Simone Weil la volontaria sulle muraglie di Spagna

 

La biografia di Simone Weil ha molti tratti misterici e la sua partecipazione alla Guerra di Spagna nei corpi delle Brigate internazionali antifranchiste è uno dei più enigmatici. 

 

di Ludovico Cantisani

 

 

Nemmeno la dettagliatissima biografia redatta non con stile ma con contenuto agiografico dall’amica e studiosa di religioni antiche Simone Pétrement riesce in fondo a spiegare le ragioni di questa scelta, in un momento in cui le riflessioni della Weil già erano molto addentro ai tempi della grazia, della salvezza, dell’amore per il prossimo, sotto l’ombra di una forma particolarissima di cristianesimo. Una cosa era stata, sul finire del 1934, l’andare in fabbrica per capire dal di dentro la condizione operaia: addentrarsi tra le terre di nessuno e le cittadelle della Spagna in piena guerra civile, senza velleità di pacifismo, farlo chiedendosi se si sarebbe vista costretta a sparare, rappresentava un’esperienza completamente diversa, quasi paradossale persino agli occhi della Croce. Eppure Simone Weil, anche quando scavava fino in fondo nelle catacombe perdute della source grecque, aveva saputo non esser mai estranea al suo tempo. «Tutti, anche i più giovani, siamo in una situazione analoga a quella di Socrate, quando attendeva la morte nella sua prigione e imparava a suonare la lira», scriveva in uno dei primi appunti dei suoi Cahiers, risalenti alla prima metà degli anni’30. Ad agosto 1936, la scelta di abbandonare la stasi: Simone Weil lascia Parigi per arruolarsi nelle Brigate internazionali, al fianco dei repubblicani spagnoli.

 

È da questo affascinante episodio della vita di Simone Weil che prende le mosse La volontaria, il nuovo libro di Adrien Bosc, scrittore francese ed editore di Sous Sol, edito in Italia da Guanda. Partendo dai pochi documenti affidabili disponibili sulla permanenza della Weil in Spagna – «note sparse di un Diario della guerra di Spagna affidate a un quaderno Moleskine di cui rimangono trentaquattro paginette, un passaporto con i timbri della Generalitat e del Comitato centrale delle milizie, alcune lettere e qualche fotografia», si elenca nelle prime pagine del volume – Bosc non scrive un saggio ma un vero e proprio romanzo, sia pure intervallato da ampi estratti degli scritti della Weil, a cominciare dalla celebre lettera che la filosofa mandò allo scrittore cattolico George Bernanos rievocando la sua esperienza in Spagna.

 

«Nel luglio 1936 ero a Parigi. Non amo la guerra, ma ciò che mi ha sempre fatto più orrore nella guerra è la condizione di chi rimane nelle retrovie. Quando ho capito che, malgrado i miei sforzi, non potevo fare a meno di partecipare moralmente a questa guerra, cioè di augurarmi ogni giorno, ogni ora, la vittoria degli uni, la sconfitta degli altri, mi sono detta che Parigi per me era la retrovia, e ho preso il treno per Barcellona con l’intenzione di impegnarmi attivamente». Queste poche righe scritte allo sconosciuto Bernanos rappresentano tutto ciò che la Weil volle dire sulle sue motivazioni nel recarsi in zona di guerra, fingendo ai genitori di partire come giornalista anziché aspirante miliziana – e facendo scalo per quella stessa Portbou che soli quattro anni dopo avrebbe rappresentato l’ultima tappa del viaggio di Walter Benjamin in fuga dai nazisti. Alle parole della lettera a Bernanos fa eco un altro passaggio dei suoi Quaderni: «Lasciare libero gioco alle proprie facoltà di azione e di sofferenza. Parallelismo tra Arjuna e il Cristo», sorprendeva la Weil accostando Gesù al figlio di Indra nella mitologia induista, un dio guerriero; per poi dire in una terza persona che sembra così ostinatamente una prima: «Combatterà perché non può arrestare questa guerra, e perché, se essa ha luogo, non può non prendervi parte. Essa è già cominciata».

