La filosofia è l'ovvio dei popoli

 

Ovvio, etimologicamente, viene dal latino obvius che significa «che va incontro». Contrariamente al banale, che indica una proprietà che è comune ma contingente e di cui si può fare a meno, l’ovvio, venendoci incontro, è ciò che non può essere evitato e che quindi si impone a noi in maniera inevitabile. Non importa se ci voltiamo da una parte o dall’altra: l’orizzonte entro cui ci muoviamo si ripresenterà sempre a noi, e muovendoci andremo sempre incontro a questo orizzonte inevitabile

 

di Alberto Giuseppe Pilotto

 

G. De Chirico, "Il cervello del bambino" (1914)
G. De Chirico, "Il cervello del bambino" (1914)

 

Gli ultimi 150 anni di cultura occidentale hanno visto una graduale seppur continua riduzione dello spazio lasciato alla discussione filosofica. Le scienze, naturali ed umane, si sono sempre più distaccate da quel grande corpo rappresentato dal sistema filosofico delle scienze, che aveva trovato in Hegel la sua ultima e più grande sistemazione. Dopo Hegel, come rilevò lo stesso Marx nel famoso undicesimo punto delle Tesi su Feuerbach, non si è più trattato di comprendere il mondo, ma di trasformarlo. Secondo questa prospettiva si dovrebbe cessare di riflettere filosoficamente intorno al mondo e al suo senso (ammesso e non concesso che la filosofia sia solo comprensione del mondo, e che da tale comprensione non possa derivare una spinta al cambiamento). Ma da questo momento in poi la filosofia avrebbe dovuto essere “filosofia della prassi”, orientandosi verso il controllo e la trasformazione del mondo, e scivolando così in un certo senso all’interno dell’orbita del pensiero tecno-scientifico che in quegli anni si andava sviluppando enormemente e che ha nel controllo del mondo il suo fine ultimo.

Proprio da Marx viene un’altra famosa affermazione, quella secondo cui «la religione è l’oppio dei popoli», contenuta proprio nell’introduzione di un manoscritto di critica nei confronti della filosofia hegeliana, intitolato Per la critica della filosofia del diritto di Hegel.

Come si sa, la religione e la filosofia sono per Marx formazioni appartenenti alla cosiddetta sovrastruttura, atte a giustificare la presenza di una determinata struttura, ossia di un determinato insieme di rapporti economici all’interno di una società.

 

Gli attacchi di Marx contro l’ideologia fanno parte di quella corrente che Paul Ricœur in Dell’interpretazione. Saggio su Freud chiama “Scuola del sospetto”, con i suoi ulteriori illustri esponenti, Nietzsche e Freud. Secondo la ricostruzione di Ricœur, gli autori appartenenti a questa scuola, per quanto eterogenei, avrebbero in comune il fatto di aver svolto un ruolo fondamentale all’interno della storia della filosofia, svelando come in realtà questa, insieme alla religione, abbia avuto un ruolo fondamentale nel sostenere un certo tipo di ideologia.

 

Quello di cui i maestri del sospetto non si resero pienamente conto è che la filosofia, per il modo in cui è andata sviluppandosi all’interno del pensiero occidentale, non opera in realtà una mistificazione del mondo, ma è un pensiero che fa emergere il "mondo” come qualcosa di dotato di un certo senso: un senso che il pensiero filosofico, contrariamente al mito, vuole che sia incontrovertibile e determinato. Da questo punto di vista, anche i maestri del sospetto vogliono che il loro discorso abbia un senso determinato e non un altro, e per di più desiderano esprimere un discorso “vero”, assolutamente vero, intorno al mondo. Se secondo la loro tesi la verità è una semplice costruzione (una sovrastruttura) ulteriore rispetto alla realtà fondamentale costituita dalla struttura economica, dalla volontà o dall’inconscio, rimane per loro il problema di mostrare come la verità della loro stessa tesi possa sfuggire a questo condizionamento da parte della struttura economica, della volontà o dell’inconscio: siccome il loro discorso vuole essere “vero”, essi devono saper mostrare come non sia anch’esso il semplice risultato contingente di un processo che si svolge al di là della verità, ma anzi come esso rispecchi con verità il processo originario dell’esistenza. Insomma, anche i maestri del sospetto devono saper mostrare come la tesi da loro sostenuta non sia essa stessa il semplice prodotto di quella realtà fondamentale che precede e produce l’ideologia, la filosofia, la religione, ecc. 

