al loro perire. «Da quando ero matricola venendo fino ad oggi, di barbe io ne ho cambiate molte centinaia. Ora, se poniamo che tutte sono immutabili, mi pare che non troverei abbastanza superficie sul mio corpo – quello fissato per l’eternità – per fare posto a tutte.» (G. Bontadini, Σώζειν τα φαινόμενα)

 

Secondo Bontadini, il divenire può essere contenuto legittimamente nell’intelligibile, ma non è possibile attribuirgli sia il predicato di essere immobile che, al tempo stesso, di mobile. Prendendo in esame lo smarrimento in cui sarebbe caduto Aristotele, Bontadini non è per niente d’accordo con Severino nell’interpretare il passo del Περὶ ἑρμηνείας. Bontadini usa sempre la constatazione empirica come arma teoretica, non si muove, per ora, da questo piano.

 

« Aristotele non dice che tutto l’essere può non essere, ossia non attribuisce all’essere come tale la proprietà di poter non essere, ma solo ad un certo essere: quello cui tale proprietà non può essere negata, pena il mettersi in contraddizione con l’esperienza, pena il negare la positività dell’esperienza. » (Ivi)

 

Se l’esperienza risulta contraddittoria, è necessario una realtà che la trascenda. Non è possibile rinunciare all’esperienza, ma serve qualcosa che la salvi. Bontadini ripropone la sua metafisica come strumento per salvare la contraddittorietà dell’esperienza. Parmenide si sbaglia a porre il divenire simpliciter come contraddittorio, ma è utile seguire l’eleate «nell’“avvistamento” di quella contraddizione che si tratta di togliere attraverso una costruttiva interpretazione dell’Intero.» (Ivi)

 

Tornando alla proposta severiniana di R.P. le differenze fanno irruzione nell’essere: mentre in Parmenide le differenza sono da imputare al non-essere, dallo stesso eleate in poi le differenze del molteplice entrano nell’area dell’essere. Questo è possibile perché l’essere viene visto come ciò che è, quando è, e come ciò che non è, quando non-è. Per Severino questa idea «lascia libero l’essere di essere o di non essere; […] proietta su tutto l’essere quanto si constata a proposito delle differenze che hanno fatto irruzione nell’essere; le quali, appunto, ora sono, ma prima non erano, e poi, daccapo, non sono.» (E. Severino, Ritornare a Parmenide)

 

Per Severino le differenze del molteplice vanno ricondotte nella sfera dell’essere, dalla quale non può uscire nulla. L’essere è l’intero, l’essere è il positivo: è questa la verità di Parmenide, ed è anche questa la verità che Parmenide stesso non ha capito e, assieme a lui, Bontadini e tutta la storia della filosofia Occidentale. Tutti, secondo Severino, si sarebbero dimenticati di una necessità fondamentale: «il nulla può essere predicato solo del nulla; […] il “non è” si può dire solo del nulla.» (Ivi) Quando vediamo il foglio di carta bruciare e diciamo che il foglio “non è” ed è diventato cenere, andiamo contro la verità dell’essere, facciamo coincidere il positivo con il negativo. Il divenire, per Severino, è contraddittorio simpliciter, non, come per Bontadini, solo se è posto come originario.

 

« L’immutabilità dell’essere è posta da Parmenide mediante questa sola considerazione: se l’essere diviene (si genera, si corrompe) non è. » (Ivi)

 

L’immutabilità dell’essere nella metafisica classica ha sempre seguito il principio di Melisso: ex nihilo nihil. In Melisso troviamo la dimenticanza del senso dell’essere, infatti la formula melissiana «non prova trasalimento a prospettare la situazione, in cui l’essere non è». (Ivi) Melisso si trova ad escludere che dal nulla possa nascere qualcosa, perché ha già dimenticato il senso dell’essere: cioè l’impossibilità che l’essere non sia.

