A proposito de Il Capitale

 

Il libro di Paolo Favilli ritorna al grande capolavoro di Marx, per invitare a riflettere sul capitalismo in un momento in cui, pur essendo diversissimo da quello ottocentesco, sembra aver definitivamente trionfato.

 

di Ivana Rinaldi

 

 

Paolo Favilli, professore di Storia contemporanea e di Teoria della conoscenza storica dell’Università di Genova, autore di numerosi saggi sulla storia del marxismo ha di recente pubblicato una rilettura di Il Capitale (A proposito de Il Capitale: Il lungo presente e i miei studenti. Corso di storia contemporanea, Franco Angeli, 2021) che non vuole essere un libro sull’opus magnum di Marx, ma un percorso conoscitivo delle relazioni tra l’opera e i processi storici dell’età contemporanea, in un continuo rimando tra passato e presente.

 

“Su Marx è stato scritto e già detto tutto”. Una frase che sentiamo ripetere spesso, soprattutto nei momenti celebrativi. In realtà, come avviene per Gramsci, Marx e le sue opere sono un “oggetto” in divenire, di cui si sono occupati numerosi studiosi e che ci hanno lasciato edizioni critiche di grande valore. Favilli adotta per la sua rilettura quella che i musicisti definiscono tema con variazioni. Il tema rimane come àncora, mentre le variazioni mantengono dischiusa la gamma delle possibilità insite nel tema. Chiamato ad alcuni interventi per i tanti convegni in occasione del centocinquantesimo anniversario di Il Capitale (1867-2017), allo studioso viene offerta l’opportunità di rileggere l’Opera di Marx in una fase in cui il capitalismo storico segna la modernità e la post-modernità e a esso sembra non vi siano alternative: «Il capitalismo è lo stato naturale della società», ha affermato il socialdemocratico Alain Minc. E sembra che la logica profonda dell’accumulazione si svolga senza ostacoli e avviene in ogni angolo del mondo, spesso in condizioni disumane. Perché mai dunque Il capitale dovrebbe essere un’opera da mettere in soffitta.

 

Al contrario, un’analisi critica del maestoso lavoro di Marx può indicarci un percorso di lettura della storia degli ultimi due secoli e allo stesso tempo gli strumenti per un possibile e auspicabile cambiamento delle “stato delle cose”, senza per questo essere tacciati di estremismo. Se è vero, come afferma Engels, che Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge della storia umana:  ovvero, sui bisogni materiali di esistenza si costruisce la produzione dei beni materiali che a sua volta determina le istituzioni statali, le concezioni giuridiche, l’arte e persino le idee religiose delle società umane. E da questa che possiamo spiegare le sovrastrutture e non viceversa. Favilli ne fa oggetto di un corso di storia per studenti che ignorano Marx, poi confluito in un volume, offrendo un ampio quadro delle società nelle quali predomina il modello di produzione capitalista senza trascurare quelle società come la Russia pre-sovietica, dove l’Opera di Marx, a poco dalla sua pubblicazione, gode di una grande popolarità, malgrado il sequestro.  Ce lo testimonia una lettera che Vera Zasulič, una giovane populista appartenente alla corrente di Zemlja i Volja (Terra e Libertà) indirizzata a Karl Marx e datata gennaio 1881. Lo stesso Tolstoj in Resurrezione, romanzo del 1899 rivela l’influenza del capitale nel tratteggiare le dinamiche della guerra e di personaggi come l’operaio russo visto attraverso gli occhi del principe Nechljudov:

 

« Asceta per consuetudine, gli bastava pochissimo per vivere come ogni uomo avvezzo dall’infanzia alla fatica, era capace di compiere con facilità e destrezza, qualsiasi lavoro fisico. Koudratjet, così si chiamava l’operaio, aveva avuto da sempre la confusa sensazione di patire un torto, ma solo quando una celebre rivoluzionaria russa era entrata nella sua fabbrica, gli aveva fornito gli strumenti per rendersi ragione della sua condizione. »

 