 

Con paragrafi condensati, evocativi, le pagine di Bosc raccontano le prime impressioni della Weil in Spagna affidandosi soprattutto alle immagini – un addetto alla sorveglianza che dorme coi piedi su una cassa di munizioni, cani randagi, il vento del Mediterraneo che accarezza l’erba. Continuamente Simone Weil propone i piani più avventati non tanto per lanciare offensive, quanto per raggiungere semplici, obiettivi individuali – come quello di salvare Maurín Souvarine, fondatore del POUM rimasto intrappolato oltre le linee durante un attacco franchista. «Il suo piano non andava oltre l’obiettivo, salvare Maurín, mentre la strada che l’avrebbe portata da Barcellona all’eventuale prigione, i falsi documenti e salvacondotti che bisognava procurarsi per attraversare due zone in piena insurrezione, il fatto che non sapesse nemmeno una parola di spagnolo, tutto questo lei preferiva ignorarlo».

 

Già nata per motivazioni enigmatiche, la permanenza della Weil in Spagna finisce anticipatamente, dopo appena una dozzina di giorni, quando inavvertitamente la donna mette il piede in una pentola di acqua bollente. I genitori la raggiungono fortunosamente oltre la frontiera spagnola e la convincono a ritornare in Francia, da dove scrive a Bernanos, da lei ammirato soprattutto per Diario di un curato di campagna e I grandi cimiteri sotto la luna. A leggere la lettera per intero, il vero fulcro emotivo della breve esperienza di Weil in Spagna sembra essere stato la scoperta delle violenze che gli stessi miliziani antifranchisti e comunisti compivano a danni di uomini e ragazzi inermi soltanto sospettati di sostegno al Generalísimo. «Uomini in apparenza coraggiosi durante un pranzo molto cameratesco raccontavano con un bel sorriso fraterno quanti preti o ‘fascisti’ – termine molto ampio – avessero ucciso», raccontava la filosofa allo scrittore. «Per quanto mi riguarda, ho avuto la sensazione che equando le autorità temporali e spirituali hanno posto una categoria di esseri umani al di fuori di quelli la cui vita ha un prezzo, non c’è niente di più naturale per l’uomo che uccidere».

 

«Prendere le armi: pensare a tutto ciò che si perder se si è vinti, e che, se si vince, lo si farà perdere ad altri che si ama come sé stessi. Assumere su di sé questa perdita, lasciare loro ogni licenza, non può essere permesso. Cristo l’ha fatto, ma nella posizione di un semplice privato condannato dalle autorità legittime. Ma se si sente il freddo del ferro, ci si limiterà, anche a prezzo di grandi rischi, lo si deporrà non appena si sia un po’ allontanata la minaccia. Al contatto del ferro bisogna sentirsi separati da Dio, come il Cristo, altrimenti è un altro Dio. I martiri non si sentivano separati da Dio, ma era un altro Dio, e forse sarebbe stato meglio non essere martire», si leggeva in uno dei passaggi più intensi di tutti i Quaderni.

 