 

« Sempre era ciò che era e sempre sarà. Infatti se non fosse nato è necessario che prima di nascere non fosse nulla. Ora, se non era nulla, in nessun modo nulla avrebbe potuto nascere dal nulla. » (I presocratici, Testimonianze e frammenti)

 

Secondo Severino, Bontadini si muove all’interno dell’orizzonte di pensiero melissiano. Per Bontadini il divenire non è contraddittorio simpliciter, ma solo se assunto come originario. Ammettendo che il divenire è incontraddittorio, Bontadini lascerebbe irrisolta la contraddizione che vorrebbe togliere nell’originario.

 

Bontadini si difende dalle accuse pervenutegli da Severino: il fatto che egli non abbia affermato la contraddittorietà del divenire non esclude che non lo pensi come tale. Per Bontadini il divenire si presenta come contraddittorio, ma dato che è impossibile porlo originariamente, allora in ultima istanza non è contraddittorio. Serve operare un’introduzione atta a dirimere la contraddizione.

 

« La contraddizione si dirime se il divenire si pensa come derivato, come non-originario; la contraddizione resta insoluta se il divenire si pensa come la totalità del reale e resta ancora insoluta se il divenire è lasciato sussistere accanto all’immutabile, cooriginario a questo (la situazione greca). » (G. Bontadini, Σώζειν τα φαινόμενα)

 

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Per approfondire lo scontro Bontadini – Severino leggi la sezione del saggio di A. Lombardi Il volto epistemico della filosofia italiana interamente dedicata alla discussione e confronto con i pensatori contemporanei.

 

 

 


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Nell’ultima parte di R.P. Severino deduce il concetto di Dio dalla struttura del reale. L’essere è e non può non essere, dunque Dio, che è l’intero del positivo, lo si può indentificare con la proposizione “L’essere è”. Dio è l’immutabile, l’essere in quanto essere e dunque trascende l’essere diveniente. D’altra parte però l’essere diveniente non è nulla, ma è una positività posseduta dall’immutabile. Severino si fa portatore di un panteismo eternalista: non è necessario ricercare Dio, perché l’abbiamo a disposizione da sempre, è l’essere, tutto l’essere, ciò che è e non può non essere. 

 

« Il trasceso […] non è un nulla per il fatto che la sua positività è precontenuta e per sempre salvaguardata dal trascendente: se tutto ciò che è nel mondo è eternamente in Dio, non per questo il mondo è nulla: è nulla come novità o incremento rispetto a Dio. » (E. Severino, Ritornare a Parmenide)

 

Per Severino la proposizione “L’essere è l’essere” ha quindi due significati: il primo porta a vedere l’essere come l’intero immutabile del positivo, ciò che trascende il divenire; il secondo vede l’essere contenere anche il divenire, quindi l’immutabile è solo un contenuto dell’essere, non il contenuto. Secondo Bontadini non si tratta di due significati diversi, ma di due tesi diverse: la prima è falsa perché il trascendentale (l’essere) sarebbe il trasceso e dunque il mondo dell’esistenza sarebbe il nulla. Per il Maestro, una volta che Severino constata l’impossibilità che l’esistenza sia il nulla, si trova a dover portare avanti la seconda. In questo modo però non assolve l’obbligo di sanare la contraddittorietà del divenire e questo è un problema per Bontadini.

 

« L’essere come tale fa posto o non fa posto al divenire. […] E se, rifiutando la prima tesi, accedi alla seconda, e vera, Ti resta però l’obbligo di sanare la contraddizione di quel divenire, cui in tal modo hai concesso ospitalità. Obbligo cui, invece, non assolvi; e cui assolvere non potresti se non rinnegando il Tuo splendido errore. » (G. Bontadini, Σώζειν τα φαινόμενα)

 

Nel Poscritto di R.P., pubblicato in Rivista di filosofia Neo-scolastica nel 1965, Severino risponde alla lettera di Bontadini e continua ad interrogarsi circa l’immutabile. Come si concilia la portata del suo significare con il suo effettivo manifestarsi? Infatti l’immutabile si rivela, nell’apparire, solo in parte, si dà come processo e quindi il suo manifestarsi è un cenno. In quanto parte non può non darsi e non può non essere avvolta dal tutto, altrimenti si dovrebbe affermare che l’essere (la parte o il tutto) non sia.