Allo stesso modo, nella giornata di Barodino in Guerra e Pace, Tolstoj compone un racconto in cui i moti dell’anima di un’umanità coinvolta in un evento dove i soldati dell’una e dell’altra parte sfiniti, senza cibo e senza riposo, cominciano a dubitare se dovessero ancora sterminarsi a vicenda, donandoci il senso non della realtà, ma della verità. Lo storico Duby in una pagina magistrale ci racconta la battaglia di Bouvines (1214) e come diceva Fernand Braudel nel 1979: «Un avvenimento può essere l’indicatore di una realtà lunga e talvolta, meravigliosamente, di una struttura».  Sia Duby che Tolstoj, sottolinea Favilli, riescono a far convergere e rappresentare dinamiche che si svolgono a  in varie epoche e a fornire una lettura delle dinamiche sociali nelle stesse. Esempio di riuscita coniugazione tra tema e variazioni. Il corso, come il testo di Favilli, è permeato di riferimenti letterari a seguire il consiglio di Huizinga che nel 1905 dava questa indicazione: «Chiediamo consiglio ai poeti». Se attraverso un testo letterario, lo storico intende arrivare a una conoscenza più significativa , «vedere di più», reclamare attraverso lo sguardo letterario il “diritto” a una seconda vista (Jean Starobinki, 1975), così Marx ha dimostrato come persino le teorie economiche possano essere comprese oltre la propria astrattezza, ricorrendo alla grande letteratura, capace di una rappresentazione viva, reale, del dramma che si svolge nell’accumulazione del capitale.

L’autore ripercorre le vicende editoriali di Il Capitale dalle prime edizioni ai nostri giorni soffermandosi sulle difficoltà economiche e di salute di Marx che gli impedirono di portare a compimento la sua opera che ci dice che con estrema chiarezza in una lettera del luglio 1865: «L’opera non può essere stampata prima che compaia completa nella mente dell’autore». Il non-finito per Marx è un esito non voluto, anche se vi convivono Prometeo e Sisifo, miti che hanno sempre alimentato il suo pensiero. Sforzo prometeico per abbracciare un insieme di relazioni tendenzialmente “totale”, e al contempo, necessità di ritorni, ripartenze, modifiche degli strumenti analitici per la comprensione della realtà del capitale, in perpetuo movimento.

 

« Il capitale che produce interesse e quello che produce profitto non sono diversi. Una natura del capitale per cui il costante allargamento e spostamento dei suoi confinino del mercato mondiale significa solo un allargamento dello spazio del mercato che pure è condizione vitale: tutti i popoli vengono via via aggrovigliati nella rete del mercato mondiale, così si sviluppa in maniera sempre crescente il carattere internazionale del regime capitalistico. »

 

Queste note scritte negli anni Sessanta dell’Ottocento, quando la finanziarizzazione dell’economia era ben lontana da rappresentare la forma dominante di estrazione di plusvalore, la dicono lunga su quanto lo sguardo di Marx fosse lungimirante e in qualche modo profetico. «Un monumento di ardore teorico» lo ha definito l’economista liberale Schumpeter. Inutile anche separare il Marx umanista dal Marx scienziato, sottolinea Favilli, che nella sua lunga esegesi rimanda alla letteratura, alla filosofia, all’economia classica e contemporanea in un’ impossibile definizione dell’oggetto da ricostruire. Ne traccia però le forme storiche fino al compromesso socialdemocratico, anch’esso, in parte, storicamente fallito. Non si tratta di contribuire alla costruzione di una storia marxista, bensì di partecipare all’articolazione di molte storie che si dipanano dallo stesso punto di partenza. Afferma Hobsbawm in De Historia: «Se Marx non ha detto l’ultima parola, ma la prima, noi siamo obbligati a continuare il discorso che lui ha cominciato» (p. 200). Se dunque come sostiene Eagleton in Perché Marx aveva ragione (Armando, 2013), «L’alienazione la “mercificazione” della vita sociale, una cultura fatta di avidità, di crescente nichilismo, la costante emorragia di senso e valore, che affligge l’esistenza umana, è difficile trovare una discussione che non sia indebitata nei confronti della tradizione marxista».

 

 

Lo studioso analizza il concetto di alienazione: «Per Marx al centro del problema dell’alienazione c’è il lavoro, non rilevabile per via filosofica, bensì attraverso puntuali e empiriche osservazioni sulla condizione di chi vende la propria forza lavoro».

