Quello che già sapevamo con i pitagorici. La scienza obliata

 

Per Eraclito era il capo degli ingannatori, per Diogene Laerzio un uomo prodigioso, per Empedocle un genio capace di anticipare il sapere di epoche future. Al di là delle testimonianze, Pitagora e i suoi discepoli furono in grado di decifrare l’universo molti secoli prima della Rivoluzione scientifica.

 

di Vincenzo Fiore

 

Raffaello, "La scuola di Atene", particolare raffigurante Pitagora
Raffaello, "La scuola di Atene", particolare raffigurante Pitagora

 

Sulla base della storiografia anglosassone, in particolare del libro The Scientific Revolution dello storico della scienza Alfred Rupert Hall del 1954, viene comunemente definito come Rivoluzione scientifica il periodo che va dalla pubblicazione del libro Le rivoluzioni dei corpi celesti di Copernico (1543) a quella dell’opera di Newton I principi matematici di filosofia naturale (1687). Una fase dalla quale emerge una considerazione della natura come un ordine oggettivo regolato da leggi precise e una concezione della scienza come sapere sperimentale e intersoggettivamente valido, anche grazie allo straordinario lavoro di Galileo. 

 

Non è quantificabile il grande salto in avanti compiuto dalle scienze esatte e dall’astronomia nell’arco di poco più di un secolo. Sistemi dogmatici innalzati al grado di verità assolute, come quello tolemaico, vengono soppiantati da studi sempre più accurati e da calcoli complessi che di passo in passo sembrano sfuggire all’occhio oscurantista della Chiesa. Inizia così a essere cantata la messa da requiem per l’ideologia antropocentrica, prima del colpo di grazia scagliato da Darwin con L’origine della specie.

 

La precisione delle formule e l’accuratezza dei dati raggiunte con la Rivoluzione scientifica, erano due elementi che non conoscevano precedenti nella storia del pensiero scientifico. Tuttavia, non è sostenibile che la cultura occidentale non avesse mai raggiunto prima, almeno nella forma di intuizione, tante delle conquiste arrivate con e dopo Copernico. Basti pensare al caso della Scuola di Pitagora (Crotone, 530 a. C. circa), fondata da quella figura misteriosa del filosofo semidio di cui poco si conosce, se si escludono gli elementi leggendari. Pitagora probabilmente non scrisse nulla e diverse teorie fuoriuscite dalla sua scuola sono di dubbia paternità, alcune conoscenze furono importante anche dall’Oriente, nonostante ciò ad oggi siamo in grado di ricostruire diversi punti.

 

È di matrice pitagorica la prima teoria che vede i corpi celesti come sferici e, di conseguenza, anche la Terra. E fu il pitagorico Filolao a comprendere che la Terra non è il centro dell’universo, ma come tutti gli altri pianeti si muove intorno a un fuoco centrale che chiamava hestía, il focolare dell’universo che permette la formazione dei mondi. Un altro discepolo di Pitagora, Ecfanto di Siracusa, fu invece il primo a riconoscere la rotazione della Terra intorno al suo asse, mentre Enoclide scoprì l’obliquità dell’eclittica rispetto all’equatore celeste. L’ipotesi del movimento della Terra, con Aristarco di Samo si trasformò in una vera e propria anticipazione della teoria eliocentrica, intuizione che pare avesse avuto in precedenza anche Eraclide Pontico.

 

F. Bronnikov, "Pitagorici celebrano il sorgere del sole" (1869)
F. Bronnikov, "Pitagorici celebrano il sorgere del sole" (1869)

 

Gli straordinari contributi dei pitagorici all’umanità, non si limitano soltanto al fatto di aver utilizzato la matematica come codice di interpretazione della realtà e alle intuizioni astronomiche, ma invadono altri campi del sapere. È il caso ad esempio dell’anatomia e della medicina, fu infatti Alcmeone di Crotone a cogliere la centralità del cervello nel corpo umano a dispetto del cuore. A tal proposito, così testimonia Teofrasto: «Tutte le percezioni, dice, giungono al cervello e lì s’accordano: ed è appunto per questo che anche s’ottundono quando il cervello si muove e cambia di posto: perché in tal modo ostruisce i canali attraverso i quali passano le sensazioni».

 

La genialità delle anticipazioni dei primi filosofi fatte alle teorie scientifiche moderne in epoche remote, e non solo di quelli che facevano capo alla scuola di Pitagora, è dimostrabile con numerose testimonianze, che sarebbe complesso riassumere in un solo articolo. Al di là di quelle più note, come l’atomismo di Democrito, vale la pena di soffermarsi sul caso Anassimandro. La sua è la prima vera e propria rivoluzione cosmologica, egli aveva compreso che il nostro pianeta “galleggiasse” nello spazio senza essere sostenuto da nulla: il cielo non è solo sopra, ma anche sotto. All’acume di Anassimandro, che pure aveva anticipato in qualche modo una teoria che assomigliava a quella del Big Bang e aveva postulato l’infinità dell’universo, il fisico italiano Carlo Rovelli ha anche dedicato un libro per sottolinearne l’intelligenza. E sempre Anassimandro, sebbene alcuni interpreti non concordino, sembra che avesse in qualche modo anticipato la teoria evoluzionista di Darwin. Il filosofo di Mileto, infatti, sosteneva l’origine dell’uomo da altri animali (in particolare dai pesci). Gli esseri umani non sarebbero stati in grado di sopravvivere in mezzo alla natura, se fossero nati strutturati così come sono sin dal principio.  

 

Nonostante oggi diversi contributi vengano sottovalutati o ignorati completamente, è necessario ricostruire il fiume carsico dell’intelligenza umana, che mai, neanche nelle epoche più buie, ha cessato di scorrere ed è utile ricordare la lezione riportataci da Giovanni di Salisbury per avere l’umiltà di guardare avanti senza dimenticare chi ci ha preceduto: «Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti».

 

 3 dicembre 2021

 








  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica