Il libro di Ryan Holiday e Stephen Hanselman è capace di parlare a tutti: scritto con linguaggio semplice e accattivante, mira a far emergere le lezioni di vita ancora attuali che i filosofi stoici ci hanno lasciato. A volte, però, nello sforzo di piacere a tutti, viene sacrificato del rigore, finendo per scontentare i lettori di filosofia più esigenti.




La secolarizzazione è una realtà del giorno d’oggi. La ragione domina sopra ogni cosa, eppure l’uomo si sente smarrito: manca di ogni comprensione di sé. Per non sopperire a questo vuoto, si stordisce gettandosi all’esterno, in una ricerca continua senza soluzione. Esiste una cura per tutto ciò?




All’insicurezza della sua condizione esistenziale, l’uomo risponde attraverso l’agire tecnico. La tecnica è intimamente connessa all’uomo, nasce e si sviluppa con esso. Questo suo essenziale legame con l’essere umano è ignorato dal pensiero di coloro che la considerano esclusivamente come un pericolo. Al contrario il pensiero critico, libero dai rigurgiti nostalgici e dai pregiudizi morali, consente di analizzare razionalmente i cambiamenti del nostro tempo e di prevederne le degenerazioni.



Adriana Scribano


Emmanuel Lévinas, filosofo contemporaneo francese di origini ebree, fu fautore di ciò che potremmo definire una vera e propria “rivoluzione copernicana”: egli, destituendo l’io dalla posizione privilegiata assegnatagli da un sistema eretto sul capitalismo, pone al centro l’Altro, l’alterità, che essendo traccia dell’infinito, sfugge alla nostra sfera conoscitiva, ma chiama in causa la nostra responsabilità, mossa appunto, dall’invocazione d’aiuto proveniente dalla vulnerabilità dell’Altro. Il suo sguardo risulta essere visionario in un contesto sociale ove l’io e i suoi spasmodici bisogni sono protagonisti della scena. Egli si fa portatore di un’etica innovativa, libera da qualsivoglia orpello culturale e moralistico.




« Chiamiamo sapere il conoscere mediante dimostrazione. Per dimostrazione, d’altra parte, intendo il sillogismo scientifico, e scientifico chiamo poi il sillogismo in virtù del quale, per il fatto di possederlo, noi sappiamo. » (Aristotele, Analitici secondi, I, 2, 71b)





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