Sempre i Quaderni occasionalmente restituivano della Weil una visione radicale della vita interiore, descritta tout court come tentazione. «Si può formulare questa ‘tentazione della vita interiore’ [così]: vincere soltanto le difficoltà che si incontrano – o: affrontare soltanto le difficoltà che si incontrano», è il passaggio più chiaro, che esplicita questo leitmotiv degli appunti weiliani. La scelta – o meglio, il tentativo fallito, perché al di là dell’incidente della pentola sin dai primi giorni era apparso chiaro a tutti i suoi commilitoni che Simone non sapeva armeggiare il fucile – di unirsi alle schiere dei miliziani antifranchisti in Spagna è un episodio della vita della Weil che si presta a tanti ricami, e a tante interpretazioni: una bizzarra e novecentesca rielaborazione, al femminile, del tradizionale concetto del cristiano come miles Christi, che però non regge tanto più che la maggior parte dei preti erano schierati, o perlomeno difesi, nell’altra fazione; una via di lettura più gnostica, che postula quasi il bisogno del peccato e l’attraversamento del male sulla terra per raggiungere Dio, che però si sposa male con le coordinate interiori della Weil, molto più incline a una sua forma personale del cristianesimo refrattaria del battesimo piuttosto che alle seduzioni dello gnosticismo che la sua amica e biografa Simone Pétrement studiò per i decenni a venire dopo la sua morte; una chiave di interpretazione politica di suo non sarebbe scorretta, ma apparterrebbe a una forma di politica indefinibile attraverso facili etichette, tanto più che coevo di composizione alla fugace esperienza in Spagna fu lo scritto Riflessioni sulle cause dell’oppressione sociale, il testo attraverso cui la Weil idealmente tagliava i ponti con ogni marxismo e ogni socialismo.

 

Il vero segreto del senso dell’apparizione di Simone Weil in Spagna forse lo si potrebbe trovare nel cuore dell’opera di William Blake, in quel passaggio da Songs of Innocence a Songs of Experience che divide in due l’esperienza umana. In fuga dall’interiorità e dalle sue tentazioni, Simone Weil in Spagna entra fugacemente in contatto con l’essenza ruvida della guerra, il suo realismo marcio. Quei pochi pregiudizi positivi che ancora conservava circa i suoi compagni di lotta le cadono rapidamente dagli occhi, mentre scopre l’esistenza umana a un livello di nudità e impotenza mai sperimentate prima, neanche in fabbrica – «quell’odore di guerra civile, di sangue e di terrore» di cui avrebbe parlato anche a Bernanos. In Spagna, Simone Weil scopre definitivamente i suoi limiti, fisici, morali, intellettuali, politici e religiosi, e, quel che è più importante, i limiti della sua etica – «c’è mancato poco che assistessi all’esecuzione di un prete: durante i minuti di attesa, mi chiedevo se avrei semplicemente assistito, o se mi sarei fatta fucilare io stessa cercando d’intervenire; non so ancora cosa avrei fatto, se un caso fortuito non avesse impedito l’esecuzione». Vicina a quei campi di battaglia dove la Storia, in quel momento, si stava manifestamente scrivendo, Simone Weil scopre la sua inermità di persona, l'unefectiveness dei suoi atti: forse rivaluta la vita interiore, che mai aveva abbandonato, certo si allontana definitivamente da ogni forma di illusione politica.

 

Se il romanzo di Bosc ha un pregio, è quello di raccontare senza retorica e con sicuro realismo quello che la Weil ha visto, deve aver visto in Spagna; se il romanzo di Bosc ha un limite, è l’assenza di un tentativo di approfondimento psicologico, sfida che proprio un personaggio storico come la Weil incitava a fare. Ma al di là di tutto c’è un fatto che pure è bene rilevare: la vita e il pensiero della Weil si prestano più a narrazioni frammentarie di questo tipo, romanzi che si risolvono in pastiche di citazioni, o a rievocazioni appassionate e coinvolte, per quanto dettagliate, come il già ricordato volume della Pétrement, che a saggi filosofici nel senso classico e cattedratico del termine. Un pensiero filosofico autentico è inscalfibile a ogni accademismo – e quel frammento di autentica religiosità antica e di schietta esperienza filosofica che si incarnò nelle riflessioni e nelle azioni di Simone Weil è allergico anche a ogni nota a piè di pagina. Di qui il contatto volutamente bruto con la realtà, di qui il contrasto volutamente insanabile tra fede e battesimo, tra esperienza e Grazia, tra Spagna e Parigi: la mente filosofica che forse più di ogni altra ha saputo congiungere Gerusalemme e Atene ha prodotto azioni fecondate da questa fertile contraddizione.

 

 

29 marzo 2024

 








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