«Alienazione significa indifferenza e scissione, ma anche mancanza di potere e assenza di relazione nei confronti di se stessi e di un mondo esperito come indifferente e estraneo» (R. Jegg, Attualità di un problema filosofico e sociale, Castelvecchi, 2017)

 

Il concetto di alienazione viene ripreso da Lukács, il filosofo marxista per eccellenza, da Rubin, l’economista fatto fucilare da Stalin nel 1937 e dai sociologi della Scuola di Francoforte, come Adorno e Marcuse. Si analizza inoltre la  teoria dei bisogni umani che non necessariamente si traducono in bisogni indotti o alienati. Esiste una ricchezza dei bisogni umani che è legata alla crescita produttiva sui quali si concentra Agnes Heller, allieva di Lukács la quale afferma: «Secondo Marx la riduzione del bisogno al bisogno economico è l’espressione dell’estraneazione dei bisogni, in una società in cui il fine della produzione non è il soddisfacimento dei bisogni, ma la valorizzazione del capitale». Ridefinire quali sono i “bisogni umani ricchi”, “ bisogni necessari”, “bisogni indotti”  è parte di un geroglifico alla cui ridefinizione non ci si può sottrarre.

Il lettore si interroga se l’itinerario teorico di Marx sia ancora spendibile per rendere comprensibile e modificabile lo sviluppo storico della produzione sociale. Il pensatore tedesco, nel 1880, si sentiva impegnato nel compito di dare al movimento socialista una solida base di metodo analitico e trasformativo. A questo proposito, Favilli in chiusura si sofferma a lungo sull’odierna fase del capitalismo, quello delle merci immateriali, del capitalismo finanziario, anche se a suo avviso parlare di società post-industriale è azzardato. Lo stesso Marx non usa la parola capitalismo ne Il Capitale, consapevole che la “società capitalista” o società borghese non è leggibile solo secondo la logica del capitale, ma ha bisogno di altre chiavi di lettura, attraverso le quali leggere le varie componenti della società, lasciando intravvedere la realtà di capitalismi diversi e quindi la necessità di molteplici metodologie d’indagine. Oggi abbiamo bisogno di questi nuovi strumenti per definire a quale stadio il capitalismo si trovi, sia per coloro che lo vogliono salvare da se stesso, sia per coloro che ne auspicano la disintegrazione. A questo proposito abbiamo vari studi come quello di Thomas Piketty, Il capitalismo del XXI secolo (Bompiani 2014). Piketty pur non essendo marxista, né grande conoscitore di Marx, come lui stesso dichiara, ci prospetta con precisione difficilmente opinabile, una disuguaglianza sociale insopportabile. Demolisce l’opinione largamente diffusa che il capitalismo del libero mercato sia distributore di ricchezza e sarebbe il baluardo delle libertà individuali. Invece, il capitalismo del libero mercato in assenza di significativi interventi da parte dello Stato, produce oligarchie antidemocratiche. «Nessun capitalismo dal volto umano», scrive il premio Nobel Stiglizt. Sembra dunque necessario, secondo l’autore, ritornare al Capitale di Marx per ricercarne l’analisi scientifica e l’originario progetto rivoluzionario.

Il fallimento del Socialismo reale ha oscurato dall’orizzonte una prospettiva che potrebbe riaprirsi con la nascita di nuovi soggetti sociali per ricostruire l’antitesi che andata via via scomparendo negli ultimi 40 anni. Le proposte per rinnovare il capitalismo non mancano. La più interessante sembrerebbe quella di Paul Collier, economista dell’Università di Oxford, secondo cui è necessaria una rivoluzione etica del capitalismo che ponga al suo centro non l’homo economicus, ma la donna sociale relazionale, ovvero un soggetto economico che abbracci la pluralità dei valori umani. I giovani intravedono su questa scia di pensiero un socialismo non tanto come espressione di gestione politica o collettivizzazione dei mezzi di produzione, quanto come espressione di valori umani, di solidarietà e giustizia. Consapevoli di essere ben lontani da questi obiettivi non ci resta che sperare in quei movimenti, pratiche politiche, organizzazioni, lontane ormai dalle forme tradizionali che abbiamo conosciuto nel Novecento: il Movimento dei giovani per il clima, il femminismo intersezionale, il nuovo sindacalismo dei fragili e degli immigrati, che antepongono al profitto la cura, del pianeta, del vivere, delle relazioni, per una riorganizzazione globale dell’esistenza e delle forme sociali che assume nei vari contesti locali e internazionali.

 

 10 dicembre 2021

 








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