Ragion per cui, nonostante il tentativo di smascherare la vera essenza mistificatrice della filosofia, se gli esponenti della scuola del sospetto vogliono esprimere un discorso che abbia un significato determinato e non uno qualsiasi, che abbia una coerenza, che sia incontrovertibile, insomma, che sia vero, essi sono costretti ad entrare nel terreno della filosofia. E questo perché, volenti o nolenti, il senso del mondo all’interno del quale si muovono e le categorie con le quali pensano il mondo è stato inaugurato dalla filosofia stessa. Per combattere la filosofia si ha da entrare nel suo campo di battaglia, la filosofia gioca sempre in casa qualora si voglia fare un discorso vero e che miri a non contraddirsi, perché è il luogo ove la contraddittorietà e la verità vengono tematizzate e definite. Al di fuori di questo terreno, vi è il terreno della follia, dove non trova spazio un’univocità di senso e dove quindi non è possibile sostenere una posizione assolutamente fondata.

 

Negli ultimi 150 anni di storia occidentale, invece, è stato prestato parecchio credito a queste posizioni, che da un lato hanno contribuito a portare avanti l’autocritica e la comprensione che la filosofia ha di se stessa, ma dall’altro hanno avuto anche l’effetto di delegittimare i risultati della filosofia, fino ad essere presentati come “favola” o frutto dell’ingegno, che nella realtà non trovano riscontro. Però, come abbiamo appena detto, queste critiche alla filosofia si muovono ancora sul terreno della filosofia, che ha contribuito a forgiare tutte le armi concettuali alle critiche che le vengono mosse: dallo scientismo al neopositivismo, dalla nozione di esperienza a quella di metodo scientifico, verificabilità e falsificabilità, dal concetto di ideologia a quello di volontà, realtà, produzione, utile, progresso, ecc.

 

L’orizzonte entro cui ci muoviamo ogni giorno, i termini che utilizziamo nei nostri discorsi e gli schemi tramite cui pensiamo, sono profondamente influenzati e debitori della filosofia, tanto da diventare talmente ovvi e condivisi da tutti che risulta difficile riflettervi sopra.

 

G.W.F. Hegel
G.W.F. Hegel

Ritorna quindi quanto Hegel affermava in un celeberrimo passo della Fenomenologia dello Spirito:

 

« Il noto in genere, appunto perché noto, non è conosciuto. Quando nel conoscere si presuppone alcunché come noto e lo si tollera come tale, si finisce con l'illudere volgarmente sé e gli altri; allora il sapere, senza nemmeno avvertire come ciò avvenga, non fa un passo avanti nonostante il grande e incomposto discorrere ch'esso fa. Senza ponderazione, il soggetto e l'oggetto ecc., Dio, la natura, l'intelletto, la sensibilità ecc., vengon posti a fondamento come noti e come qualcosa che ha valore sicuro, e costituiscono dei punti fissi per l'andata e il ritorno; il movimento corre su e giù tra questi punti che restano immoti e ne sfiora soltanto la superficie. Così l'apprendere e l'esaminare consiste soltanto nel vedere se ognuno trovi anche nella sua rappresentazione quello che costoro hanno detto: se proprio gli sembri così, e se così gli sia noto o meno. »

 

La filosofia stessa, oggigiorno bistrattata e ridotta quasi al rango di “favola” o di semplice strumento, costituisce in realtà ciò che è noto, ma che dai più non è conosciuto. La filosofia è l’ovvio dei popoli: essa costituisce quell’insieme di presupposti e dogmi ma anche di categorie e valori, che i popoli mettono a fondamento della loro visione del mondo. Ed in questo senso, la filosofia è anche attività di critica, di autocritica, nei confronti dei suoi stessi presupposti, dogmi, categorie e valori.

 

Ovvio, etimologicamente, viene dal latino obvius che significa «che va incontro». Contrariamente al banale, che indica una proprietà che è comune ma contingente e di cui si può fare a meno, l’ovvio, venendoci incontro, è ciò che non può essere evitato e che quindi si impone a noi in maniera inevitabile. Non importa se ci voltiamo da una parte o dall’altra: l’orizzonte entro cui ci muoviamo si ripresenterà sempre a noi, e muovendoci andremo sempre incontro a questo orizzonte inevitabile.

 

La filosofia è l’ovvio dei popoli perché ogni tentativo di critica nei suoi confronti che desideri porsi al di fuori di essa ma al tempo stesso essere vero, incontrovertibile, è destinato a fallire, perché la filosofia sin dalla sua origine ha sempre cercato di mettere in luce le condizioni per cui un discorso possa dirsi vero ed incontrovertibile. Muoversi al di fuori della filosofia significa perciò muoversi nella non-verità, ed ogni tentativo scientifico compiuto, per non essere solo un mito, deve situarsi nell’orizzonte della filosofia ed accettare quelle condizioni che costituiscono lo sfondo comune di ogni nostro tentativo di conoscenza che voglia avere un fondamento.

 

14 marzo 2022

 








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