L'insegnamento nell'arte. Uno sguardo storico e un auspicio

 

L’arte e la sua influenza sociale, attraverso i problemi del Novecento.

 

Jacques Tati nello Sculpture Garden, Museum of Modern Art New York (1958)
Jacques Tati nello Sculpture Garden, Museum of Modern Art New York (1958)

 

L’arte sembra avere un carattere formativo. Lungi dall’essere un’attività disinteressata, essa rappresenta immancabilmente qualcosa: ha perciò sempre a che fare con un contenuto, senza poter mai essere relegata all’aspetto meramente formale. Certo, le tecniche sono di fondamentale importanza, ma lo sono perché hanno in vista un significato da esprimere, e che viene, per forza di cose, accolto dal pubblico. 

 

« [S]e fosse tutto qui, allora […] non esisterebbe alcun quadro interessante e assisteremmo unicamente a un regresso a una forma superficiale. » (J. Beuys, Cos’è l’arte?)

 

Per questa ragione Hegel, similmente al connazionale Beuys, considerava il bello come la realizzazione dell’Idea. L’espressione artistica è, in generale, quella che si concretizza nell’«esempio particolare». Un dipinto, una melodia, etc., che non possono mostrarsi nella veste di un saggio filosofico o di una ricerca, sono pertanto rivolti al “particolare”: hanno, come loro assoluta peculiarità, l’opportunità di creare e perciò veicolare il messaggio di una rappresentazione della vita che paia loro di indubitato prestigio. Per questo l’arte ha un valore, sia pur indirettamente – con la trasmissione del bello –, squisitamente “didattico”.

 

Attorno a ogni preciso contenuto si sviluppano poi, come accennato, le numerosissime tecniche. Il fatto che, per citare un caso, Matisse abbia dato vita al fauvisme scambiando e invertendo i colori presenti realmente nel paesaggio, per rigirarli e accostarli nelle maniere più disparate, non fu una trovata fortuita, ma dipese dalla volontà che il francese aveva di suscitare le impressioni che provava in un luogo, in maniera ben più intensa di quanto non potesse fare il panorama in se stesso. Rothko, come testimonia l’amico e critico d’arte Gillo Dorfles, stendeva massicciamente il colore sulle sue tele per restituire degli stati d’animo ben precisi e “potenti”. Così, come non è secondario il messaggio espresso dall’opera, non è neppure casuale né superficiale la maniera in cui un contenuto viene manifestato; anzi, è così decisiva da determinarne la buona riuscita. Forma e contenuto si compenetrano. 

 

Andy Warhol, "Self Portrait" (1965)
Andy Warhol, "Self Portrait" (1965)

 

Alcune correnti novecentesche testimoniano un ritorno consapevole degli artisti alla loro responsabilità sociale. Dopo la stagione dei vari astrattismi (ci si riferisce qui alle correnti che assumevano tale nome e non all’astrattismo tout court, che le eccede e, se vogliamo, precede) svincolati «da ogni impegno sociale» e facenti capo al concetto “vuoto” di art pour l’art, si registra un brusco balzo verso un ritrovato interesse ecologico e politico. Dalla pop art all’arte concettuale, passando per la land art e la body art, gli autori si rivolgono a temi che riguardano qualcosa di più che qualche sensazione particolare da far rivivere nello spettatore:

 

« si è verificato, per la prima volta dopo un lungo periodo dominato, nell’arte visuale, dall’astrazione e dal rifiuto d’ogni “contenutismo”, un ritorno alla funzione gnoseologica. » (G. Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi)

 

Tuttavia, gran parte di simili progetti finisce per esaurirsi nel mero simbolismo, che nel più dei casi non riesce a esprimere quanto vorrebbe. Esso è infatti è uno dei casi in cui, hegelianamente, forma e contenuto “stonano”: il messaggio, che dovrebbe esser nobile, non riesce a mostrarsi nelle installazioni, che lo ricordano solo vagamente. Quando Beuys si concede alle sue impegnative procedure artistiche fatte di miele, feltro e metallo è senz’altro interessante, ma v’è da sottolineare che in più è sovente costretto a divenire quel «sacerdote laico» che spiega i suoi progetti e i suoi principi etici, estetici e politici. Le opere del geniale tedesco spesso e volentieri sono complete unicamente con la sua partecipazione predicatrice e redentrice. Il che ci lascia sospettare che, appunto, la forma non fosse adeguata a quanto di giusto e appassionato gli bruciava nel petto. Ma a ben riflettervi, accade abbastanza di frequente che l’arte odierna lasci un poco insoddisfatti quando ci fa constatare che l’opera stessa, che osserviamo con tutta la benevolenza possibile, non rispecchia la sua descrizione “verbale”, il suo intento, la sua promessa. Perciò, contrariamente e, ciononostante, parallelamente alle correnti che del contenuto non si occupano, certa arte “impegnata” fallisce, perché non riesce a veicolare nulla. 

 

V’è da sperare allora che i nuovi movimenti s’accorgano delle lacune che ancora permeano, o hanno permeato, le imprese degli autori, e che con ciò vogliano superare l’ostacolo presentato, per riportare l’arte al posto che le spetta: quello, condiviso certamente anche dalla storia, di magistra vitae.

 

17 settembre 2018

 








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