 

« La parte è ciò che è nel tutto, ossia al significato – fiore, casa, stella – appartiene necessariamente il trovarsi nel tutto. Se quindi la parte appare, ma non appare il tutto in cui la parte dimora, ciò che allora appare non è la parte nel significato concreto che ad essa compete in quanto dimorante nel tutto, ma è un significato diverso dal significato concreto. » (E. Severino, Poscritto)

 

Da una parte ciò che appare non si dà come tutto, ma solo come parte, quindi la parte che appare non appare nel suo essere nel tutto; dall’altra tutto ciò che appare appartiene al tutto, quindi è immutabile. Tutto ciò che appare è diverso dall’essere perché si dà solo in parte, ma è allo stesso tempo l’essere in quanto astrattamente manifesto. Ciò che appare non aggiunge nulla all’essere, perché è l’essere stesso, ma allo stesso tempo differisce dall’essere perché non si rivela in tutta la sua pienezza.

 

« La differenza ontologica è così la differenza tra l’essere e l’esserci, ossia tra l’essere in quanto tale e l’essere in quanto astrattamente manifesto. Il mondo (ciò che appare) è Dio in quanto si rivela nella coscienza finita (la cui finitezza è appunto il suo valere come un apparire astratto dell’essere). Ma la coscienza finita (l’apparire attuale) è essa stessa, proprio in quanto non è un niente, un momento dell’immutabile, ma – in quanto totalità dell’apparire – non appare nemmeno come diveniente. » (Ivi)

 

Nel Poscritto Severino va definendo, in modo più accurato, la sua posizione circa il divenire. A partire da questo articolo, l’esperienza non attesta più qualcosa di contrario alla verità dell’essere, a differenza di R.P. dove l’esperienza era vista come qualcosa di aporetico.

 

« Quest’ombra è immutabile, e quest’ombra diviene; è impossibile che quest’ombra non sia, e quest’ombra non era, ed ora non è già più. Non conduce allora la verità dell’essere alla più insanabile aporia, alla più irreparabile frattura del sapere? Se l’essere, in quanto essere, è immutabile, il divenire dell’essere è impossibile; ma questa impossibilità è proprio il contenuto dell’apparire. » (Ivi)

 

Per Severino, il divenire non deve essere inteso come la nascita e la morte dell’essere, ma come il suo comparire e scomparire. Se visto nei termini dell’apparire, il divenire non è più contraddittorio con l’immutabilità dell’essere. L’immutabile, nel manifestarsi del divenire, è eternamente anche quando ancora non appare.

 

« Non appare che l’essere esca e ritorni nel nulla, bensì l’essere appare e scompare. Questi apparire e scomparire devono essere interpretati come l’essere e il non essere delle cose, solo qualora si affermi che la totalità dell’essere coincide con l’esser che appare. Allora, l’entrare e l’uscire dell’apparire significano certamente diventare essere e diventare nulla. » (Ivi)

 

Questo discorso si presta subito ad un’obiezione che Severino provvede a ricusare. Nel sopraggiungere e nel dileguarsi dell’apparire, non si ha il non-essere dell’apparire e quindi l’aporia rimarrebbe irrisolta? La risposta di Severino è no, perché «il comparire e lo sparire di qualcosa è insieme il comparire e lo sparire dell’apparire del qualcosa». (Ivi)

 

Bontadini risponderà nello stesso anno, il 1965, sempre nelle pagine della Rivista di filosofia Neo-scolastica, con un articolo intitolato Postilla. A proposito del residuo del divenire, fa notare come questo sia ineliminabile: «Se, infatti, io posso disgiungere, in un senso determinato, la carta dal suo apparire – in quanto affermo che esiste anche fuori dall’apparire – non posso disgiungere l’apparire dall’apparire, ossia da se stesso, affermfaando che l’apparire (della carta) esiste anche fuori dell’apparire (cioè fuori da se stesso!).» (G. Bontadini, Postilla)

 

Riguardo all’“aporia della barba del melissiano”, secondo cui il melissiano che porta eternamente la barba all’istante a, non può essere lo stesso melissiano che porta eternamente la barba all’istante b, Bontadini si domanda perché necessariamente al melissiano a debba succedere il melissiano b. Infatti, se il melissiano b è tutt’altra cosa dal melissiano a, perché al melissiano a non può succedere ad esempio un tubo di stufa, ma deve proprio succedere il melissiano b?

 

Il 1968 è l’anno della Risposta ai critici, pubblicata da Severino sempre nella Rivista di filosofia Neo-scolastica. Severino fa notare a Bontadini che la sua critica – apparsa nella Postilla – non tiene conto della differenza tra divenire empirico e trascendentale. 

 

« Nell’espressione “l’apparire sparisce”, il termine ‘apparire’ compare dunque in due significati diversi. Non vuol dire che l’apparire non è più apparire, che cioè si è consumato, spento, ma vuol dire che l’apparire empirico non appartiene più al contenuto dell’apparire trascendentale, esce da questo contenuto (ma continuando ad esistere in eterno). » (E. Severino, Risposta ai critici)

 

Riguardo all’aporia della barba del melissiano Severino risponde: «nel contenuto che appare ciò che comunemente vien detto ‘individuo’, ‘cosa’ è in effetti l’identità o unità di un molteplice, cioè è un’essenza, che si rapporta a un certo molteplice, così come l’essenza ‘uomo’ si rapporta ad un molteplice più eterogeneo.» (Ivi)

 

Quale è il punto d’arrivo, circa il divenire, nel dibattito tra Bontadini e Severino? In fin dei conti Bontadini non ritiene il dato dell’esperienza come alcunché di contraddittorio, dal momento in cui è riscattato dal Principio di Creazione. L’esperienza simpliciter si presenta come contraddittoria, ma nell’ontologico è sanata: quindi il negativo nella sua funzione plastica non è più presente, neanche nel divenire. Da qui in avanti l’ente non sarà più annientato, in quanto soggetto al divenire, ma immutabile ed eterno, perché originariamente riscattato dal Principio di Creazione. Il problema, nel punto d’arrivo di Bontadini, è l’ammettere che sia possibile un qualcosa di contraddittorio, anche se solo dal punto di vista fenomenologico: infatti questo equivale a dire che nella realtà sussiste la contraddizione. Secondo Enzo Sisti non è però possibile dire che Bontadini si sia piegato totalmente a Severino, perché la contraddizione, anche se in un secondo momento viene tolta, è insostituibile ai fini dell’inferenza.

 

« È qui dunque che la differenza tra Bontadini e Severino rimane a nostro avviso insormontabile: il presunto “arrendimento alla verità dell’essere” che Severino e la critica successiva, imputa a Bontadini a partire dal ’65, in realtà non avviene per la semplice ragione che egli non acconsente nemmeno per un attimo al fondamento ontologico per cui il non essere dell’essere è l’assurdo dell’essere. Al contrario infatti, coerentemente alla prima formulazione del teorema, Bontadini ribadisce la fondamentalità del principio logico (la cui successiva ontologicità è fuori discussione, ma solo in quanto il dire intenziona necessariamente l’essere) riaffermando l’insostituibilità della contraddizione, e non già l’assurdo della stessa, per la realizzazione dialettica dell’inferenza. » (E. Sisti, La funzione della contraddizione nella metafisica di Gustavo Bontadini, in Bontadini e la metafisica)

 

1° luglio 2020

 








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